
Non si è mai troppo vecchi. Soprattutto per il… carcere giusto! I brigatisti di Renato Curcio e Alberto Franceschini volevano completare l’opera incompiuta di liberazione dell’Italia dall’oppressore (nella loro visione, il Fascismo era stato sostituito con continuità dalla dittatura americana del Sim, Stato Imperialista delle Multinazionali), ispirandosi per questo alla guerra partigiana, con trenta anni di décalage rispetto a coloro che combatterono contro la Repubblica di Salò e l’occupazione nazista. Del Fronte di Liberazione le Br prima maniera copiarono approssimativamente (senza mai avere un minimo di sostegno popolare, al contrario dei resistenti veri!) l’organizzazione di allora, con tanto di cellule, colonne, Direzione strategica e Comitato esecutivo.
Fin dall’inizio, la confusione regnava sovrana nelle proto Brigate Rosse, che vollero miscelare in un’unica casa-madre dell’eversione comunista il sindacalismo di lotta dura delle fabbriche fordiste del Nord Italia, con la guerriglia dei tupamaros catto-comunisti nostrani. Verrebbe da ridere, se tutto ciò non avesse prodotto una lunghissima scia di morti assassinati nei ranghi dei servitori dello Stato e in molte altre categorie di intellettuali scomodi, tra cui non pochi giornalisti coraggiosi, scientificamente eliminati nel corso del periodo buio degli Anni di Piombo. Troppi libri sono stati scritti in merito. Troppe ipotesi fantasiose hanno preso corpo negli ultimi quaranta anni, dense di un complottismo dilagante di cui nel tempo, e alla prova degli accertamenti giudiziari e delle sentenze definitive, rimangono ben misere vestigia.
I brigatisti che ci ha restituito Emmanuel Macron sono oggi ritenuti estradabili, grazie all'adesione recente dell’Italia alla Convenzione di Dublino sull’estradizione, fatto quest’ultimo che ha cambiato alla radice la situazione preesistente, per cui ai delitti commessi dai brigatisti si applicano, dal luglio 2019, i termini di prescrizione italiani e non più quelli francesi. Storicamente, la loro latitanza fu favorita dalla generosa, improvvida e discutibile ospitalità offerta loro dall’allora presidente François Mitterrand, che aveva riconosciuto ai terroristi brigatisti riparati in Francia il diritto d’asilo, in quanto presunti “perseguitati politici”, purché non si fossero resi responsabili di fatti di sangue.
Tuttavia, quanto piovvero sentenze anche definitive su molti di loro, condannati per aver commesso omicidi a scopo politico, questo caveat venne completamente ignorato. Sarebbe ora che gli intellettuali di sinistra si dessero una bella mossa per analizzare e denunciare come e perché tutto ciò avvenne e quali furono in materia le complicità, palesi, indirette o inconfessate della sinistra radicale italiana. Tuttavia, bisogna intendersi bene a proposito delle molte ombre sulle quali occorre fare ancora luce, per quanto riguarda le azioni più eclatanti del terrorismo brigatista, sequestro di Aldo Moro in primo luogo. Infatti, coloro che suggeriscono ai brigatisti latitanti sopravvissuti di fare definitiva chiarezza sugli eventi di quei terribili anni Settanta, non possono certamente ignorare che si tratta di figure minori dell’allora galassia eversiva italiana.
Chi (con quasi certezza) sa come stanno veramente le cose sono i loro capi irriducibili e mai pentiti, per i quali esiste il comodo paravento del guerrigliero indomabile che chiede allo Stato soltanto di vedersi applicato lo status di prigioniero politico, in base alla Convenzione di Ginevra. Del resto, se così non fosse, quei responsabili impenitenti dovrebbero confessare a se stessi che la loro battaglia ideologica non solo non è servita a nulla, ma si è rivelata perdente su tutti i fronti. Oggettivamente, dietro loro c’è solo una storia di ignominia e non di popolo, che non li ha mai né seguiti, né sostenuti in nessun modo. Di fatto, risulta incredibile, leggendo i loro proclami e comunicati farneticanti, come si potesse soltanto immaginare negli anni Settanta una dittatura del proletariato, in perfetto stile marxista-leninista. E tutto questo al momento stesso in cui la figura dell’operaio-massa era definitivamente tramontata qui in Occidente, anche per l’avanzare della tendenza, emersa chiaramente già da allora, dei ceti operai a farsi classe media. Per di più, già all’epoca era ormai un fatto storico conclamato il disastro, socio-economicamente devastante, prodotto dal socialismo reale sovietico nell’Europa dell’Est, di cui furono drammatica testimonianza le invasioni dell’Ungheria e della Cecoslovacchia da parte delle truppe dell’Armata Rossa che, appunto, avevano cancellato la volontà rivoluzionaria di quei popoli di darsi il governo che volevano!
L’altro punto di vitale importanza, riguardo alla storia del brigatismo, è quello della pacificazione e della proposta di perdono da parte dei famigliari delle loro vittime. Sotto il primo aspetto, se solo venisse concesso un simile riconoscimento, lo Stato dovrebbe ammettere che c’è stata una guerra civile che contrapponeva le classi dominanti a quelle dei proletari sfruttati, offrendo così un alibi storico di primissimo piano alla vuota follia ideologica brigatista. Perché, invece, fu esattamente il contrario: contro la volontà popolare, poche migliaia di individui violenti e armati seminarono il terrore in tutto il Paese con omicidi mirati, rapine e sequestri di persona per l’autofinanziamento, colludendo persino con la criminalità organizzata in alcune azioni eclatanti, come avvenne nel caso del sequestro e della successiva liberazione, a fronte del pagamento di un sostanzioso riscatto, dell’assessore regionale Democrazia Cristiana della Campania, Ciro Cirillo.
Per il secondo aspetto, quello del perdono, le cose si fanno eticamente, moralmente e materialmente imbarazzanti. Difatti, come si fa a perdonare qualcuno che non si è mai pentito dei delitti da lui commessi, e non ha mai chiesto scusa ai parenti delle proprie vittime? Nessun perdono potrebbe mai essere gratis e a-priori, perché altrimenti la Bilancia della Giustizia ne soffrirebbe gravemente e irreparabilmente, in quanto verrebbe umiliata e negata la storia stessa di chi è rimasto ucciso per essere stato una persona perbene e fedele alla civiltà giuridica alla quale apparteneva.
Aggiornato il 30 aprile 2021 alle ore 13:21