Draghi: Italia al fianco nella Libia nella transizione

Si è concluso il vertice bilaterale tra Italia e Libia che ha visto il confronto tra il premier Mario Draghi e il primo ministro libico, Abdul Dbeibeh. Entuasiaste le dichiarazioni del presidente del Consiglio, per il quale la collaborazione tra i due Paesi continua a essere sempre più fertile e viva: l’Italia rimane al fianco della Libia e la sostiene in questa transizione complessa.

Moltissimi gli argomenti toccati: dall’immigrazione alle energie rinnovabili, dall’emergenza Covid alle infrastrutture. Sull’immigrazione, Draghi ha sostenuto che si tratta di una priorità per entrambi gli Stati. La Libia deve impegnarsi nel controllo delle sue frontiere, nel contrasto al traffico di esseri umani, per la creazione di corridoi umanitari e per l’assistenza ai rifugiati. Dal canto suo, l’Italia continuerà a finanziare i rimpatri volontari. Tutto questo in attesa del Consiglio europeo di giugno, in cui la migrazione tornerà al centro della discussione politica comunitaria e in cui l’Italia farà pressioni, affinché si giunga a una soluzione condivisa.

Secondo il premier libico, il problema migranti non si risolve solo col controllo delle frontiere o col contrasto agli scafisti: serve andare alla radice della questione. L’Italia si impegnerà anche nella costruzione di nuovi ospedali nel Paese nord-africano per il contrasto alla pandemia, finanziariamente e attraverso l’invio di personale sanitario: si tratta di una cooperazione sanitaria di ampie dimensioni, ha detto Draghi. Ma non finisce qui: il Governo italiano, al fine di rilanciare la collaborazione tra i due Paesi e di agevolare il percorso di ricostruzione in Libia in seguito alla guerra civile, investirà anche in progetti infrastrutturali, come la realizzazione dell’autostrada costiera e per la riattivazione dei collegamenti aerei attraverso la ricostruzione degli aeroporti distrutti.

Il premier libico ha auspicato, oltre alla riabilitazione delle ottime relazioni bilaterali che i due Paesi hanno sempre intrattenuto, anche un incremento dello scambio commerciale con l’Italia: a questo scopo, la Libia farà tutto quanto sarà necessario per eliminare ogni ostacolo in tal senso. Fa un certo effetto sapere che la Libia farà quello che l’Italia non riesce a fare per se stessa: semplificare la vita delle imprese e riconoscere la loro fondamentale importanza per un’economia. Noi, invece, continuiamo a trattare gli imprenditori come criminali e cerchiamo sempre di fare del nostro meglio, per impedirgli quanto più possibile di fare il loro lavoro.

Nonostante i buoni propositi, non riusciamo a riformare questo pessimo aspetto del nostro sistema: un po’ come l’alcolizzato che si prefigge di abbandonare il suo vizio, ma di farlo sempre l’indomani. Al netto di questo, non capisco il senso delle parole entusiaste di Draghi: cosa è cambiato – per esempio – in tema di immigrazione? Nulla, se invece di presidiare le nostre frontiere continuiamo ad aspettare che altri lo facciano per noi, si tratti dei libici o dell’Unione europea, non fa alcuna differenza. Se poi si riuscisse ad arrivare a una soluzione comunitaria conveniente per noi, tanto meglio: nel frattempo, facciamo quello che dobbiamo fare coi mezzi di cui disponiamo. Al contrario, continuiamo a pensare di pagare i clandestini per fare ritorno da dove sono venuti: ma nel Paese dove gli occupanti abusivi di case e gli inquilini morosi sono più tutelati dei proprietari ciò non desta più di tanto stupore.

Da noi il diritto è quello del presunto debole o dell’eterna vittima del sistema, non di chi quel diritto ce l’ha per davvero. Il premier libico ha ragione: il problema va risolto alla radice. Il che non vuol dire fare in modo che l’Italia (o l’Europa) tirino fuori i soldi – aumentando le incursioni fiscali nelle tasche e nei conti correnti dei cittadini – per finanziare lo sviluppo in Africa, dal momento che gli investimenti pubblici per stimolare la crescita si basano sulla mitologia keynesiana e non certo sulle leggi dell’economia. E dal momento che qualunque investimento non porterebbe alcun benessere in una realtà vittima di se stessa, come quella terzomondiale. Risolvere il problema alla radice vuol dire semplicemente sorvegliare ciascuno i propri confini, bloccando le partenze, quindi gli arrivi. E attivare misure di contenimento dei flussi, oltre a prendere provvedimenti contro i trafficanti di esseri umani, inclusi quelli che giustificano le loro azioni con motivazioni umanitarie e morali (chi deve intendere intenda).

Per quanto riguarda l’aspetto sanitario e infrastrutturale, personalmente, sono un sostenitore della privatizzazione di entrambe le cose, e auspico che ciò avvenga quanto prima nel nostro Paese. In ogni caso, volendo ragionare in altri termini, non capisco come si possa pensare che in un momento come questo, col nostro sistema sanitario pieno di difetti, di inefficienze e assolutamente bisognoso di essere riformato e con le nostre strade che cadono a pezzi, la priorità dell’Italia sia quella di spendere i denari dei contribuenti nostrani per migliorare il servizio sanitario e la viabilità in Libia.

C’è poco da rallegrarsi, caro Draghi: di certo non lo faranno i cittadini italiani, che dovranno continuare a “fare omaggio” di una parte sempre più consistente dei propri averi senza ricevere alcun beneficio. E che dovranno continuare ad accogliere migranti senza che nessuno faccia niente.

Aggiornato il 01 giugno 2021 alle ore 11:27