
La vicenda di Beppe Grillo padre, che in un video ha difeso il figlio Ciro coinvolto insieme a tre amici in un procedimento per stupro, è davvero imbarazzante. Non solo per le ragioni da più parti sollevate sul fatto che il comico fondatore del Movimento Cinque Stelle abbia utilizzato la sua popolarità a fini privati, mostrandosi rabbiosamente super garantista con sé mentre è accanitamente iper-giustizialista con gli avversari. E non solo per le brutta gaffe circa l’equiparazione del concetto di custodia cautelare, a cui sono scampati il figlio e gli amici, a quello di condanna. O l’altro scivolone sui termini degli “otto giorni” decorsi fino alla denuncia. Sproloqui e assurdità. Il grave deve ancora arrivare. Perché Beppe Grillo urla contro tutti, convinto che Ciro non abbia commesso alcuna violenza in quanto “la ragazza ci stava”. E cioè il pericoloso secondo luogo comune fonte di pregiudizi dopo il classico “se l’è cercata”. E Grillo ha citato un video, trovato nel cellulare di uno dei ragazzi, che appunto proverebbe “la consensualità”.
Il comico genovese, a cui poi si è aggiunta anche la moglie Parvin Tadjik, sostiene irato che Ciro e i suoi amici non abbiano stuprato il 16 luglio 2019 nella villa di Porto Cervo la diciannovenne italo-svedese, perché i rapporti sono stati volontari. Tutti consenzienti. E con termini grotteschi Beppe ha descritto la scena nei particolari: “Non è vero niente che c’è stato uno stupro – ha inveito – una ragazza stuprata fa la denuncia dopo 8 giorni? C’è un video e si vede che era consenziente, che sono ragazzi di 19 anni che si stanno divertendo, col pi…lo così, perché sono quattro co...oni e non quattro stupratori”. Bene ha fatto Giulia Bongiorno, avvocato difensore della vittima, a far sapere che porterà il video all’attenzione dei giudici come elemento di prova regina. Ma a livello sociale si riapre anche una questione antica rimasta insoluta. Quando è violenza e quando è libertà?
L’ideatore dei meetup stellari ha messo l’eros ideologico al centro della questione giudiziaria. Chi ha stigmatizzato cautamente, come ha fatto anche il capo in pectore del Movimento, Giuseppe Conte, è l’area invece femminista più netta e decisa. Il centrodestra fa bene a non strumentalizzare il caso, anche se la vicenda politicamente è ghiotta. Ma nel centrodestra non credo ci sia chi possa intestarsi una ragione decisiva, perché dagli anni del Circeo secondo la sinistra il sesso delle destre è fatto di “belve e stupratori” rispetto ai quali si deve solo “buttare la chiave”, senza nessuna pietà per le famiglie dei mostri. Le solite strumentalizzazioni e i due pesi e due misure, senza minimizzare la gravità dei fatti e i distinguo delle vicende. Ma nel “caso Porto Cervo” è indubitabile la morbidezza, la prudenza e la comprensione rispetto alle condanne fatte ricadere sui fronti avversari. Andiamo al sodo dei fatti.
La svista di Beppe Grillo è eclatante e grave. Lui chiede una giustizia fotogramma per fotogramma, un caso giudiziario “al rallenty” per stabilire il limite tra consensualità e abuso. Mi chiedo: ragazzi, tra cui suo figlio, che fanno questo, tre con una donna, anche fosse d’accordo, può dirsi divertimento? Se la ragazza ci sta, perché ha solo 19 anni o perché non capisce i limiti, può un gruppo di maschi usare così il corpo femminile e chiamarlo divertimento? E l’alcol, e in altri casi anche l’uso massiccio di droghe? Una partita tutta dentro la sinistra. Capiremo dove finisce la libertà e inizia il reato, dove l’indipendenza dei diritti e la libertà sessuale scadono nella violenza di gruppo, perché la contraddizione ideologica è quella di voler tenere due fronti, quello dell’emancipazione dei generi e quella dei reati di genere tutto incentrato sulla morale post-sessantottina.
Contraddizioni emerse già nell’altro obbrobrio delle “terrazze paradiso” di Alberto Genovese, dove il diritto al libero divertimento senza pregiudizi e limiti e con molta acquiescenza verso le droghe e lo sballo si è scontrato con l’abuso di ragazzine. Una questione aperta dai tempi di Pierpaolo Pasolini che scriveva così: “I giovani delle borgate di Roma fanno tutte le sere centinaia di orge (le chiamano “batterie”); e inoltre, anch’essi drogati. Tutte le sere, infatti, quelle centinaia di batterie implicano un rozzo cerimoniale sadico”. Una questione sottilissima, che rimanda ai distinguo di anni in cui si è separato il sesso maschilista e violento dei figli della borghesia rispetto al liberalismo sessuale delle sinistre, che ha lasciato incompiuta la più ampia “questione morale”. Oggi esplosa, che tracima nei tanti casi di cronaca in cui la violenza contro donne, ragazzini, bambini si è associata a uno scadimento culturale, per cui è difficile uscire dai coprifuoco e dalle limitazioni, senza imbattersi in vicenda mostruose di violenze di gruppo.
Intanto è in discussione il Ddl Zan, che vorrebbe ampliare ancora le libertà a tutti i soggetti senza passare per il disfacimento e la de-responsabilizzazione. Ma non basta tutto quello che travolge l’area dei giovani, la diseducazione, gli eccessi, l’incapacità culturale, la tracimazione del rispetto, della percezione sensibile dell’altro/a, della decadenza sentimentale? Non una parola sull’uso dell’alcol, sul ricorso alla droga verso cui invece delle campagne contro prevale la tolleranza. Ma diciamo la verità da adulti di una società senza distinguo ideologici: può chiamarsi innocente divertimento di ragazzi emancipati, figli della buona borghesia progressista, quello che mostra il video di papà Grillo? E se questi sono i padri della sinistra peraltro forcaiola, che vuole rifare il mondo, che detta le regole, cosa ne sarà del pudore, del decoro, dell’educazione? Buttare la chiave e ripensare un’etica di pace e armonia e una cultura dell’amore al posto delle derive sessuali giunte al colmo.
Aggiornato il 23 aprile 2021 alle ore 11:21