La dittatura dei pannoloni

Nei filmati di repertorio l’immagine più ricorrente è quella delle nostre massime cariche istituzionali sedute alla scrivania, con una biro in mano, intente a sottoporre a revisione i documenti. Segno plastico della senilità della nostra società, governata da vecchi con la biro in mano nell’epoca del touch screen: sono vecchie le nostre più alte cariche istituzionali, sono vecchi i nostri burocrati apicali e sono vecchi anche i capitani d’azienda.

Essere vecchi non è un fatto anagrafico ma un modo di essere, una divaricazione evidente tra l’evoluzione della società e il modo di comprenderla e cavalcarla. Peccato che, a qualsiasi livello si collochi (politico, economico, burocratico), l’unica cosa che un appartenente alla classe dirigente non può permettersi è proprio quella di essere vecchio e cioè scollato dalla società e incapace di interpretarne l’evoluzione. Una volta ai vertici di un Paese si collocavano quelli visionari, cioè gli unici che intravedevano un domani invisibile ai più e si incaricavano di condurre la massa verso il futuro. Questo fino a poco tempo fa, fino a quando cioè chi guidava il Paese ha smesso di guardare ai giovani e al progresso lasciando le leve del potere a una sorta di oligarchia con l’agendina piena di contatti: dei brocchi ammanicati, un circolo anziani del potere.

Il giovanilismo Pentastar non è stato altro se non la naturale e scomposta reazione a tutto questo, cioè un tentativo goffo di sostituire le salme al potere con il primo ragazzetto che capita. Tentativo miseramente fallito, perché errato anche dal punto di vista teorico, anche se la reazione alla senilità imperante aveva un proprio fondamento. Forse è proprio per questo immobilismo vegliardo che l’unico strappo tecnologico e organizzativo con il Novecento è arrivato per caso e ce lo ha portato la pandemia: ci riferiamo allo smart working ovvero a quel modo di lavorare di cui molti parlavano perché faceva figo e non perché ci credessero veramente.

Se la situazione sanitaria non ci avesse costretto a stare in casa, le vecchie carampane alla guida del nostro Paese avrebbero continuato a dissertare di lavoro a distanza in qualche convegno (con la biro rigorosamente tra le mani) senza ovviamente mai dare corso alla stilosa dissertazione. In realtà, ne avevano gli zebedei pieni a tal punto che già lo scorso settembre avevano provato a trascinare tutti in ufficio. Poi quei maledetti picchi pandemici li hanno ricacciati in casa a pochi metri dalla moglie arpia e dal nipotino rompiscatole. Ci erano rimasti malissimo ma si erano ripromessi di riprovare a evadere dai domiciliari alla prima occasione concreta.

E puntuale come un treno del ventennio la benedetta occasione l’ha portata il caldo agostano: non appena i dati hanno dato loro l’impressione di poterlo fare, le vecchie carampane allergiche al progresso hanno iniziato a covare il pruriginoso sogno e a programmare il ritorno a quella che si ostinano a definire “vita normale” intendendo con questa espressione il ritorno coatto alle abitudini novecentesche dell’ufficio, della scrivania, delle macchinette del caffè, delle riunioni intorno al tavolo in mogano, del capo che si distingue dai sottoposti perché è l’unico ad aggirarsi con sguardo truce per i corridoi anche se sta solo raggiungendo il gabinetto spinto dalla maledetta prostata ingrossata.

D’altronde per queste mummie il tempo non passa, loro conoscono solo questo mondo, hanno sempre fatto così e non vengono nemmeno sfiorati dall’idea che quello che loro progettano non è il ritorno alla normalità ma l’ostinato tentativo di ritorno forzoso a un mondo che non esiste più, tranne che nelle loro catarrose abitudini. Un piano di evasione da questo dannato nuovo corso troppo lontano dalla loro normalità, una marcia indietro spacciata per progresso. È questa la dittatura dei pannoloni.

Aggiornato il 24 agosto 2021 alle ore 10:57