I liberali, questi sconosciuti

Oggi vorrei parlare di una categoria antropologica e politologica molto particolare e sempre più diffusa: quella dei liberali “a singhiozzo”. Essi si differenziano da altre due categorie consimili: quella dei liberali “modali” e quella dei liberali “di comodo”.

Per i liberali “modali” – come suggerisce l’aggettivo – il liberalismo è una tendenza del momento. Sono liberali semplicemente perché, in alcune particolari congiunture politiche, tutti si definiscono tali. C’è stato un tempo in cui gli ex comunisti di questo Paese – confluiti nel Partito Democratico della Sinistra dopo la “svolta della Bolognina” – si definivano “liberali di sinistra”. Poco importa che il loro programma economico restava basato su investimenti pubblici, guerra fiscale alla classe media e redistribuzione. Costoro si definiscono liberali semplicemente perché “così fan tutti”, o perché in quel momento sembra la cosa più saggia da fare. Per loro, infatti, il liberalismo non è una vera e propria dottrina politica, con le sue idee, i suoi principi di riferimento, le sue autorità intellettuali, i suoi libri e la sua logica: basta essere favorevoli alla libertà in generale per essere liberali.

Nella loro visione, il liberalismo non è altro che una parola “pigliatutto”: significa ogni cosa e il suo esatto contrario. Alla fine, basta essere astrattamente favorevoli alla libertà di tutti, no? Poco importa che le proprie idee economiche, la propria visione di società e la propria concezione antropologica siano specularmente opposte a quella proposta generalmente dalla dottrina liberale: dettagli insignificanti. Questi “liberali” pensano che sia giusto pagare la gente per starsene a casa a guardare la televisione; che le aziende partecipate debbano rimanere tali e che la loro privatizzazione sarebbe una catastrofe; si guardano bene dal proporre qualsiasi alleggerimento fiscale; sostengono la necessità di un forte sistema di welfare per combattere le “disuguaglianze”.

Per quanto riguarda i liberali “a singhiozzo”, si riconoscono nel liberalismo a intervalli di tempo: oggi sì, domani no, dopodomani forse, la prossima settimana chissà. Il loro liberalismo consiste semplicemente nel professare le idee tipiche dei liberali, salvo poi contraddirle radicalmente alla successiva occasione, oppure smentire ciò che hanno appena detto coi fatti. È il caso di chi sostiene di voler tagliare le tasse, e il giorno dopo sostiene la necessità di interventi pubblici per salvare le aziende improduttive, i posti di lavoro non più richiesti dal mercato o addirittura per stimolare l’economia del Terzo Mondo nella speranza che le masse provenienti da quelle realtà desistano dal prendere d’assalto le coste italiane. È il caso di quelli che difendono a spada tratta le libertà individuali e credono che la loro esistenza sia compatibile con quella di uno Stato forte e interventista.

Infine, ci sono i liberali “di comodo”: la mia categoria preferita, le cui contraddizione logiche e le cui arrampicate sugli specchi sanno essere, a volte, una vera e propria goduria. Questo tipo di liberali oggi sono per la libertà e domani per lo Stato. Diciamo che la loro adesione al liberalismo è opportunistica: se si tratta della loro libertà o di quella della loro schiatta sono degli anarchici; ma quando si tratta della libertà degli altri, allora diventano improvvisamente dei fascistoidi esagitati che invocano censura e manette per chiunque si discosti minimamente dalla loro visione del mondo e dalle loro regole di condotta. In genere, si ritengono detentori di verità assolute, custodi di una sapienza universale e oggettiva, monopolisti del bene in stile Donna Prassede. Loro sanno ciò che è giusto, ciò che è vero e non possono che fare del bene a se stessi e al prossimo. La libertà che invocano per loro stessi è funzionale a raddrizzare l’umanitàdeviata”; a riportare tutti sulla retta via; a convertire le “menti perdute”.

La loro è una vocazione quasi missionaria. Non tollerano che vi sia competizione di idee e di opinioni: solo le loro devono essere consentite, in quanto necessariamente vere e buone; quelle degli altri sono da silenziare. I liberali “di comodo” sono generalmente estremisti camuffati (di sinistra e di destra, atei e integralisti) che fanno della libertà d’espressione il loro scudo, ma la cui natura emerge immediatamente e li tradisce quando negano lo stesso diritto di opinare anche a chi non la pensa come loro o quando ritengono sia moralmente doveroso proteggere la società (che non esiste) dall’influenza negativa delle idee, delle opinioni e dai comportamenti che essi giudicano nocivi. Viva la libertà, ma nei limiti stabiliti dallo Stato etico: questa è la sintesi del loro pensiero. Poco importa che la morale di Stato sia confessionale o irreligiosa, conservatrice o progressista, reazionaria o rivoluzionaria: l’importante è che loro parlino e vivano come vogliono e gli altri stiano in silenzio, ben nascosti dai loro sguardi.

In tutto questo caos forse sarebbe bene riprendere in mano la lezione del vecchio (ma sempre attuale) liberalismo di Friedrich von Hayek, di Luigi Einaudi, di Ludwig von Mises, di Bruno Leoni, di Murray Rothbard e di altri grandi maestri: il vero liberalismo, quello che crede nella libertà a trecentosessanta gradi, con tutto ciò che essa implica in ambito economico, politico, sociale e culturale. Ora come non mai si sente la mancanza di questi “mostri sacri”. Ora come non mai, nel momento in cui le idee per le quali costoro hanno vissuto e alle quali hanno dedicato la loro intera esistenza vengono abusate e vilipese da chi ne ignora i principi primi, ci sarebbe bisogno di nuovi Austriaci.

Aggiornato il 15 luglio 2021 alle ore 12:34