Piano Lamorgese: un fallimento in partenza

Si torna a parlare di emergenza immigrazione. Negli ultimi giorni sono sbarcati a Lampedusa più di duemila migranti, che vanno ad aggiungersi agli undicimila arrivati dall’inizio dell’anno, per un totale di tredicimila arrivi da gennaio. Secondo le stime del ministero dell’Interno, i numeri sono destinati ad aumentare nel corso dell’estate, stagione durante la quale gli sbarchi tendono ad intensificarsi, raggiungendo spesso quote davvero considerevoli. Si parla addirittura di ben settantamila immigrati pronti a partire dalla Libia.

Su questo punto si è espressa proprio la titolare del dicastero, Luciana Lamorgese, la quale sembra intenzionata a fronteggiare la questione, riproponendo una ricetta vecchia e già dimostratasi priva di utilità: quella dei ricollocamenti a livello europeo. In un colloquio telefonico con il commissario europeo agli Affari interni, Ylva Johansson, la ministra ha fatto presente come l’obiettivo immediato dell’Italia, in attesa della definizione di una strategia europea sulla questione dell’immigrazione e del diritto d’asilo, sia quella di attivare un meccanismo temporaneo di solidarietà tra gli Stati membri della Ue, per redistribuire i migranti arrivati sulle nostre coste o soccorsi nel Mediterraneo.

Lamorgese ha invocato un immediato “cambio di rotta”: gli Stati membri dell’Unione europea dovrebbero essere più partecipi e solidali nei confronti dell’Italia. Essendo la revisione dei trattati e degli accordi comunitari sulle politiche migratorie un processo lungo e che si prevede difficoltoso, la soluzione di breve periodo – sostiene la titolare degli Interni – non può che essere quella di farsi carico tutti assieme della situazione, facendo in modo che tutti i Paesi accolgano automaticamente, sulla base di un meccanismo di quote condivise, i migranti sbarcati o recuperati in mare.

Dal canto suo, Johansson ha ringraziato l’Italia per il suo impegno nella gestione dei flussi migratori, riconoscendo al tempo stesso la necessità, per l’Europa, di dimostrare concretamente solidarietà, chiedendo agli Stati di sostenere i ricollocamenti e di prendere parte agli sforzi dell’Italia. Tutto questo in vista del summit di Tunisi del prossimo 20 maggio, in cui le autorità europee e quelle tunisine cercheranno un accordo per una missione volta a fermare le partenze e ad aumentare i rimpatri in cambio di un sostegno economico per lo sviluppo del Paese nord-africano.

La prima impressione è quella di assistere a un film già visto decine di volte: si conoscono le battute, si sa già cosa faranno i protagonisti e come si concluderà la vicenda. In questo caso, sappiamo già cosa succederà: quello che è successo in passato. La tattica dei ricollocamenti e della solidarietà europea si è dimostrata fallimentare prima e fallirà anche stavolta. È evidente che gli altri Stati europei non hanno alcun interesse a spartire gli immigrati con l’Italia. Il motivo di ciò è facilmente comprensibile: nessuno vuole accogliere immigrati per lo più clandestini, senza arte né parte, che dovranno essere curati, sfamati e vestiti (qualcuno aggiunge anche vaccinati, per garantire la sicurezza degli autoctoni) a spese dei contribuenti locali e che, come successo anche in Italia, inevitabilmente finiranno per impattare negativamente sulla sicurezza e la vivibilità delle varie realtà che con loro dovranno rapportarsi.

Un accordo sulla redistribuzione non verrà mai raggiunto, considerando che ci saranno sempre gli Stati contrari a qualsiasi tipo di ricollocazione dei migranti, come i Paesi del Blocco di Visegrad, ma anche come la stessa Francia o la Germania che, pur dicendosi favorevoli a parole, coi fatti smentiscono puntualmente le loro dichiarazioni. Tutto questo senza contare che l’emergenza sanitaria è ancora in corso e che c’è un’esigenza ancor più pressante di ridare slancio alle economie europee, messe in crisi dalla pandemia. Questo, semplicemente, non consente di moltiplicare le voci di spesa pubblica e di aggravare ulteriormente i vari sistemi sanitari attraverso l'accoglienza.

Si tratterebbe di un atteggiamento sommamente scriteriato e irrazionale. Basterebbe cominciare a pensare in termini diversi: non a come continuare ad incoraggiare le partenze, a come soccorrere i migranti o a dove mandarli una volta arrivati, ma a come arginare i flussi. Si tratta di smettere di considerare l’immigrazione una mera questione umanitaria per iniziare a ragionare su tutti gli altri aspetti di questo fenomeno, alcuni dei quali molto più pratici e determinanti per la vita dei cittadini.

Il summit di Tunisi potrebbe essere un buon inizio: sempre che noi si decida di far valere la nostra autorità negoziale e di far rispettare gli accordi – ad esempio prevedendo penali per qualunque inadempienza – evitando così di ripetere, anche qui, gli errori del passato. Rimarrebbe comunque l’incognita della Libia, altra rotta privilegiata dei migranti. Su questo serve un’azione decisa da parte dell’Unione europea, che per una volta dovrebbe parlare con una voce sola, essendo il contenimento dei flussi migratori nell’interesse di tutti gli Stati. E se non sarà l’Europa allora dovremmo provvedere autonomamente. Quel che è certo è che ora meno che mai – con una situazione socio-economica così compromessa e l’emergenza sanitaria ancora in corso – possiamo permetterci di accogliere altri migranti. Umanamente potrà essere spiacevole, ma realisticamente e da un punto di vista puramente razionale, non ci sono alternative.

Aggiornato il 13 maggio 2021 alle ore 09:53