Sempre la stessa storia, ogni anno, ogni 25 aprile. In occasione dell’anniversario della Liberazione, vengono sempre sprecati fiumi di parole, all’insegna di una retorica facile e a buon mercato su libertà e democrazia.

Occorre evidenziare l’aspetto retorico ed ipocrita che si manifesta ad ogni 25 aprile, perché, durante questa giornata celebrativa, i primi a parlare di libertà sono proprio quelli ai quali interessa meno la ricerca della felicità, e quindi di una sempre più ampia emancipazione democratica, da parte degli italiani. Purtroppo, la Storia, quella vera e con la S maiuscola, ci racconta come una certa fazione politica e i suoi servi sciocchi, che di sicuro non incarnano tutta l’Italia, si siano, per così dire, accaparrati in esclusiva la sconfitta del nazifascismo, il ritorno della democrazia e tutte le celebrazioni successive. Il 25 aprile deve essere cosa loro, ma si tratta evidentemente di una festa viziata.

In ogni caso, il vizio di un racconto incompleto e non del tutto sincero, che si rinnova ogni anno, da qualche tempo ha iniziato a stancare un po’ l’opinione pubblica italiana. Intanto, chi visse in prima persona l’epoca partigiana, per ovvie ragioni naturali, oggi non c’è più, e l’Anpi, l’associazione dei partigiani d’Italia, ai giorni nostri viene perlopiù tenuta in piedi da persone nate nel dopoguerra. Non si sa nemmeno più bene cosa rappresenti oggi tale realtà, se non una costola del Partito Democratico e della sinistra in generale. Ancor più in questo periodo di pandemia, la libertà ricordata soltanto per la Festa della Liberazione, provoca un qualche disagio, soprattutto se essa viene omaggiata da chi ritiene di combattere il Covid solo attraverso la limitazione poliziesca dei diritti dei cittadini. Una compressione della libertà mai vista nell’Italia antifascista e repubblicana, che viene messa in pratica tramite le ormai note chiusure di attività economiche, l’assurdo coprifuoco notturno e i divieti di circolazione fra comuni o regioni. Un modo di affrontare la pandemia che ormai si è rivelato più politico-ideologico che fondato su ragioni scientifiche.

Eppure, quando giunge il 25 aprile, anche nell’era del Coronavirus, non si rinuncia mai ad una certa narrazione forzata e distorta. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per il 76/o anniversario della Liberazione, ha ricordato la Resistenza antifascista come un momento di grande unità fra le forze popolari del Paese. Mantenendo viva la memoria per quanto accadde allora, l’Italia, secondo il capo dello Stato, deve ritrovare una forte coesione nazionale per superare il drammatico frangente della pandemia. Il 25 aprile divide ancora oggi, dopo ben settantasei anni, e ciò avviene perché, come si è già detto, una parte politica, il Partito Comunista Italiano e le sue evoluzioni successive per capirci, si è appropriata di tale ricorrenza e ha sempre raccontato una storia parziale.

Mattarella ha ragione quando dice che l’Italia democratica si unì per abbattere il fascismo e cacciare via i nazisti, ma proprio secondo la vulgata comunista e post-comunista si è costantemente valorizzato l’apporto dei partigiani ispirati dalla falce e dal martello, ed è stato ignorato, quando non demonizzato, il contributo antifascista di tanti liberali, monarchici e cattolici. Chi non era allineato ai desiderata comunisti veniva giudicato quasi alla pari dei fascisti, come il troppo poco ricordato Edgardo Sogno, liberale, monarchico e partigiano. Oppure, come il repubblicano Randolfo Pacciardi, antifascista ed anti-franchista. Semmai, i primi a compromettere quella unità nazionale costruita per liberare l’Italia, furono proprio i comunisti, che in buona parte ambivano ad un’altra tirannide e a sostituire Berlino con Mosca.

Il nostro Paese rimase libero e democratico grazie al ruolo degli angloamericani, e se ad ogni 25 aprile dobbiamo ringraziare qualcuno, occorre iniziare dagli Stati Uniti d’America e dal Regno Unito. Non vi fu, pertanto, una unità nazionale del tutto sincera, ed oggi, anche se servirebbe senz’altro stringerci a coorte per rinascere dal Covid, non tutti remano compatti per l’interesse generale e sembra difficile intravedere un vicino cambio di rotta.

Abbiamo un Governo, appunto definito di unità nazionale, in cui sono tutti dentro, a parte Fratelli d’Italia, ma c’è chi continua, pensiamo consapevolmente, a scavare solchi fra le diverse categorie del Paese. Le misure anti-Covid, che ci accompagnano da oltre un anno, hanno creato dei muri fra gli stessi italiani, fra chi è garantito da uno stipendio pubblico e chi rischia ogni momento con una attività economica privata. Rischia anzitutto l’imprenditore, ma anche il lavoratore dipendente, se al proprio titolare le cose non vanno bene. Tutti coloro i quali lavorano o lavoravano in quei settori maggiormente colpiti dalle chiusure e dai lockdown più o meno mascherati, si sono sentiti abbandonati dallo Stato e da una politica, perlomeno una parte di essa, che sembra infischiarsene in maniera palese delle nefaste conseguenze economiche di certe scelte, e quasi godere nel trovarsi a punire una fetta del Paese. Se vengono meno le motivazioni dettate dalla scienza, rimane solo una volontà ideologica e punitiva, perciò, è normale che l’Italia reale, 25 aprile o meno, si allontani sempre più dalle Istituzioni repubblicane. Quando i piccoli imprenditori vengono visti come degli evasori, o nel momento in cui Nicola Zingaretti parla di “lavoretti”, riferendosi agli impieghi in bar e ristoranti, comprendiamo come gli eredi del comunismo non abbiano mai abbandonato il pregiudizio ideologico verso l’iniziativa privata. Con buona pace della unità nazionale perorata dal presidente della Repubblica.

Aggiornato il 26 aprile 2021 alle ore 11:32