
Una questione si aggira per l’Italia, ed è una questione grande. Mi riferisco al Ddl Zan, ovvero al disegno di legge sull’omo-trans-fobia. L’Opinione delle Libertà è uno dei pochi giornali moderati che dedica specifica attenzione al tema e, anche con gli articoli di Aldo Rocco Vitale, ha preso una posizione chiara, sollevando una problematica sostanziale: “Con l’approvazione del Ddl Zan un articolo contrario potrebbe essere vietato e il suo autore processato o condannato”, ha scritto Vitale. E ha fatto benissimo. Perché per eccesso di libertà si potrebbe arrivare all’inquisizione arcobaleno. Effettivamente, il disegno di legge, che prende il nome dal deputato Alessandro Zan, capo della comunità Lgbt italiana, pone molte zone grigie. Ma è contro questo rischio che dobbiamo batterci.
Intanto, cosa prevede effettivamente? “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”, questa è la definizione ufficiale. Nel Ddl Zan è specificato che “per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico; per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso; per orientamento sessuale si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi; per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”.
Con l’approvazione ci sarebbe l’istituzione di alcuni nuovi reati, l’istituzione di una giornata nazionale contro le discriminazioni (il 17 maggio) e lo stanziamento di quattro milioni di euro all’anno per iniziative di contrasto al fenomeno. Le pene previste per chi violerà questa legge sono severe: dalla reclusione fino a un anno e 6 mesi (o una multa fino a 6mila euro) per chi istiga o commette atti di discriminazione contro le categorie citate, fino ai 4 anni di reclusione per chi partecipa o favorisce le organizzazioni, le associazioni, i movimenti, i gruppi che hanno lo scopo, o uno degli scopi, nell’incitamento alla discriminazione o alla violenza sulle suddette categorie. Se l’intento è quello di punire chi semina odio e atti di violenza, la soluzione finale è ambigua. Perché non regola il principio di chi per questione religiose, di etica, di sensibilità personale, scientifiche o di altro genere non condivida tutte le declinazioni Lgbt, compresi i matrimoni e le adozioni gay.
Insomma, il dibattito sul ddl Zan così come è stato concepito ha sortito l’effetto di introdurre surrettiziamente nella nostra società questi comportamenti, rivoluzionando di fatto l’equilibrio naturale della società, avvalendosi della libertà di non dire e contrastare. Ora con la legge si vorrebbe impedire a chiunque di manifestare il contrario? Questa la contraddizione. Un conto è l’istigazione all’odio e altro è la libertà di credo. Nessuna violenza per chiunque. Per omofobia si intendano la discriminazione e l’offesa, ma non la negazione dell’espressione del pensiero in tutte le sue forme e declinazioni.
Prima di tutto è mancato un dibattito aperto e un confronto reale tra fautori e contrari, o meglio tra chi spinge per l’approvazione delle modifiche naturale della vita e della famiglia e chi dovrebbe difenderle. Sulla scorta dell’esito del referendum sul divorzio, che ha dato inizio a questo cammino, le forze moderate non se la sono sentita di ingaggiare un’opposizione, lasciando la questione relegata alla sensibilità individuale, col risultato però di una de-responsabilizzazione sociale e morale, per cui di fatto si sono propagati in modo indiscriminato comportamenti contrari ai principi esistenziali delle principali comunità di pensiero, prima fra tutti la fede cattolica che costituisce il substrato spirituale ma anche culturale italiano. Capisco la tiepidezza, ma questa ha arrecato danno al dibattito politico delle forze liberali e moderate, che hanno perso la propria configurazione identitaria, trovandosi a fare una opposizione contro le sinistre senza poter affermare il proprio manifesto di valori e ideali con i vari leaders in ordine sparso e altalenanti ora a favore e ora ambiguamente contro il Ddl. Ciò ha provocato lo spaesamento e la confusione strutturale senza arrivare a citare i casi di cronaca, che ci segnalano una pericolosa deriva, poiché in questo contesto è aumentata la violenza tra i sessi, la misoginia, il disordine e la prevaricazione.
Le posizioni più sfumate le ha assunte la Chiesa, che contrariamente al dibattito sul divorzio e sull’aborto non ha voluto porre i sigilli del peccato, con Papa Francesco che ha affrontato la questione con la formula “chi sono io per giudicare”, sottraendosi alla condanna e ponendo la risposta evangelica della compassione, del perdono, della redenzione. Ma c’è chi ha utilizzato l’umanità della Chiesa per una sorta di approvazione e legittimità, come non è affatto. Perché tutta la contraddizione del Ddl Zan sta in questo punto. Per il credo, la fede cattolica, per molte fedi e molte sensibilità morali e culturali, l’omosessualità e tutto l’habitat Zan, ossia le declinazioni del gender, non hanno alcuna speranza di legittimazione. Occorre dirlo, perché la legge futura rischia di compiere questo scempio, come ricordava Aldo Rocco Vitale, e cioè di “punire” e “condannare” coloro che negano e diffondono informazioni e argomenti contro la vita omosessuale, gender, transgender e via dicendo. Allora, surrettiziamente si entrerebbe in una sorta di demoniaca inquisizione.
Va lasciata, riconosciuta e soprattutto tutelata la libertà di credo, di etica, di sensibilità, va riconosciuto il diritto e il dovere della Chiesa, dei suoi esponenti e fedeli di professare quanto la Bibbia e tutto la predicazione evangelica stabiliscono. Cioè un insegnante, un genitore, chiunque deve poter liberamente professare in principi educativi “le ragioni del no” e i gay e le comunità Lgbt si misurino docilmente, lealmente e correttamente con queste discettazioni. No alla violenza, ma neppure no alla negazione e alla censura. Una parità effettiva e una libertà degna, perché oggi anche un Papa è in difficolta di parola. Rimedia a questa contraddizione il libro scritto a due mani da Luigi Manconi e monsignor Vincenzo Paglia, “Il senso della vita. Conversazioni tra un religioso e un pococredente” (Einaudi), in cui gli opposti modi di vedere si confrontano pacificamente.
Che cosa il ddl Zan dovrebbe disciplinare dunque? La violenza. Perché nelle questioni morali, sessuali e intime il Vangelo in primis indica la precisa via che ha evocato Papa Francesco, cioè “non sono io che debbo giudicare”, intendendo condannare, il che non esclude tutta la forza e tutta la pienezza per indicare a chiunque, in questo senso tutti uguali peccatori, la via della salvezza e della redenzione. La stessa che la sinistra non ha difficoltà a riconoscere in opere come “La Divina Commedia”, dove certamente il paradigma del peccato e delle colpe è chiaro e inopinabile. Chi ha mai contestato la “Commedia”… e non mi pare che la sinistra consideri omofoba l’opera di Dante.
Aggiornato il 21 aprile 2021 alle ore 16:51