Migranti: l’Europa punta sul rimpatrio volontario

Dopo l’ennesima tragedia del mare nel Mediterraneo, in cui hanno perso la vita centotrenta migranti annegati aspettando i soccorsi, la Commissione europea – preso atto dell’oggettivo fallimento del piano per la redistribuzione dei migranti tra i vari Stati membri – ha annunciato di essere pronta ad adottare una nuova strategia: quella dei rimpatri volontari. L’idea è quella di promuovere il ritorno al Paese d’origine dei migranti che non hanno diritto di restare nell’Unione, mediante incentivi di natura economica utili al loro rientro e al loro reinserimento sociale in patria. Il tutto, si intende, a spese degli Stati membri.

L’Unione europea fa sapere di essersi già impegnata ad approntare i fondi necessari già nel bilancio attuale (2021-2027): questo è quanto dichiarato dal vice-presidente della Commissione, Margaritis Schinas, il quale aggiunge che è impossibile pensare ad una seria e funzionale politica di asilo e di accoglienza, senza pensare anche ai rimpatri. Ora, è evidente che l’ultima strategia europea sui migranti, a base di ricollocazioni e di smistamento tra i vari Stati, sia stata un totale insuccesso: i “buoni propositi” si sono dovuti scontrare con due grossi ostacoli.

Primo, il rifiuto di alcuni Paesi (soprattutto quelli di Visegrad) di farsi carico delle loro quote di migranti. Secondo, l’onere sulle spalle degli Stati di prima accoglienza, più esposti ai flussi data la loro posizione geografica (Italia, Grecia, Malta e Spagna), che in base al Trattato di Dublino hanno il compito di gestire le procedure di identificazione, effettuando una “scrematura” iniziale tra i richiedenti asilo e i clandestini.

Il nuovo piano della Commissione von der Leyen punta a fermare i “movimenti non autorizzati”: quelli, cioè, dai Paesi di primo approdo verso gli altri Stati europei. Il documento in questione, infatti, non accenna minimamente alla redistribuzione degli arrivi, per poi avviare i rimpatri, ma da per scontato che siano proprio i Paesi più esposti ai flussi migratori a farsi carico della questione. Gli altri Stati non farebbero altro che mettere i loro soldi a bilancio: ad usarli per incentivare il ritorno dei migranti nei loro Paesi d’origine e a gestire il loro rientro continuerebbero ad essere i “soliti noti” (Italia, Grecia, Spagna e Malta). Al tempo stesso di prevede di accelerare sulla stipula di accordi vincolanti coi Paesi d’origine dei migranti – al fine di agevolare il ritorno e in reinserimento di questi ultimi – e il rafforzamento dell'agenzia europea per le migrazioni Frontex.

Secondo i calcoli di Bruxelles, il costo complessivo di ogni rimpatrio volontario si attesterebbe attorno ai cinquecentosessanta euro, contro i quasi tremilacinquecento di quelli forzati. Ora, non vorrei essere uccello di cattivo augurio, ma temo che anche quest’iniziativa finirà per naufragare in maniera niente affatto dissimile dal precedente piano della Commissione Juncker. L’aspetto più problematico dell’intera vicenda è il mancato “alleggerimento” della pressione migratoria sui Paesi di prima accoglienza, che anche in questo caso continuano ad essere lasciati soli a gestire la situazione.

Non si supera minimamente il Trattato di Dublino (o almeno i suoi anacronismi e malfunzionamenti) in favore di una soluzione più equa e condivisa. Alcuni ci mettono solo i soldi, altri continuano a doverci mettere anche la sicurezza, l’impatto diretto e le difficoltà di convivenza coi grandi numeri di migranti. In secondo luogo, è semplicemente oltraggiosa l’idea di dover pagare un immigrato clandestino per convincerlo a tornare al suo Paese: un po’ come se un proprietario di casa dovesse pagare o comprare lui stesso un’altra casa all'occupante abusivo per convincerlo ad andarsene. Il suolo pubblico, in quanto finanziato e mantenuto coi soldi dei contribuenti, è una sorta di multiproprietà, dalla quale i legittimi proprietari hanno il diritto di chiedere e ottenere la rimozione – senza alcun tipo di incentivo – di coloro che la occupano e la utilizzano senza averne titolo.

Da ultimo, non si centra il punto: forse il rimpatrio volontario ci costerebbe meno di quello coatto, ma bisogna anche pensare che molti immigrati clandestini non hanno alcun interesse a lasciare l’Europa, dal momento che qui possono beneficiare di forme di assistenza e di opportunità che nei loro Paesi sono solo un miraggio. È la prospettiva di tali benefici che attira gli immigrati clandestini: quindi dobbiamo circoscrivere – o eliminare del tutto – la possibilità di accedervi, se vogliamo ridimensionare i flussi. Per il resto, chi ci assicura che i rimpatriati non si ripresenteranno una seconda o una terza volta per ottenere di nuovo gli incentivi di cui sopra, contraendo così un’abitudine predatoria?

Tali iniziative – oltre che irrealistiche – sono in controtendenza con la prospettiva di una sempre maggior integrazione europea, poiché finiscono per acuire le rivalità e le disparità tra Stati nella misura in cui alcuni Paesi continueranno ad essere dei grandi centri d'identificazione per migranti, mentre altri continueranno a limitarsi all'invio di qualche spicciolo e alle “pacche sulle spalla”. Sarebbe tutto molto più semplice se, invece di queste idee balzane, le istituzioni comunitarie lavorassero ad un sistema per identificare e smistare i migranti direttamente in Africa e in Asia installando “in loco” dei centri europei d’identificazione ed espulsione, in maniera tale da consentire l'ingresso ordinato e sicuro degli aventi diritto e il respingimento, senza troppe difficoltà e costi, degli irregolari.

Aggiornato il 29 aprile 2021 alle ore 09:56