
Si riuniscono i sovranisti e i conservatori di tutta Europa per sottoscrivere un documento che è assieme un manifesto politico e una carta dei valori. Molte le firme illustri: Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Santiago Abascal, leader di “Vox”; Marine Le Pen, presidente del “Rassemblement National”, il premier ungherese Viktor Mihály Orbán e il polacco Jaroslaw Kaczynski. Tutti uniti per un comune obiettivo: cambiare il volto dell’Unione europea, offrire ai popoli del Vecchio Continente un’alternativa e, al tempo stesso, una speranza.
Infatti, pare essere stata definitivamente archiviata l’ipotesi della dissoluzione dell’Unione europea attraverso delle “uscite a catena” in favore di una visione più realistica: riformare l’Europa, farne qualcosa di diverso rispetto a ciò che è stata finora, inaugurare un “nuovo corso”. Per fare questo, le forze di destra contano di riuscire a pesare maggiormente nel dibattito politico, sia nelle rispettive nazioni che in sede europea, dove – a detta di Marine Le Pen – si starebbe pensando a un gruppo unico dei “patrioti”, il quale dovrebbe nascere dalla fusione del gruppo dei nazionalisti da lei presieduto e quello dei conservatori, guidato proprio da Giorgia Meloni.
I firmatari rivendicano l’idea di una Europa che sia “rispettosa dei popoli e delle nazioni libere”, dichiarando inaccettabile il fatto che quegli stessi popoli e quelle stesse nazioni siano sottomesse “all’ideologia burocratica e tecnocratica di Bruxelles” e alla sua mania di regolamentare ogni aspetto della vita delle persone. Le nazioni – accusano i leader in questione – sono state lentamente spogliate della loro sovranità e del loro diritto a esercitarla. L’ipotesi di creazione di un Super-Stato europeo, secondo la logica federalista, viene definita “pericolosa” e “ingegneristica”: contro questa visione è doveroso e legittimo opporre resistenza. Inoltre, si critica il tentativo moralistico dell’attuale Unione europea di imporre un certo insieme di valori come assoluti e necessari, quella che viene definita una “rischiosa tendenza a imporre un monopolio ideologico”, una sorta di “morale di Stato”.
Al contrario, i leader delle destre sovraniste e conservatrici propongono un’Europa basata sulla cooperazione tra nazioni sovrane e non sull'integrazione o sulla fusione in un solo soggetto statuale e politico. Il fondamento di questo rapporto di collaborazione e di unità tra le nazioni dovrebbe essere la comune tradizione culturale, l’eredità storica condivisa e i valori cristiani che costituiscono la base della civiltà occidentale ed europea.
Si riafferma la centralità e l’importanza cruciale della famiglia per il futuro delle nazioni europee: in questo senso – si legge nel manifesto – le politiche a favore e a sostegno della famiglia dovrebbero essere la risposta all’immigrazione di massa e alla possibilità, sempre più concreta, di veder mutare irreversibilmente il carattere e la composizione etnica del Vecchio Continente.
Devo dire che da liberale “vecchia maniera” ci sono dei punti meritevoli d’attenzione. Sebbene chi scrive nutra molte riserve nei confronti di leader come Orbán – del quale difficilmente si possono condividere le politiche restrittive rispetto alla libertà d’espressione e d’informazione – o come la Le Pen – il cui programma economico, a base di interventi pubblici per stimolare l’occupazione e la crescita e di nazionalizzazioni per combattere “il capitalismo finanziario”, è qualcosa di semplicemente improponibile – è evidente che, d’altra parte, sia impossibile difendere coerentemente un’Europa sempre più leviatanica, fondata sulla burocrazia e sulla regolamentazione compulsiva di ogni minimo aspetto della vita dei cittadini.
Da questo punto di vista, la critica dei leader firmatari del manifesto in questione è più che legittima. Non è questa l’Europa di cui abbiamo bisogno, ma di un’unione di nazioni per meglio difendere gli interessi comuni. Nel tempo, il progetto federalista ha dimostrato tutta la sua fallacia: a partire da questo dato oggettivo, forse sarebbe il caso di iniziare a ragionare sull’ipotesi confederale, vale a dire su un’Europa fatta di nazioni che metta in comune i grandi temi – come la difesa, la sicurezza interna o la politica estera – lasciando per il resto piena libertà ai singoli Stati. Non si può, infatti, non tener conto delle profonde differenze e particolarità tra i vari popoli che compongono il Vecchio Continente: proprio per questo l’ipotesi federale sarebbe innaturale rispetto al carattere proprio del soggetto al quale si vorrebbe attribuire tale carattere.
Friedrich von Hayek probabilmente avrebbe definito tale tentativo “costruttivista”, basato cioè sulla presunzione dei governanti di poter imporre ai cittadini un certo assetto istituzionale “calato dall’alto”, percepito quindi come estraneo e non conforme al comune sentire e all’evoluzione storica della società. Condivido anche l’idea per la quale, alla base della cooperazione tra le nazioni europee, dovrebbe esserci la volontà di difendere le nostre tradizioni culturali e il nostro modello di civiltà. Ciò che non è stato chiarito è rispetto a quali minacce. Fin quando si parla di Islam siamo tutti d’accordo: ma che dire della Russia e della Cina? Il pericolo proveniente da queste due realtà, animate da un viscerale anti-occidentalismo, non è meno evidente di quello proveniente dal mondo musulmano. Eppure, alcuni dei leader sovranisti in questione sembrano vedere in quei Paesi dei punti di riferimento e degli interlocutori privilegiati: è il caso di Orbán e della stessa Le Pen.
Inoltre, all’interno della nostra tradizione culturale e del nostro modello di civiltà, assieme al Cristianesimo trovano posto anche il capitalismo e la filosofia liberale: come difendere e conservare questi valori con leader anti-capitalisti e sostenitori del “big government” come la Le Pen, o con i fautori della “democrazia illiberale” come Orbán?
Altrettanto condivisibile è il rigetto nei confronti della “morale unica” o del tentativo dell’Unione europea di regolamentare il pensiero, gli orientamenti etici o le idee dei singoli. Ma anche qui emerge una mancanza di coerenza: se si rifiuta l’idea di una “morale di Stato” al livello europeo, perché la si accetta e la si promuove a livello nazionale, come stanno facendo Orbán in Ungheria o Kaczynski in Polonia? Certo, i valori sono molto diversi tra le società europee, ed è giusto che ciascuna di queste viva secondo quelli che le sono propri: ma ciò non vuol dire che debba essere il Governo a imporre un certo corpus di valori.
Infine, è giusto rilanciare la famiglia e promuovere la crescita demografica anche per impedire che l’Europa diventi una colonia afro-musulmana: ma lo Stato non può fare nulla in questo senso. Perché questo avvenga, Orbán o Vladimir Putin possono inventarsi tutte le leggi contro la “propaganda gay” che vogliono, e la Meloni e Salvini possono proporre tutti gli assegni sociali che ritengono opportuni: non serviranno a nulla fin quando non si ristabilirà un principio fondamentale come quello di responsabilità individuale. La moralità e la rettitudine di costumi emergono nel momento in cui lo Stato si fa da parte e ciascuno viene messo nelle condizioni di dover provvedere autonomamente a se stesso, la qual cosa rende necessario condurre uno stile di vita rispettabile e disciplinato.
Al contrario, l’azione dello Stato è quanto di più deresponsabilizzante ci possa essere: gli individui, sicuri di essere protetti, sussidiati e assistiti in ogni caso e indipendentemente dai meriti soggettivi, iniziano a percepire come superflua l’osservanza delle norme morali, dei buoni costumi e della stessa vita sociale e familiare. Se si vuole rilanciare la famiglia, dunque, la soluzione è ridurre il ruolo Stato nella vita delle persone: l’eccessiva tassazione, il welfare e gli interventi distorsivi del potere pubblico, sul mercato come sulla società, sono all’origine del declino della famiglia e della moralità tradizionale e nient’altro.
Al momento, dunque, sospendo il mio giudizio su quest’iniziativa, in attesa che i punti più controversi vengano chiariti. Se l’idea è quella di un’Europa della libertà, dove il ripudio della logica statalista e leviatanica valga sia a livello europeo che a livello nazionale, partendo dal presupposto che la sovranità appartiene agli individui che compongono una nazione e non a un’idea astratta di cui lo Stato è il rappresentante e il portavoce, allora c’è da accogliere entusiasticamente questo progetto. Ma se si tratta di combattere lo statalismo europeo semplicemente per tornare allo statalismo nazionale, allora si tratta di una battaglia persa in partenza e che, in fondo, non vale nemmeno la pena contrastare.
Aggiornato il 06 luglio 2021 alle ore 10:34