Lettera a Domenico De Masi: fermiamo la politica dei gendarmi

Da un mesetto il sociologo Domenico De Masi parla sui media de “la tempesta perfetta che porterà a quindici milioni i poveri nel nostro Paese”. De Masi aggiunge come sia vivo nella borghesia e nella classe dirigente una sorta d’indifferenza verso chi caduto in irreversibili forme di povertà. Proprio lo scrivente dalle pagine de L’Opinione lanciava circa un decennio fa l’allarme, e la sveglia ad indignarsi, verso quella morte civile che è la povertà da cui l’individuo non potrebbe più sortire per motivi bancari, fiscali, tributari, giudiziari… Su un dato di fatto si concorda col chiarissimo De Masi, e cioè che l’intera classe dirigente e partitica italiana ha preso da decenni le distanze dai milioni d’italiani caduti in forme irreversibili di povertà.

Financo i Cinque Stelle, giunti in Parlamento ed al Governo per porre fine a questa “morte civile” comminata a più di cinque milioni d’italiani, sono finiti per assuefarsi al comune sentire, all’indifferenza. Perché dei quindici milioni di cui parla De Masi, più di cinque pare debbano accettare di non poter più sortire dalla povertà. Quello che abbiamo sotto gli occhi è un italiano medio assai peggiore di colui che abitava l’Italia di metà anni Settanta e fine Novecento. L’odio dell’uomo verso il proprio simile ha ormai inviluppato una grossa fetta di popolazione. Prova di quanto si va sostenendo è sotto gli occhi di tutti. Sarebbe bastevole ascoltare i discorsi fuori dai bar nei primi scorci di nuova socializzazione: la gente parla soprattutto di multe, sanzioni e galera, ovviamente augurando questi guai al proprio prossimo, ad imprenditori e professionisti, politici e commercianti, o semplicemente conoscenti che nell’immaginario se la passerebbero meglio.

È lo stesso odio che Jurij Andreevic Zivago percepisce quando fa ritorno nella sua Mosca, ed incontra vecchi conoscenti tutti animati da una miserabile accidia, mentre la sua città natale è stretta nella morsa della povertà. In quella Mosca la famiglia di Zivago è stata espulsa in quanto anti-sovietica, e fortunatamente ha trovato riparo a Parigi. Zivago non sente in giro che paura, sanzioni e galera. Gran parte degli italiani vive oggi lo smarrimento di Zivago: non si sa cosa fare, se fuggire, raggiungere i propri cari lontani, o costruirsi uno strapuntino di modestissima certezza in questa miserabile società.

Difficile e complesso diagnosticare in poche righe come gli italiani, popolo sorridente e speranzoso, si siano potuti trasformare in gente triste e sconfitta. Gran parte delle colpe risiede nella loro creduloneria, nella scarsa capacità d’analisi. Nell’aver ritenuto che gente sempre più sempliciona e poco accorsata culturalmente potesse dimostrarsi più onesta a governare. Così, estinti i politici di professione è stato spalancato il portone a gente improvvisata, pescata qua e là nella cosiddetta società civile.

Il tanto deprecato Parlamento ante 1992 non era certo un’opera pia, ma ci sedevano costituzionalisti, medici, ingegneri, esperti di Diritto amministrativo…e c’era ancora tra loro qualche “padre costituente”. Un amico mi dice che “se allora fossero esistiti i social network, chi organizzava incontri politici tra Amintore Fanfani ed il Cardinale Alfredo Ottaviani si sarebbe ben guadato dal diffondere foto e contenuti”. Soprattutto Fanfani, Andreotti, Craxi, Almirante, Spadolini, Berlinguer, Malagodi, Forlani…non sarebbero mai caduti in una polemica col menestrello Fedez, né avrebbero bramato farsi fotografare con Chiara Ferragni. Forse il democristiano Vito Lattanzio avrebbe sorriso e ribattuto “bravo, bravo… continui a cantare che le fa bene”.

Però sui tavoli di quell’ormai storica classe dirigente lo scrivente vi trovava le grandi vertenze contrattuali, i progetti di potenziamento di ferrovie, poste, consorzi di bonifica, porti, aeroporti e ogni ambito che potesse dare lavoro e reddito agli italiani. Qualche Cinque Stelle obietterà che si trattava di lavoro clientelare. Qui c’è da domandarsi se sia meglio erogare il reddito di cittadinanza o favorire assunzioni in massa e con basso stipendio in consorzi ed aziende varie di Stato e parastato? Il Cinque Stelle ed anche qualche Partito Democratico obietteranno che quel modello di lavoro è superato per motivi tecnologici e cibernetici, che gran parte dei cittadini dovrebbero starsene a casa con un reddito elettronico, e perché il loro lavoro ormai lo fanno le macchine.

È evidente che questa classe dirigente abbia una visione falsa più che distopica della realtà. La politica non può fuggire alle soluzioni, non si può dire a quindici milioni d’italiani che un progetto di “povertà sostenibile” permetterà loro di mettere il piatto a tavola e di vivere in una decorosa bidonville tecnologica. È evidente la visione falsata, più che distopica, che l’attuale classe dirigente ha delle vicissitudini dell’uomo di strada. Stesso discorso vale per magistrati e poliziotti che, come ai tempi di Napoleone III, reputano i venti rivoluzionari possano soffiare per colpa d’una non ben chiara opposizione extraparlamentare. Oggi la guerra civile è uno scenario possibile, e potrebbe prefigurarsi con un modello “venezuelano-parigino”: similare ai contrasti che polizia ed esercito fronteggiano nelle periferie di Caracas, o quella guerriglia urbana che anima le Banlieue di Parigi. Nel modello classico era una certa aristocrazia e borghesia che forniva le armi al popolo, oggi il modello in espansione potrebbe rivelarsi quello degli eserciti paramilitari e rivoluzionari finanziati dal narcotraffico: del resto, il recente arresto del rapper romano di borgata ha rivelato che l’uomo guadagnava dallo spaccio e cantava la guerra tra i giovani emarginati e la polizia.

E qui si chiede al professor De Masi di collaborare a suonare la sveglia alla classe dirigente. Quest’ultima non può reputare sia bastevole militarizzare il territorio, trasformare l’Italia in uno Stato di polizia, reprimere con la forza ogni contestazione e spacciare come modello da imitare quel giovane che sta davanti al computer tutto il santo giorno, distanziato e misantropo. Perché come nel messaggio di Terrence Malick ne “La rabbia giovane”, la violenza giovane e ribelle può esplodere quando meno ce lo si aspetta, ed invilupparci tutti in una spirale che non abbiamo voluto prevedere. Perché sempre più gente ha preso coscienza che democrazia e libertà non sono sinonimi di omologazione consumistica, di stili di vita preconfezionati, di imposture del mainstream.

Soprattutto, la recente storia francese ha dimostrato che, non ci potrebbe mai essere l’accettazione supina di massa d’un percorso d’esclusione sociale, prima o poi la società genera il cane sciolto, l’emulazione a ribellarsi o la reazione terroristica. Del resto, Toni Negri aveva già preconizzato nel manifesto no-global che la sovranità globale, derivante dalla crisi dei moderni stati-nazione, avrebbe inaugurato nuovi conflitti. Oggi, sempre più gente percepisce che il potere non si fida più del popolo, che essere felici senza possedere nulla è solo una pubblicità dell’Agenda 2030, che eserciti e polizie giurano fedeltà al potere (come nell’ex Paraguay di Alfredo Stroessner). Oggi che tutto è svelato, solo una bigotta e manichea classe dirigente e di partito crede che tutto si possa fermare con i gendarmi di Pinocchio.

Aggiornato il 14 maggio 2021 alle ore 12:52