
Se Maometto non va alla montagna è la montagna che va da Maometto, recita un vecchio detto. Come a dire che se le cose non vengono da sole bisogna andare a cercarsele. Nel nostro caso, potremmo dire che se gli estremisti come l’attuale presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, non vanno da Matteo Salvini, è Matteo Salvini che corre da loro. Infatti, il leader leghista ha incontrato il capo di Stato sud-americano recatosi in visita a Pistoia – dopo un salto nel comune di Anguillara Veneta, in provincia di Padova, per ricevere la cittadinanza onoraria del Paese che diede i natali al nonno paterno – ufficialmente per onorare i soldati brasiliani caduti durante la Seconda guerra mondiale.
Ai contestatori e alle critiche mossegli dalla stampa e da buona parte della politica sull’opportunità di incontrare un leader apertamente fascista (che collaborò attivamente col regime militare che governò il Brasile dal 1964 al 1985); che più volte ha espresso il suo scetticismo nei riguardi della democrazia e dello Stato di diritto; senza contare le sue frequenti uscite incongrue su donne, omosessuali e indigeni; la sua vicinanza al fondamentalismo evangelico e la sua incriminazione per crimini contro l’umanità a seguito del suo rifiuto di adottare misure per il contrasto alla diffusione del Covid (ebbene sì, il ragazzo è anche negazionista) e di essere rimasto a guardare mentre la popolazione brasiliana veniva falcidiata da questo morbo, Salvini si limita a rispondere che non c’è nulla di male nell’onorare i caduti di guerra e che ringrazia Bolsonaro per aver rimandato in Italia Cesare Battisti. Come sempre, quando il leader leghista non sa cosa rispondere, cerca di eludere il problema e di spostare la discussione su un terreno a lui più favorevole e che sa potrebbe fare una certa presa sull’opinione pubblica: un po’ come gli studenti impreparati durante le interrogazioni, ma che si sforzano di impressionare comunque il professore con termini altisonanti, insomma.
Tutto questo, in seguito all’ennesimo rifiuto dello stesso Salvini di effettuare il “grande salto” – quello verso il Partito popolare europeo e verso posizioni di destra liberale ed europeista – ribadito non solo esplicitamente, ma anche in maniera implicita, attraverso l’affettuosa e cordiale videochiamata con la vecchia amica Marine Le Pen e l’impegno dello stesso Salvini per la costruzione di un grande gruppo dei sovranisti a Bruxelles, insieme alla stessa Le Pen e a Viktor Mihály Orbán, il quale è arrivato persino a definire Salvini “il nostro eroe”. Insomma, l’obiettivo del leader del Carroccio sembrerebbe essere quello di dare vita a un soggetto politico capace di opporsi – o quantomeno di rallentare – qualsiasi progetto d’integrazione europea (con tanti ringraziamenti da parte di chi vorrebbe una Europa debole, incapace di difendersi e di essere indipendente dal punto di vista politico ed economico, Russia putiniana in primis). Altro che “svolta moderata”.
A margine, i tentativi di Giancarlo Giorgetti di far ragionare il suo capo: tentativi che, puntualmente, si traducono in un fiasco. Chi nasce tondo non può morire quadrato, si dice a Roma: nel caso di Salvini, chi nasce con la testa calda, con un carattere irriflessivo e imprevidente, difficilmente diventerà una persona prudente, misurata nelle scelte e capace di distinguere ciò che è veramente conveniente da ciò che non lo è. Proprio due giorni fa, il ministro dello Sviluppo economico ha definito incompiuta la “svolta europeista” del Carroccio, auspicando che si decida una volta per tutte da che parte stare. Per tutta risposta, Salvini si limita a dire che lui si interessa di pensioni e di tasse, non di filosofia. Ci risiamo: la solita destra da bar che disprezza la cultura, la ritiene una perdita di tempo e che pensa che occuparsi dei problemi concreti delle persone possa prescindere da una adeguata preparazione teorica.
Caro Salvini, se abbiamo devastato questo Paese e abbiamo prodotto scempi di ogni genere, è proprio perché fin troppi governanti e legislatori non avevano la minima idea di cosa stessero facendo e di quali avrebbero potuto essere le conseguenze delle loro decisioni, e non l’avevano nella misura in cui erano privi di una solida preparazione, anche per quanto riguarda quella filosofia da Lei tanto disprezzata. La sequela infinita di soggetti del tutto inadeguati a governare un Paese è composta da persone che – come Lei – pensano basti la popolarità delle proposte a fare lo statista. Ma questo è il pensiero dei politicanti: gli statisti, al contrario, sanno che, a volte, è necessario adottare misure impopolari; che, in alcuni casi, al paziente deve essere somministrata una medicina amara, se lo si vuole guarire veramente. Come se ciò non bastasse, Salvini – furibondo con Giorgetti e stufo dei suoi affondi – passa al contrattacco: lancia un congresso programmatico a dicembre (si dice per stanare gli avversari interni e per blindare la sua leadership) e annuncia una prossima conferenza coi premier ungherese e polacco, Viktor Mihály Orbán e Mateusz Morawiecki, per accelerare sulla nascita del gruppo sovranista a Bruxelles.
Il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Si rinfranchino, quindi, coloro i quali temevano che Salvini e la Lega avrebbero subito l’influenza del “draghismo” e che, di conseguenza, avrebbero abbandonato la “linea della felpa” per quella “del doppiopetto”: i fatti sembrerebbero dimostrare un rinnovato interesse per il sovranismo casinaro e la demagogia da bar di periferia. Di sicuro, Salvini imputa la recente disfatta alle Amministrative alla partecipazione al governo di Mario Draghi, e crede che il modo migliore per recuperare consensi sia quello di tornare alla protesta, agli slogan, alla semplificazione e alla retorica da arruffapopolo.
Ma la realtà è ben diversa: il vero problema del centrodestra è proprio la mancanza di credibilità. In questo Paese, a differenza di quello che avviene nel resto d’Europa, non esiste una destra liberale e patriottica, cui si contrappone con scarso successo una destra sociale e nazionalista: qui succede l’esatto contrario. Col risultato di suscitare sempre meno simpatia e fiducia in un elettorato che non ama gli eccessi; che vuole costruire un futuro migliore e non rifugiarsi nella nostalgia per un passato che non tornerà; e che si pone il problema della concretezza e dell’opportunità delle proposte. La sconfitta alle Amministrative è solo il preludio di quella alle Politiche e alle Europee, se la destra di questo Paese non cambierà registro, cosa che non sembra affatto intenzionata a fare.
Pazienza, la “mano invisibile” opera anche in ambito politico e quelle forze che non riescono a soddisfare la domanda degli elettori finiscono per diventare sempre più marginali fino a scomparire o a vedersi sostituite da altre più ricettive in questo senso. Già ora c’è chi immagina un nuovo soggetto politico liberal-democratico, alternativo alla sinistra “social-populista”, che verosimilmente potrebbe rimpiazzare una destra sempre più estrema e illiberale. Già ora c’è chi sta scaldando i motori per realizzare questa visione e dare agli italiani quello di cui hanno un gran bisogno. Come ha detto nei giorni scorsi il governatore della Liguria, Giovanni Toti, il centrodestra di cui necessita l’Italia non è quello dei “No-vax”, delle “sbraciate” a Tor Bella Monaca o capace di disastrare le finanze pubbliche e di indebitare le future generazioni pur di non riformare il sistema previdenziale per paura di perdere consensi; bensì un centrodestra responsabile, liberale, innovativo, repubblicano e patriottico, ma non nel senso in cui i sovranisti intendono questo termine.
Amare il proprio Paese, infatti, vuol dire metterlo nelle condizioni di essere competitivo e dinamico a livello economico e stabile dal punto di vista finanziario; renderlo protagonista in Europa e nel mondo, oltre che in grado di misurarsi con le sfide del mondo globale; affidarlo a governanti responsabili e capaci, non ai Masaniello di turno; vuol dire difenderne la cultura liberale e le conquiste civili rispetto alle pulsioni reazionarie e illiberali, di dovunque provengano e da chiunque vengano portate avanti. Un patriottismo “draghiano”, insomma: altra roba rispetto allo pseudo-patriottismo di altri leader.
Aggiornato il 04 novembre 2021 alle ore 17:56