
A chi commenta sui social la (troppo dura) sentenza di condanna (senza averla letta) di Mimmo Lucano come una “condanna della solidarietà” e assimila il sindaco di Riace addirittura al mito tragico di Antigone rivolgo un invito a leggere integralmente l’editoriale di Marco Travaglio sul Fatto quotidiano intitolato “Amaro Lucano”, basato sui fatti e documentato con citazioni testuali della sentenza. Ne riproduco qui solo alcuni brani che smentiscono le interpretazioni e i commenti affrettati e poco informati sulla significativa vicenda.
Scrive Travaglio: “Lucano non è stato condannato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: per la violazione della legge Turco-Napolitano è stato assolto, come per aver fatto carte false per far entrare illegalmente clandestini in Italia o munirli di documenti farlocchi. La sua battaglia contro le leggi sull’immigrazione – ammesso e non concesso che sia ammissibile da parte di un sindaco – non c’entra nulla. E nemmeno il “modello Riace”, cioè il meritorio “la condanna riguarda non gli aiuti ai migranti, ma una serie impressionante di pasticci finanziari con denaro pubblico”.
“L’altro – che forse spiega la discrepanza tra pena richiesta e pena inflitta – è la truffa aggravata allo Stato, cioè alla Prefettura e al Viminale (prima era “solo” abuso d’ufficio) per far versare 2,3 milioni indebiti o ingiustificati alle varie associazioni”.
“Ne consegue l’accusa di falso ideologico in atto pubblico per ben 56 determine “propedeutiche al rimborso dei costi di gestione dei progetti Cas e Sprar” in cui Lucano “attestava falsamente di aver effettuato controlli sui rendiconti di spese” fantasiosi. Un altro reato che porta alle stelle la pena è il peculato, per essersi “appropriato in modo sistematico” di “ingenti fondi ottenuti dallo Stato per l’accoglienza dei rifugiati”, “non meno di 2,4 milioni, distraendoli alle predette finalità” per “l’acquisto, arredo e ristrutturazione di tre case e un frantoio non rendicontati”, più “prelievi in contanti per 531.752 euro”, in parte usati “per il viaggio in Argentina di Lucano”, in parte per “i concerti estivi organizzati dal Comune di Riace”.
“Infine Lucano rilasciò a Tesfahun Lemlem, sua compagna etiope, un certificato falso: “lo stato civile di nubile anziché di coniugata, a lui noto”.
Mio commento: Travaglio stesso alla fine del suo informato editoriale riconosce in parte a Lucano l’attenuante etica delle “buone intenzioni”, ma solo per alcuni dei suoi reati. E gli attribuisce una sostanziale onestà ed una probabile sensazione di essere al di là della legge e di poterla violare impunemente. Il suo caso, più che quello di Antigone, ricorda piuttosto quello dei leader politici della prima Repubblica sgominati dall’inchiesta Mani pulite (in particolare di coloro che trasferivano le tangenti ai loro partiti) piuttosto che quello di Antigone.
Mi chiedo: che c’entra Antigone con Lucano, con i suoi pasticci amministrativi e con i suoi abusi non tutti eticamente motivati? Si dimentica che Antigone aveva come controparte un tiranno come Creonte e Lucano invece uno stato democratico? Si vuole avvolgere Lucano nell’aura dell’ambiguo e pericoloso mito delle “buone intenzioni?”. Chi decide in democrazia se non il Parlamento e le leggi approvate a maggioranza quali siano le buone intenzioni e quali no? Ritorna il mito della “giustizia sostanziale” tipico proprio dei giustizialisti con cui lo stesso Travaglio ha spesso civettato?
Aggiornato il 04 ottobre 2021 alle ore 10:34