E Yalta fu: la Liberazione prigioniera

La festa della Liberazione del 25 aprile? Un biglietto da visita per chi, dichiarandosi “liberatore”, si spartì i posti di potere nel periodo post-fascista, dopo l’immane tragedia di una guerra che l’Italia non avrebbe mai dovuto combattere. Così, mentre la verità storica assoluta dimostra che furono gli alleati a liberare il Paese, lasciando sul terreno centinaia di migliaia di soldati, caduti in battaglia o resi invalidi per sempre, la vulgata casalinga del 25 aprile dice che, invece, sono stati i partigiani a mettere in fuga e costringere i tedeschi alla resa. La contabilità bruta, però, dice che per un partigiano caduto vi furono almeno 13 soldati alleati uccisi (vedi Marcello Veneziani su La Verità del 25 aprile).

Ma la cosa più imbarazzante è proprio il patto consociativo che portò alla Costituzione del 1948. Fin dalla discussione, nelle sue vene retoriche pulsava la forte pressione che veniva dagli Accordi di Yalta, per cui, in termini attualizzati, fu cancellato per reciproca convenienza il rischio di una… democratura: né i rossi vincitori sul campo, né i neri sconfitti, né nessun altro Partito di maggioranza relativa o assoluta avrebbero potuto conquistare il potere, tanto per capirci, alla (Vladimir) Putin o alla Xi (Jinping). Sicché, a più di 75 anni da allora, il bilancio storico-politico ci dice che furono gli equilibri ferrei di Yalta a dettare legge sul nostro Paese, con la dittatura socio-economica del modello capitalistico vecchia maniera venuto dall’America. Fummo vassalli del consumo e (in parte) lo siamo ancora oggi del dollaro, la più forte moneta di scambio mondiale.

In compenso, i perdoni reciproci post-1945, concepiti per mettere fine a una guerra civile che non avrebbe mai dovuto aver luogo, visti i danni epocali e non rimarginabili provocati dal nazifascismo, fecero sì che molta parte della burocrazia medio-alta fascista andasse senza colpo ferire a formare i nuovi quadri dei burocrati della neonata Repubblica italiana. In pratica, dopo il 1945 c’erano solo resistenti, così come dopo l’8 settembre 1943 si trovavano soltanto antifascisti. Orbene, ci si sarebbe aspettato che, come accadde alla fine del secondo conflitto mondiale, anche al termine della Guerra fredda e dopo la caduta dell’Urss nel 1991, si varasse una nuova Costituzione che, attraverso i suoi istituti democratici nuovi di zecca, seppellisse in eterno gli Accordi di Yalta. Invece, accadde praticamente l’opposto. A causa dello sfarinamento della moralità e della capacità di indirizzo dei Partiti storici italiani di centro e di centro-sinistra (tranne il Partito Comunista italiano!), nel 1992 fu l’unico potere forte sopravvissuto come quello della Magistratura, autonomo e compatto al pari di una falange macedone, a sostituire con una politica liquida i partiti nati da Yalta. Liquidità che, nel tempo, ha favorito la nascita dei così detti Partiti padronali, dei localismi esasperati e un finto iper-garantismo del tutti-contro-tutti, che ha esaltato oltre ogni limite la frammentazione del potere in venti repubblichette regionali, causando il drammatico distacco civile delle regioni del Mezzogiorno d’Italia a forte dominante mafiosa. Così, lo spauracchio dell’Uomo forte ha fatto dell’Italia l’anello più debole delle democrazie europee.

Invano, dal 1989 in poi, a proposito dei danni epocali (guerre a pezzetti comprese!) prodotti dal socialismo reale, siamo rimasti in attesa di un mea culpa, di un’autentica autocritica degli ex Partiti di sinistra nati sul mito dell’affermazione del marxismo-leninismo operaista anche a seguito della Liberazione. Ancora oggi (cioè, ieri nel suo secondo intervento anti-Putin su La Repubblica del 26 aprile), il più illustre intellettuale di sinistra, Ezio Mauro, se la prende con l’imposizione di una Linea rossa putiniana che, a suo avviso, ricalca la linea carsica di frattura che separava rigidamente la zona di influenza dell’Urss da quella Ovest dei Paesi Nato e dell’Alleanza Atlantica. La nuova Russia ricorre ai vecchi metodi del bastone e della carota, ammassando truppe ai confini ucraini, per imporre all’Ovest (non più soggetto unitario da molto tempo) una sorta di Spada di Brenno, per risistemare i pesi della bilancia geopolitica nettamente a favore di Mosca, tornata protagonista mondiale come ai bei tempi della Guerra Fredda. Lo può fare (ma su questo Ezio Mauro tace del tutto) perché la sua è appunto una… democratura dove il leader indiscusso detta la linea. Si critica Putin, ma nulla si dice dell’invenzione di Charles de Gaulle e della sua Quinta Repubblica che ha rivoluzionato, pacificamente, una Costituzione precedente rea di aver generato ingovernabilità e paralisi decisionale (le stesse, in fondo, prodotte dalla nostra Carta del 1948).

Comodo prendersela con Putin, senza dire che la Nato e la determinazione dell’Occidente a contestare lo sfoggio di potenza altrui siano oggi, eticamente e materialmente, dei soggetti del tutto privi di significato! Bisogna dire a chiare lettere che a nessuno verrebbe oggi in mente di andare a combattere e a morire per la difesa ideologica di accordi post Yalta, semplicemente inesistenti. Se la Russia ha riscoperto lo Zar e la Cina il suo Imperatore Celeste, l’Occidente si presenta oggi come il gemello ricco e opulento di quell’Impero Romano molle e decadente, che non sa più combattere e impugnare la spada, dominato come è dagli animal spirit del consumismo e dai piaceri che ne derivano. Cosa dovremmo fare noi democratici, che siamo i paladini di questa parte del mondo, per fronteggiare questi due nuovi imperi, fondati sui principi della forza e della supremazia economica, tecnologica e militare, che muove navi, aerei e truppe nelle aree contese?

Ci sederemmo al tavolo e concepiremmo tante Monaco separate, se tra di noi non ci fosse l’America. Ma, anche lei, divorata dal mostro del politically correct, perché dovrebbe mandare i suoi soldati a morire in altrettanti piccoli Afghanistan ai nostri confini? Putin e Xi fanno il loro gioco. E noi? Ezio Mauro dimentica che, dopo il 1991, nessuno degli intellettuali di sinistra osò parlare di “scioglimento della Nato”, a favore di un patto del secolo per un’alleanza politico-militare con la nuova Russia di Gorbaciov-Eltsin. Da lì, da quella prova mancata di coraggio, nascono tutte le nostre disgrazie di oggi. Putin, caro Ezio, è “anche”, per noi ex-vincitori, la conseguenza della nostra (vostra) pusillanimità e mancanza di lungimiranza. Quindi: aspettatevi il peggio.

Aggiornato il 27 aprile 2021 alle ore 12:54