
La proposta di Matteo Salvini di federare le forze di centrodestra, partendo dai soggetti di tale area che sostengono il Governo Draghi, ma senza escludere almeno formalmente Fratelli d’Italia – che come è noto è alla opposizione – ha subito ricevuto l’appoggio di Silvio Berlusconi. Il leader di Forza Italia sembra però voler andare addirittura oltre ai desiderata salviniani, al punto da mettere in difficoltà lo stesso Salvini.
Il Cavaliere parla già di partito unico del centrodestra italiano, mentre tale ipotesi pare prematura per il segretario della Lega. Berlusconi intravede la possibilità di un nuovo contenitore non tanto per domani, ma almeno per dopodomani e in particolare nel 2023, dopo le elezioni politiche. Se due o più partiti scelgono di federarsi è normale che possano anche prendere in considerazione l’idea di fondersi in un secondo momento. Quando la cultura del bipolarismo era maggiormente in voga in Italia, in tanti abbiamo sperato in una semplificazione del quadro politico e nell’avvento di due o tre grandi partiti di massa alternativi fra loro per la guida del Paese, come avviene nelle migliori democrazie. Perciò, quando torna la volontà di unire i simili in schieramenti più ampi, essa non può essere rifiutata a priori.
Qualcuno potrebbe obiettare, con diverse ragioni, che un dibattito del genere possa ormai interessare soltanto agli addetti ai lavori e quasi nulla agli italiani, concentrati perlopiù a sopravvivere dopo la devastazione economica e sociale provocata dalla pandemia. Ma una democrazia meno frammentata permette sia al potere esecutivo che a quello legislativo di funzionare meglio, a vantaggio della quotidianità del cittadino. Quante volte abbiamo ascoltato dalla gente comune le seguenti parole “in Italia ci sono troppi partiti”? Quindi, la riduzione della dispersione partitica, un problema storico di questo Paese, è un tema anche popolare.
Ma nel momento in cui due o più forze si fondono o si limitano anche solo a federarsi, come preferisce Salvini, esse sono costrette ad arricchire di contenuti, anche diversi e competitivi fra loro, come avviene nel Partito Repubblicano americano citato spesso proprio da Berlusconi, la nuova casa che decidono di costruire. Altrimenti, si fa poca strada e non si lascia nulla alle generazioni più giovani. Si spera che l’esperienza del Popolo della Libertà abbia insegnato qualcosa a tutto il centrodestra, sia quello di Governo che quello di opposizione. Non ci si può unire in fretta e furia solo per fare fuori, elettoralmente parlando, gli avversari, in un qualcosa che assomiglia più ad un cartello elettorale che ad un partito vero e proprio.
L’adesione deve essere frutto di un percorso ragionato e non deve essere spinta dalla paura della solitudine, (ricordiamo, a tal proposito, gli stop and go e l’ingresso poco convinto nel Pdl di Gianfranco Fini e di Alleanza Nazionale). Per esempio, il partito unico auspicato da Berlusconi e la federazione prefigurata da Salvini rappresenterebbero un errore tremendo se fossero pensati solo per isolare o intimorire Giorgia Meloni. Il risultato equivarrebbe a un rafforzamento ancora più marcato di Fratelli d’Italia. È fondamentale valorizzare le radici ideali di tutti i soggetti aderenti e creare una sintesi in cui anime diverse possano riconoscersi.
In caso contrario, al primo insuccesso elettorale o all’affacciarsi del declino di una leadership rimasta in sella per tanti anni, tutto viene giù come un castello di carte. La mente non può che ritornare all’epilogo del Pdl a trazione berlusconiana. La sintesi ideale, quella che tiene insieme per esempio i repubblicani d’Oltreoceano e i conservatori britannici, non può però essere quella del popolarismo europeo targato Angela Merkel, con tutto il rispetto e l’amore per Silvio Berlusconi. La considerazione per la figura politica del leader di Forza Italia non deve essere vista come un atto di tenerezza verso un uomo in età avanzata che magari conta molto meno rispetto al passato. Perché, al contrario, si tratta della doverosa stima nei confronti di un personaggio che se da un lato ha fatto arrabbiare tante volte soprattutto i liberali di centrodestra, per una certa rivoluzione disattesa, dall’altro ha tenuto lontani dal Governo del Paese per più stagioni politiche sia una certa tecnocrazia che il Partito Democratico il quale, dopo la caduta dell’ultimo Governo Berlusconi, si è infilato non a caso in tutte le maggioranze possibili senza mai vincere una elezione.
Tuttavia, la proposta berlusconiana di una Cdu italiana appare poco corrispondente all’attualità. Berlusconi vorrebbe che l’ipotetico partito unico, immaginato per il 2023, si chiamasse Centrodestra Unito, con il risultato di avere lo stesso acronimo della Cdu tedesca, i cristiano-democratici di Angela Merkel. Lo scopo è proprio quello di richiamarsi al partito della cancelliera Merkeò e più in generale, al popolarismo continentale e al Ppe, Partito Popolare europeo.
Intanto, si aprirebbe subito una disputa con gli alleati più importanti e determinanti, Fratelli d’Italia e Lega, i quali notoriamente non fanno parte del Ppe in Europa. Poi, tante cose sono cambiate in Italia e in Europa, e lo stesso Partito Popolare europeo non è più il medesimo contenitore fusionista di qualche anno fa che ospitava anche i conservatori non discendenti diretti della tradizione democratico-cristiana. Riconoscersi completamente nella Cdu tedesca significa fare propria una certa idea di Europa franco-tedesca, (Berlino e Parigi dominano, agli altri le briciole), che l’elettorato italiano di centrodestra ha via via bocciato negli ultimi anni.
Fra essere eurolirici e acritici e voler buttare giù tutto con l’esplosivo, ci può essere la via del buonsenso che non teme di denunciare le storture di questa Unione europea e lotta per migliorarla, ma allo stesso tempo non propugna colpi di spugna dalla sera alla mattina, peraltro improbabili, sulle Istituzioni comunitarie e sulla moneta unica. Le vicende europee più recenti hanno costretto sia gli adulatori di questa Ue così com’è che gli acerrimi contestatori della stessa a correggere in parte le loro posizioni. Per dirla in breve, Merkel e simili hanno ormai mostrato tutti i loro limiti, ma Marine Le Pen non sfonda alle elezioni.
Ecco che serve, tornando al partito unico invocato da Berlusconi, un’aggregazione ampia e plurale che sia in grado di accogliere tanto i popolari quanto i conservatori, i liberali, i federalisti. E più che gli eurolirici o gli euroscettici, gli eurorealisti.
Aggiornato il 02 luglio 2021 alle ore 09:53