
Forse le aspettative sulla soluzione governativa del caso Monte dei Paschi erano troppo alte: personalmente, speravo in qualcosa di un po’ più deciso e radicale. Mario Draghi è uomo concreto e realista: sa benissimo che Monte dei Paschi è un cadavere che cammina e che l’intervento dello Stato non è la soluzione di tutti i problemi. Ma poi rammento che Draghi è ben lontano dall’essere un liberista “duro e puro” come quelli di cui l’Italia avrebbe bisogno per ripartire. Nella visione dell’ex governatore della Banca centrale europea il mercato è una parte importantissima dell’economia, ma deve convivere con l’intervento pubblico. La soluzione che si è scelto di adottare per Monte dei Paschi lo conferma. Proprio mercoledì sera si è tenuta l’audizione del ministro dell’Economia Daniele Franco, dinanzi alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, per riferire sulla questione. “Non si tratterà di una svendita – precisa Franco – ma di una soluzione nell’interesse del Paese”. L’orientamento dell’esecutivo sembrerebbe essere quello di seguire la direzione indicata dall’Unione europea: la dismissione della quota di partecipazione pubblica della banca toscana. Il dialogo con Unicredit – l’unica banca ad aver mostrato interesse per l’acquisizione – è un passo doveroso, secondo il titolare delle Finanze. Fin qui tutto bene, anche se la “svendita” – posto che non si tratta di un termine appropriato, considerando che non si può vendere qualcosa di scarso valore, come le azioni di Monte dei Paschi, a chissà quale prezzo, se davvero si vuole vendere – temo sia inevitabile.
Ma l’inghippo è dietro l’angolo. Il ministro Franco, infatti, si è affrettato ad aggiungere che il Tesoro potrebbe acquisire una parte delle quote Unicredit, ritrovandosi così azionista della banca di Piazza Gae Aulenti, pur specificando che tale eventuale partecipazione non altererebbe gli equilibri di governance. In pratica, stiamo cercando di vendere le quote pubbliche di Monte dei Paschi a Unicredit, salvo poi, di fatto, ricomprare le stesse quote appena vendute, sia pure sotto altra forma. Onestamente, mi pare un controsenso, per non dire una trovata schizofrenica: ma questo è il Paese in cui lo Stato deve essere presente in ogni cosa, in cui i tentacoli della piovra pubblica devono raggiungere ogni settore della vita sociale ed economica per non lasciare troppa libertà a nessuno. Morale della favola: continueremo a pagare per un servizio che non riceviamo, che non abbiamo richiesto e che è nell’interesse della sola classe politica e di quella parte di finanza desiderosa di sfuggire alla competizione e che, per questo, si rifugia sotto il mantello del potere pubblico. Lo Stato parteciperà comunque a tutti i benefici di creazione di valore derivanti dall’operazione di vendita, che deve assolutamente avvenire a condizioni di mercato (e vorrei ben vedere). In questo caso, forse, sarebbe opportuno che i ricavati della vendita fossero restituiti ai legittimi proprietari, vale a dire ai contribuenti italiani, i cui soldi sono stati usati per molti anni dallo Stato per finanziare una banca morente al fine di tutelare interessi politico-elettorali e di impedirne un fallimento decretato dalla sua inefficienza e dal suo non essere concorrenziale.
Il ministro dell’Economia informa che la ricapitalizzazione di Monte dei Paschi richiede un rafforzamento strutturale ben al di sopra delle previsioni iniziali. Riportare i coefficienti patrimoniali di Monte dei Paschi sulla media delle altre banche europee implica un aumento di capitale superiore ai due miliardi e mezzo di euro rispetto alle stime del quadriennio 2021-2025. A chi tocca pagare? Agli italiani, ovviamente. Infine, il ministro Franco precisa che il Governo intende tutelare i lavoratori facendo sentire la sua voce in ambito negoziale, cercando di strappare agli acquirenti le condizioni più favorevoli per la tutela dell’occupazione e del territorio. Tentar non nuoce, verrebbe da dire. Ma dubito seriamente che Unicredit sia disposta a fare grandi concessioni su questo punto. Se un certo numero di lavoratori sono in esubero e non sono più utili al funzionamento dell’attività, il loro licenziamento diventa inevitabile. Fa parte della strategia aziendale e del principio di adeguamento della domanda all’offerta. Dinamiche che sfuggono alla comprensione del potere politico, che si illude di poter controllare tutto e di poter risolvere ogni cosa a colpi di decreto.
In definitiva, quella del Governo è una soluzione di compromesso, tipicamente italiana, pensata, cioè, per non scontentare nessuno e per ridurre al minimo gli inconvenienti. A forza di “democristianate” di questo genere siamo arrivati al punto in cui siamo oggi. Dall’esecutivo di Draghi ci si sarebbe aspettato un po’ più di coraggio, ma anche un po’ più di sano realismo: il problema si ripresenterà tra qualche anno, quando ci ritroveremo di nuovo punto e a capo, col Governo che avrà fatto ancora più danni a causa della sua incapacità di gestire adeguatamente le sue quote e che cercherà disperatamente qualcuno a cui rifilarle, che a quel punto potrebbero valere ancora di meno e risultare ancora più difficili da piazzare sul mercato. Meglio sarebbe stato cercare ora qualcuno disposto a comprare le quote rifiutate da Unicredit: meglio una “svendita” ora, che una “svendita” domani a condizioni potenzialmente ancora più svantaggiose.
Aggiornato il 06 agosto 2021 alle ore 11:45