Berlusconi al Ppe: necessaria una Europa forte e indipendente

Si sono riuniti a Roma i vertici del Partito Popolare europeo, il gruppo delle forze politiche liberali, conservatrici e moderate del Vecchio Continente. Presenti, tra gli altri, anche il presidente del gruppo al Parlamento europeo, Manfred Weber e il vicepresidente, Antonio Tajani. All’evento è intervenuto, da Arcore, anche l’ex premier Silvio Berlusconi, che col suo discorso ha inviato un segnale fortissimo non solo ai suoi detrattori italiani e a coloro che lo vorrebbero definitivamente fuori dalla politica (incluse le “toghe rosse” che, non avendo potuto metterlo dietro le sbarre, vorrebbero ora farlo dichiarare mentalmente instabile), ma anche alla politica europea.

Lungi dall’essersi dato per vinto, il Cavaliere ha più che mai intenzione di essere presente e attivo nelle vicende politiche, nazionali e comunitarie. Diversi i temi toccati durante il suo intervento. Anzitutto, ha ribadito il carattere fortemente europeista di Forza Italia, che ha sempre difeso la necessità di stare nell’alveo delle Istituzioni comunitarie. Il Partito Popolare europeo non solo è la casa naturale di Forza Italia, ma – si spinge a dire l’ex premier – è il cuore stesso dell’idea europea, che nasce e si fonda sui comuni valori liberali e umanisti, a loro volta figli del Cristianesimo, che Berlusconi definisce l’anima dell’identità europea, in quanto primo fattore capace di unire assieme i popoli del Vecchio Continente, al di là dei confini, delle lingue e delle tradizioni culturali.

Il Cavaliere ha poi proseguito concentrandosi sui temi geopolitici: l’Europa serve non solo perché le sfide dinanzi alle quali ci pone il mondo globalizzato non possono essere affrontate dai singoli Stati nazionali, i quali non hanno né la forza politico-economica, né tantomeno strategico-militare per misurarsi coi “giganti” del mondo moderno; ma anche perché l’obiettivo deve essere quello di perseguire una autonomia anche in termini di politica estera e di sicurezza. Da qui la necessità, ribadita da Berlusconi, di creare un Esercito europeo e di dotarsi di una diplomazia comune, attraverso i quali Paesi altrimenti piccoli e irrilevanti sullo scacchiere globale possano far sentire la loro voce e difendere i loro interessi: per esempio su un tema di importanza cruciale, come il controllo dei flussi migratori.

L’Unione europea, infatti, pur dovendo rimanere nell’Alleanza Atlantica e dovendo continuare a guardare agli Stati Uniti come agli unici alleati possibili, non può esimersi dal cercare di raggiungere una sostanziale indipendenza, dal punto di vista strategico e geopolitico dagli Usa. Quello che sostanzialmente Berlusconi vuole significare è che non possiamo, noi europei, continuare ad andare a rimorchio degli Stati Uniti e a subire passivamente le loro scelte di politica estera. A maggior ragione che – dice l’ex premier – gli Stati Uniti da soli non sono più in grado di garantire e proteggere l’ordine mondiale liberale. Da questo punto di vista, l’Europa del futuro dovrà fare i conti con l’antagonismo del blocco russo-cinese e con una rinnovata intesa anglo-americana, come dimostrano i numerosi accordi economici tra i due Paesi e il più recente patto militare per il Pacifico siglato dagli Usa, dalla Gran Bretagna e dall’Australia in chiave anti-cinese, che ha tagliato fuori l’Unione europea, anche dal punto di vista delle commesse militari.

Al termine del discorso, i maggiorenti del Ppe si sono lasciati andare a un lungo applauso. Le congratulazioni sono arrivate anzitutto dal presidente del gruppo, Manfred Weber, il quale ha ringraziato Berlusconi e Forza Italia per aver mandato il messaggio che l’Italia è finalmente tornata in Europa (tradotto: l’Italia ha chiuso la parentesi “giallo-verde” che ha dato qualche grattacapo a Bruxelles), per la lealtà dimostrata e per la loro adesione al governo di Mario Draghi, il quale saprà – dice Weber – realizzare le riforme di cui il nostro Paese ha bisogno. Lo stesso presidente degli europarlamentari del Ppe ha poi proseguito il discorso berlusconiano, ribadendo a sua volta la necessità di procedere speditamente verso l’integrazione e la sovranità europea, anche attraverso il superamento del meccanismo dell’unanimità, almeno sulla politica estera, sulla difesa e sulla gestione dei flussi migratori.

Frena invece sulla possibilità – paventata dal commissario all’Economia, Paolo Gentiloni – di modificare il patto di stabilità: sospensione per permettere la ripresa post-pandemia sì; modifica o abolizione no. La sostanza è questa. D’altra parte, il tanto vituperato patto di stabilità è stato l’unico strumento capace di mettere un freno alle spese pazze degli Stati come l’Italia, che generando debito costituiscono una vera e propria ipoteca sulle spalle delle future generazioni. Insomma, l’europeismo non è solo “roba di sinistra”. È possibile, pensabile, auspicabile e praticabile un europeismo di destra; un europeismo conservatore (o una “via conservatrice all’integrazione europea”, alternativa a quella social-democratica) che, forte dell’identità liberale e cristiana del Vecchio Continente e in nome della difesa di questa identità e degli interessi comuni, sappia mettere da parte gli egoismi nazionali e procedere verso un processo di sempre maggior integrazione.

Del resto, Berlusconi ha ragione: l’unità è una condizione essenziale per essere all’altezza delle sfide del mondo contemporaneo. Dalla difesa dei confini dalle ondate migratorie fino al fronteggiamento della minaccia russo-cinese e islamica: l’Europa è ormai una necessità. E l’obiettivo della sovranità europea passa dalla messa in comune del contingente militare e della diplomazia, oltre – come ribadito da Weber – dal superamento delle “vecchie regole”, che permettono agli Stati nazionali di sottrarsi arbitrariamente alle responsabilità che il far parte di una comunità implica.

Inoltre, i tempi sono ormai maturi per pensare a una maggiore autonomia dagli Stati Uniti, che nel frattempo hanno riscoperto un certo spirito isolazionista: il che significa che dobbiamo imparare a fare affidamento sulle nostre forze, senza aspettare che siano gli altri a fare la “voce grossa” o a difendere i nostri interessi, pur coltivando l’alleanza e l’amicizia storica coi nostri fratelli d’Oltreoceano. A questo proposito, voci di corridoio parlano del pressing dei dirigenti di Forza Italia sulla Lega di Matteo Salvini, perché abbandoni definitivamente il “lepenismo” e vada ad ingrossare le fila del Partito Popolare europeo, forte anche del lavoro interno dell’ala “moderata” del partito, guidata da Giancarlo Giorgetti.

Cosa farà la Lega? Rimarrà nell’alveo della destracontro-culturale” e anti-sistema? Continuerà a barcamenarsi tra due opposti inconciliabili come sta facendo adesso? O si deciderà a fare di se stessa un vero partito conservatore e istituzionale? Speriamo che i big della Lega sappiano richiamare Salvini a più miti consigli e che siano in grado di far capire al Capitano che la politica non è solo intercettare consensi, ma anche perseguire degli obiettivi chiari e definiti, avendo in mente una certa idea di società e di mondo non suscettibile di essere messa in discussione a seconda degli umori dell’elettorato. Infatti, se il proprio progetto politico non gode di buona fama presso gli elettori, un vero leader dovrebbe indurre questi ultimi a cambiare idea, e non essere indotto a cambiare idea dall’elettorato: perché un leader è tale se riesce a guidare gli altri e a convincerli della bontà delle sue proposte.

Da questo punto di vista, Salvini dovrebbe capire che il futuro è l’Europa e che l’obiettivo delle forze conservatrici e liberali (quelle vere), dovrebbe essere quello di una Europa forte, libera e indipendente, come quella storicamente prospettata dal Ppe.

Aggiornato il 23 settembre 2021 alle ore 11:24