Ricominciare dal Ventennio come arte e cultura

Le recenti Amministrative, oltre che per l’astensione e il tonfo del centrodestra, si sono qualificate anche per la liquidazione della destra radicale. Il Pd, cavalcando l’inchiesta a orologeria di Fanpage sulle presenze estremiste in Fratelli d’Italia e gli arresti degli agitatori neri durante gli scontri contro la Cgil, ha ottenuto a livello di comunicazione quello a cui ambiva: denunciare e mettere al bando gli epigoni fascisti nel campo avversario. Con l’intervento della magistratura il colpo è abbastanza riuscito, anche se pare aver perso clamore la richiesta di scioglimento di Forza Nuova e delle formazioni contigue. Nessuno tifa per nostalgie anticostituzionali e l’antifascismo della sinistra è spesso propaganda ingannevole, tuttavia la marginalizzazione di persone, militanti e un’intera area estremista rischia di diventare un’operazione di “cancel culture”. Perché con le accuse, le demonizzazioni e la pressione a “fare pulizia” l’incognita è quella di cancellare una parte della cultura italiana. La cultura del Ventennio.

Pur non volendo fare della dietrologia, sembrerebbe proprio questo l’intento avversario: annientare il nemico, svuotandolo di identità e cambiare la mentalità del Paese, affinché sui temi del femminismo, sessismo, Lgbt, dei diritti e delle identità alla fine tutti la pensino come loro. Il chiodo fisso del pensiero unico, insomma, attraverso un’abile penetrazione ideologica. Mentre la liquidazione dei violenti e dei furbacchioni è sempre auspicabile, non lo sarebbe affatto lo smarrimento identitario legato alla cultura del fascismo. Di quel Ventennio c’è tanto sapere, da imparare, da capire, da conservare e salvaguardare.

Tuttavia non ho sentito molte voci levarsi in difesa della storia, dell’arte, del pensiero e del talento, che pure negli anni Trenta e Quaranta furono fervidi esempi di genio e progresso in quasi tutte le discipline. E forse proprio questa base culturale è ciò che manca alla politica, almeno a quella anti–comunista così esanime e svuotata, e alla società nel suo complesso. Non ho sentito intellettuali e uomini di pensiero sollevarsi in difesa delle proprie radici e del proprio patrimonio di idee. Come non ho sentito i partiti impegnarsi immediatamente per isolare gli episodi criminosi ma, al tempo stesso, per rilanciare la propria identità filosofica e culturale. Che destra è una destra che non sa distinguere ciò che va conservato e valorizzato da ciò che va ripudiato? E che non combatte per questo?

Penso ai giovani, i quali se non avranno modo e occasione di apprendere i contenuti del passato, se non sapranno operare assennati e profondi distinguo saranno destinati a diventare automi del “politicamente corretto”, indotti a pensare che tanto la cultura sta da una parte sola. Per questo la crociata per il Quirinale, o per le prossime elezioni è importante, ma diventa un dettaglio. Una coalizione che si unisce per il consenso e per il potere, avendo smarrito il suo progetto ideale e valoriale, costretta a rincorrere reminiscenze democristiane, sognando un centro o perdurando nel bipolarismo, ha alte probabilità di fallire. E i segnali ci sono tutti. Quello che occorre veramente sono forze volenterose, appassionate, generose e al di sopra delle furbe strategie, che lavorino contro il degrado intellettuale e l’omologazione producendo cultura e idee. Aver affossato – per ora – l’iter del Ddl Zan con l’escamotage della “tagliola” è solo una batosta rimandata. Intanto quella cultura deviata e pericolosa sull’identità di genere viaggia sdoganata e anzi elevata a “martire” quale offerta alle nuove generazioni come l’unico manifesto per il cambiamento.
Di fronte a ciò non è forse urgente una potente azione culturale, umana, etica, misericordiosa perfino con le venature lievi e bianche dello spirito, patrimonio dei credenti, contro le derive atee, gnostiche e perfino occultiste del fronte opposto? Tutto questo odio, livore, rabbia non si combattono forse con il talento, il bene, l’ingegno e la qualità nelle cinque arti? Senza un Gabriele Dannunzio o un Filippo Tommaso Marinetti, solo per fare due nomi di una galleria di vati e artisti, si può immaginare di sconfiggere il nemico principale, ossia l’ignoranza che imperversa? C’è un forte bisogno di scrittori, di autori, di poeti, di pittori, di scultori, ma liberi, non solo di sinistra. Perché altrimenti tutto il nostro potente made in Italy si estinguerà identificandosi coi Maneskin a Las Vegas insieme ai Rolling Stones. E per quanto anche questa sia industria musicale, se manca il resto la crisi economica italiana sarà catastrofica e ad essa si potrebbero collegare drammatiche invasioni e preoccupanti scenari.

Aveva ragione Vittorio Sgarbi, il quale candidato a sostengo del perdente Enrico Michetti per Roma, la prima cosa che aveva proposto era un grande evento sul fascismo. “Tra i miei progetti c’è una grande mostra sulla Roma fascista”, aveva scritto su Twitter. “Il periodo fascista è stato l’ultimo momento di grande architettura di questa città. È un’idea coraggiosa. Ma non bisogna avere paura del passato. Bisogna capirlo”. Quale più giusta e saggia esortazione pensando a ciò che è accaduto in questa tornata? Gli avversari mirano solo a fare prigionieri, ovvio. E di tutta l’erba “un fascio”. Ma se c’è un modo corretto per uscire da un passato è quello di storicizzare. Studiare e storicizzare. I nostri avversari usano il termine “narrazioni” e si specializzano negli storytelling su tutto, facendo molta fiction e poca verità.

Noi, dall’altra parte, non possiamo abbandonare ragazzi e ragazze e tanti che militano appassionatamente, sia pure alcuni deviando erroneamente nell’estremismo, alla liquidazione punitiva e addirittura penale. Non sono tutti e “solo fascisti” come disprezzano a sinistra, che poi farebbero bene a pensare ai loro centri sociali, ai loro violenti e ai loro numerosi sballati. Quei cuori e quelle storie così duramente etichettati e disprezzati chiedono di essere riscattati e di essere integrati nei processi sociali e politici. Non abbiamo dato loro la palestra dell’analisi storica, dell’elaborazione attraverso gli strumenti del cinema, del teatro, dei testi, delle opere, delle proprie esperienze. Dov’è questa destra? Sapete cosa vedrei bene in Italia in questo momento? Un grande evento sul Ventennio per celebrare arte e storia, affrontando i nodi e sviluppando le cause. Il centrodestra dovrebbe ripartire da qui, investendo sulla formazione per dimostrare agli uni, i militanti nostalgici, e agli altri, gli antifascisti pregiudiziali, cosa amare sempre. Così si allarga la platea del consenso e così si sconfigge la cultura dell’odio.

Aggiornato il 29 ottobre 2021 alle ore 13:47