La boutade del G20 e della mozione “plantumiamo 1000 miliardi di alberi”

È in corso la conferenza Cop26 sull’ambiente, mentre anche il G20 di Roma, al di là di alcune decisioni utili, come l’accordo Unione europea-Usa sui dazi dell’acciaio, si è chiuso con una glamourosa e pirotecnica uscita dal bla bla bla dei politici lamentato da Greta Thunberg. Si tratta di un invito sottoscritto alla fine dei lavori: plantumare 1000 miliardi di alberi in tutto il pianeta per ridurre la Co2. Io sono un amante degli alberi e ho la fortuna di avere un orto e boschi, mare e colline a dieci minuti dalla mia casa in centro città. Amo gli alberi. Poi leggo un tweet di Chicco Testa: “Ho scritto che la proposta del G20 di piantare 1009 miliardi di alberi da qui al 2030 è una bella cosa. Poi ho fatto i conti e più o meno si tratterebbe di piantare 270 milioni di alberi al giorno. E mi sono venuti un po’ di dubbi. Ma non avevano una calcolatrice al G20?”.

Le foreste son importanti ma vanno mantenute bene, eliminando gli alberi vecchi che non assorbono Co2. Una volta le piante rinsecchite o malate venivano tagliate per farne legname, per cui la pulizia dei boschi era una abitudine sana e ovvia. Nella mia città, fino agli anni ’50, i ragazzini della scuola media prima di andare a scuola facevano un salto nel bosco vicino, per prendere qualche ramo secco da mettere nella stufa posta al centro della classe. Soluzioni semplici ma efficaci si possono fare comunque. Per esempio, si possono riforestare le città con grandi viali formati da alberi a foglie decidue, per avere fresco e ombra d’estate e luce e sole d’inverno: il risultato è come quello dell’aria condizionata, solo che così bambini e vecchietti possono tornare a giocare sul marciapiedi o fare due chiacchiere su una panchina ombreggiata da un tiglio.

L’effetto forse più decisivo per la temperatura sarebbe una “decrescita felice” di asfalto e cemento: l’impermeabilizzazione del suolo è un problema per la temperatura dell’aria, e in Italia il suolo trasformato in asfalto o cemento nel 2020 è cresciuto di oltre 50 chilometri quadrati rispetto al 2019, ovvero oltre 15 ettari al giorno. Ormai risulta impermeabilizzato il 7,11 per cento del territorio nazionale rispetto al 6,76 per cento del 2006. Vedere processioni di giornalisti –che sembrano il popolo chiamato a schierarsi col Bene o col male nella valle dell’Armageddon – seguire trepidanti il Cop26 di Glasgow produce in me sentimenti negazionisti, anche se poi capisco che i problemi esistono per davvero (leggere qui sotto).

Mi viene in mente un mio amico, che da 40 anni lavora per la Fao come agronomo, dopo aver contribuito a riforestare o migliorare le produzioni agricole di tutto il mondo, inclusa l’Africa dove si è beccato la malaria. Lui adesso lavora per la Ferrero Spa, quella della Nutella. Ebbene, senza attendere G20 e Cop26, la Ferrero promuove la plantumazione di noccioli in ogni dove. Visto che la Turchia (che produce il 65 per cento delle nocciole mondiali, l’Italia è ferma al 10 per cento) è a rischio geopolitico, Ferrero si rivolge al Caucaso e altre nazioni asiatiche dell’ex Sovietistan a partire dall’Azerbaijan, ora diventato il terzo produttore mondiale. Un accordo tra Ferrero e Governo azero ha reso possibile l’incremento della coltivazione della nocciola: così chi lavora e possiede terra, potrà coltivare noccioli grazie a incentivi statali, sapendo già a chi vendere il prodotto e con quanto guadagno. Immagino che gli ambientalisti di stampo ideo-illogico grideranno: “Ma la Ferrero è una multinazionale capitalista: i noccioleti sono intensivi e prendono il posto di altri alberi!”. E io penso che questi salottisti vorrebbero costringere i caucasici a non guadagnare niente con la loro terra. Il futuro dell’agricoltura sostenibile non consiste nel piantare alberi a caso e poi lasciare che le foreste abbandonate non assorbano Co2: è decisivo conciliare il mantenimento delle terre coltivabili e forestabili in armonia con una giusta resa economica. Altrimenti, i contadini continueranno a fuggire in città, lasciando crescere asfalto e aria carbonizzata in Padania, Caucaso o in Sud America. Invio un messaggio all’amico che lavora per la Ferrero, e lui risponde che il problema non è tanto piantare in terra mille miliardi di alberi (sebbene fantascientifico e ultracostoso, sarebbe teoricamente fattibile), quanto quello di dare loro acqua e nutrimento. Ovvero, non abbandonarli al loro destino.

Vivere in città costringe a non capire alcune cose. Per esempio, che adulti e bambini non molti anni fa erano infinitamente più liberi, consapevoli del rischio e autonomi. Io giocavo per ore nei boschi vicino a casa, a dieci anni di età. Facevamo gare di corsa sulle scogliere, e per le “guerre” tra ragazzini usavamo archi con frecce ricavate dalle aste degli ombrelli appuntite con un sasso. Invece a Tokyo si guadagna bene, ma si vive male. I bambini prendono la malattia del disneyismo mentre i loro genitori comprano il cappellino per il loro cane (a questo si è arrivati). Mangiano male sia i cittadini che comprano il tofu allo shop di NaturaSì, sia le famiglie che mangiano alla veloce pastasciutta con fettine o prosciutto e che devono correre al lavoro e posteggiare figli e auto prima di tornare in auto a riprendere figli e andare con loro al supermercato a socializzare con le commesse. Capita che poi si voti male o non si voti (il che è un male comunque), e che si perda tempo a sfilare in corteo uno contro l’altro: i Sì contro i No, come le guerre tra i ragazzini di una volta.

Certo che c’è un problema con l’ambiente. Ho fatto un calcolo (abborracciato, ma rende l’idea) sulla media dei veicoli in circolazione nelle 24 ore in Italia, che nel 2020 erano 52.401.299 milioni. Ho ipotizzato 7 centimetri di marmitta per 5 milioni di autoveicoli in movimento tra giorno e notte. Sommando il tutto si ottiene una marmitta dal diametro di 350 chilometri che emette continuamente fumo nei cieli italiani. Senza calcolare le ciminiere, le centrali elettriche e il riscaldamento… Mica barzellette, no? Non mi interessa dire al G20 Avete perso tempo! oppure invitare gli ambientalisti-giornalisti e frideisti for future ad andare a zappare, dato che in decenni di bla bla non hanno neanche chiesto di eliminare le cassette di polistirolo per il pesce. Come contrastare con la scienza e il buon senso l’impazzimento apocalittico sull’Ambiente? La paura è la merce più venduta. Dopo viene il Me ne frego.

Non so se il liberalismo e il conservatorismo sono in grado di contrastare i Brancaleone che danneggiano l’Ambiente in nome dell’Ambiente, trasformando la natura in una divinità pagana e in un museo delle cere. I libri di testo delle scuole diffondono catastrofismo come e peggio dei preti di una volta, e intanto anche chi si laurea in Scienze ambientali resta lontano dalla terra e dal mare, soprattutto se poi parte per la Tailandia con un viaggio organizzato che includa cibi bio-occidentali e pane pugliese di giornata da consumare in una suite con piscina ma “immersa nella foresta”. È vero che si torna a viaggiare nei luoghi esotici (o nel Circeo o in Sardegna) per potersi dire di essere “vicini alla natura” quasi come quando ci si impegna a instagrammare un tramonto in spiaggia. Vorrei vedere un vegano puritano zappare un campo, lavorarlo per mesi e poi ritrovarselo distrutto dai cinghiali dai caprioli e dalle istrici.

Chissà se qualcuno riuscirà a imbastire politiche utili, liberali, non ideologiche, e nemmeno finalizzate alla vendita di auto e prodotti “green”. Detto di passaggio: il centrodestra mondiale non ha soltanto regalato al centrosinistra la gestione del discorso sull’Ambiente – il che è già grave – ma ha rinunciato anche a impostare le linee del business verde, che è il miglior prodotto del capitalismo monopolista socialdemocratico. È vero che il premier inglese Boris Johnson è green quasi come Carlo d’Inghilterra e i suoi cavalli, ma in genere i liberal-conservatori sono stati dipinti dai media mainstream come degli orchi che – oltre che mangiare bambini – divorano l’Amazzonia peggio di Jair Bolsonaro. Forse, invece di dire che il clima è sempre cambiato o di non replicare nemmeno, i politici che non militavano nelle file dei Santi del Penultimo Giorno dovevano proporre criteri per l’Ambiente meno religiosi e integralisti di quelli con cui veniamo affogati a ogni servizio tv, persino quando si parla della salsa garum, quella fatta con le interiora di pesce con cui si ingozzavano gli aristocratici dell’antica Roma.

Sarebbe davvero importante evitare la polarizzazione di stampo partitico, come è avvenuto per il Covid: abbiamo quasi tutti – da maggioranza silenziosa – assistito impotenti alle rivolte No vax e alla iper-comunicazione politica Pro vax, che ha dato ossigeno proprio ai No vax, essendo entrambi gli atteggiamenti ideologici, stupidi, non scientifici e auto-seppellenti. Forse i governi avrebbero fatto meglio a utilizzare una “comunicazione scientifica Pro vax”. Dico che sarebbe urgente aggregare scienziati e giornalisti in grado di comunicare senza paranoia, cosa importante e utile per la qualità della vita e dell’ambiente. È un tema comunque colossale, anche se il cambiamento climatico facesse parte del MetaVerso e non fosse reale. Perché lo si è abbandonato alla multinazionale social-democratica? Così non si fa politica e si creano problemi alla democrazia pluralista.

Non è possibile consegnare questioni così importanti agli apocalittici del “piagnisteo con cui finisce il mondo” come scriveva il poeta T. S. Eliot. “Un articolo di “Nature” – mi scrive Mario Giardinidimostrava che negli ultimi trent’anni le aree verdi del pianeta sono cresciute del 25/50 per cento, cioè tra gli 8 e i 16 milioni di chilometri quadrati, ovvero fra 2 e 4 volte l’Amazzonia. Nature aggiungeva che la causa probabile di un “greener planet” era l’aumento della C02 nell’atmosfera. L’arci-nemico degli ambientalisti.”

Se le foreste sono aumentate, ci chiediamo perché nel 2018 la Ipcc dell’Onu raccomanda che una fra le quattro misure da prendere di corsa per evitare che il pianeta subisca danni irreparabili è proprio aumentare la riforestazione del pianeta? E perché tre anni dopo il G20 riprende questa richiesta “scientifica” ignaro del fatto che la superficie verde planetaria è aumentata e di molto?

(*) Foto in alto: Ceiba, l’albero con il tronco più grande (Nassau, Bahamas)

Aggiornato il 03 novembre 2021 alle ore 11:39