Il dirigismo è quella pratica che in politica predilige assegnare allo Stato un potere spesso eccessivo d’influenza e di organizzazione in numerosi campi, molti dei quali potrebbero essere invece appannaggio di soggetti privati. Lo Stato deve essere presente più di quanto gli competa nelle vicende economiche, ma deve anche indirizzare le relazioni sociali, i comportamenti quotidiani delle persone e le libertà individuali. L’idea dello Stato onnipresente ed onnipotente è stata messa in pratica ai massimi livelli dal totalitarismo comunista che, attraverso la pianificazione economica e sociale, ha statalizzato, ove ha potuto, ogni aspetto della vita quotidiana.
E le sinistre post-comuniste, operanti in sistemi democratici, ma agganciate in passato alle dittature del socialismo reale, rimangono tutt’oggi diffidenti verso la libertà e la responsabilità dell’individuo. Anche altri autoritarismi del Novecento come i vari fascismi realizzati in Italia, Spagna e Portogallo, pur avendo uno spirito pianificatore meno radicale rispetto a quello comunista, hanno sempre idolatrato lo Stato come risolutore di tutto, e nelle destre del Dopoguerra non sono mancati i cultori dello Stato-mamma che dovrebbe infilarsi in ogni dove, spinto da ragioni nazionalistiche. Parte del cattolicesimo politico ha anch’essa contribuito storicamente ad alimentare il mito della ingerenza pubblica ed assistenziale.
Gli innamorati del Big Government, come si usa dire Oltreoceano, sono presenti ovunque, anche negli Stati Uniti, in particolare fra i Democratici, ma l’Italia, a parte l’Est europeo rimasto prigioniero del giogo comunista sino al 1989, è una delle nazioni del mondo libero che meno hanno avuto a che fare con la cultura liberale. L’Italia repubblicana in particolare è stata e per molti versi rimane un luogo in cui i sostenitori dello Stato minimo, che si materializza solo laddove è strettamente necessario ed inevitabile, hanno sempre rappresentato una minoranza spesso demonizzata. Grazie alla pandemia il leviatano pubblico ha potuto allargare ulteriormente la propria sfera d’influenza, andando a colpire e a modificare, in una maniera forzata che non ha precedenti, l’esistenza di ogni giorno di famiglie ed imprese. Visto che al peggio non c’è limite, adesso, almeno in Italia e nel resto d’Europa, dovremmo iniziare ad abituarci ad un nuovo tipo di dirigismo statale, ossia a quello colorato di verde.
Le intenzioni paiono nobili, e cioè la difesa del pianeta Terra, ma dietro alla cosiddetta battaglia europea per la diminuzione e l’eliminazione delle emissioni di Co2 vi è un vecchio rigurgito statalista che pretende di cambiare lo status quo con imposizioni pubbliche e punizioni non divine, ma fiscali. L’Unione europea, con il così denominato Green Deal e come annunciato in pompa magna da Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, intende puntare alla riduzione del 55 per cento delle emissioni di gas ad effetto serra entro il 2030 per giungere poi ad emissioni zero entro il 2050. Al fine di raggiungere questi traguardi e di scoraggiare via via l’uso dei combustibili fossili da parte di privati ed aziende, visto che in democrazia nemmeno il più bieco dirigista può agire manu militari, si procederà a convincere i sudditi attraverso una maggiore tassazione a carico dell’industria, secondo gli “esperti” di Bruxelles, più inquinante e sui carburanti tradizionali, diesel e benzina.
Ursula von der Leyen è stata perentoria: “Chi più inquina, più paga!”. Per noi italiani, che già sopportiamo da sempre le accise più elevate d’Europa, sentir parlare di ulteriori tasse sui carburanti equivale al prosieguo di un incubo già in corso da molti anni, ma sarà tutto il Continente a rischiare di dover pagare costi sociali ed economici rilevanti, dovuti a decisioni piovute dall’alto e catapultate da autorità non elette che in quanto tali non hanno il polso della realtà e non devono peraltro rispondere ad alcun elettore.
Una delle tante disfunzioni di questa Unione europea è ben rappresentata da quei centri decisionali non legittimati dal voto popolare. L’economia europea che ancora boccheggia a fatica a causa degli ingenti danni provocati dalla pandemia e dai vari lockdown, dovrebbe già attrezzarsi per soddisfare determinati requisiti, diciamo così, green, investendo denaro senza troppe certezze circa il futuro, oppure prepararsi a pagare più tasse. Tutto ciò non sembra un bel modo per riavviare le economie della Unione europea travolte dallo tsunami del Covid.
Il cittadino medio del Vecchio Continente farebbe bene, secondo la neo-ecologista Ursula, a pensare solo più all’auto elettrica, anche perché dal 2035, in base ad un’altra imposizione verticistica, non saranno più vendute in Europa auto nuove a benzina e diesel. Altrimenti, il suo destino, già programmato dai piani alti, sarà quello di pagare sempre di più il carburante per la propria autovettura o mezzo da lavoro. Non importa se il tapino si è progressivamente impoverito nell’ultimo decennio a causa della crisi economica globale e poi del Covid, e spesso conserva per anni la stessa automobile non tanto per sfizio, bensì per mancanza di fondi sufficienti ad acquistarne una nuova.
Non frega a nessuno, a cominciare da Ursula von der Leyen, se al momento le auto elettriche più sensate e competitive, in termini di autonomia ed abitabilità interna, presenti sul mercato siano ben poco abbordabili a livello di prezzo. L’Europa non è solo Germania, Francia o Italia, ma ha anche una costola orientale dove non è sempre garantita la possibilità di ricaricare un mezzo elettrico, quindi rimane difficile per ora coprire lunghe distanze e viaggiare per l’intero Continente senza l’ausilio dei tanto detestati combustibili fossili.
Ma i burocrati Ue hanno lo sguardo talmente proiettato in avanti da non accorgersi più della realtà contingente. Non vedono la concreta possibilità di costi economici enormi, ben superiori ad eventuali benefici peraltro da dimostrare, a carico dell’industria europea, dei trasporti e della cittadinanza. Dicono che il Green Deal renderà l’Europa più competitiva nel mondo, ma i due maggiori colossi economici globali, Stati Uniti e Cina, non sembrano avere una grande fretta nel giungere all’abbandono dei combustibili fossili.
L’Unione europea, così si vanta la von der Leyen, è la prima realtà del pianeta a proporre un piano ambientalista decisamente ambizioso, ma rischia di essere anche l’ultima. Quando autorità di fatto elitarie si fanno prendere dalla smania dirigistica non possono che piovere disastri, civili, economici e sociali. Concludiamo con una domanda. Non sarebbe meglio, anziché punire chi non si allinea al nuovo verbo ecologista, lasciare al mercato il potere di rendere appetibile e conveniente l’uso di energie diverse da quelle tradizionali?
Aggiornato il 23 luglio 2021 alle ore 16:22