
Dopo sette lunghissimi anni l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, è stato assolto in Cassazione dall’accusa di corruzione nell’ambito di uno dei filoni dell’inchiesta Mondo di mezzo.
Questa non vuole e non può essere anche un’assoluzione politica: l’ex primo cittadino probabilmente sarà il primo a ripercorrere il proprio mandato con l’amaro in bocca consapevole che, se tornasse indietro, forse qualcosa in più la farebbe e forse eviterebbe anche di legare il proprio nome a personaggi di dubbio spessore.
Fermo restando che quindi sull’Alemanno sindaco ognuno conserverà la propria opinione, ciò che interessa è osservare la dinamica perversa che, da Tangentopoli in poi, ha alterato il corso della democrazia e ha nel contempo dilaniato l’onorabilità dei presunti carnefici che dopo decenni si ritrovano vittime.
Dopo sette anni di fango nessuno chiederà scusa a Gianni Alemanno, così come nessuno ha chiesto scusa alle tante vittime di Tangentopoli annientate dal furore manettaro o a Silvio Berlusconi per quel clima di accerchiamento selvaggio che ne ha generato il tramonto, dando la stura a una serie inenarrabile di “governi Ogm”, nati in provetta al Quirinale in barba al volere del Popolo sovrano.
Perché, mutatis mutandis, se poi al Campidoglio ci siamo ritrovati Virginia Raggi è proprio perché una intera classe politica è stata presa a secchiate di sterco, indagata, sputtanata al cospetto del mondo, additata come mafiosa, corrotta, trafficona e criminale senza esserlo. Le riabilitazioni postume, soprattutto a distanza di sette anni, non restituiscono certo la carriera politica ai singoli (compreso Ignazio Marino), non ristabiliscono gli equilibri tra partiti ormai spazzati via e non riparano ai danni compiuti dall’inettitudine Pentastar.
Ma il gioco dell’imboscata è ancor più perverso perché il povero Gianni Alemanno – al netto del mea culpa politico che crediamo sia perfettamente in grado di fare in autonomia – è una persona con un passato forte alle spalle: deve essere stato veramente orribile rischiare la galera accusato di mafia e corruzione dopo essere stato il segretario del Fronte della Gioventù, dopo essere stato un leader stimato in un ambiente che ai mafiosi e ai corrotti non le mandava certo a dire. Uno con una storia così alle spalle la critica sul proprio operato amministrativo la accetta pure, ma sul piano morale non tollererà mai di essere accostato alla mafia.
I giudici adesso dicono che Alemanno può essere indagato solo per “traffico di influenza”, cioè quel reato farlocco applicato alla sola politica per tenerla in ostaggio. Quell’ammennicolo legale che forse – stanti le dichiarazioni di Luca Palamara – i magistrati dovrebbero applicare anche a loro stessi.
Cadrà persino l’impalcatura posticcia del traffico di influenze, anche se questa vicenda resta la prova generale di ciò che accadrà il giorno in cui il centrodestra dovesse andare al Governo del Paese: l’opposizione fatta a suon di carte bollate e avvisi di garanzia sarà di gran lunga più pericolosa di quella parlamentare e rischierà di fiaccare l’agire politico della coalizione (che dovrà evitare la nomina di disinvolti maneggioni). La magistratura farà quindi la sua parte, un po’ come accadde a Matteo Salvini sulla vicenda dei porti chiusi all’immigrazione irregolare.
D’altronde cosa aspettarsi da un Paese talmente ostaggio delle varie caste da non essere in grado di partorire una riforma della giustizia in grado di cambiare le cose?
Aggiornato il 09 luglio 2021 alle ore 17:27