Il rischio ragionato di Draghi

Sulle riaperture finalmente c'è una data certa: il 26 aprile, giorno in cui l’Italia tornerà a tingersi perlopiù di giallo e le restrizioni finora adottate subiranno un significativo allentamento, anche e soprattutto per permettere alle categorie di esercenti maggiormente colpiti dalle stesse di ricominciare a respirare (e forse anche per moderare l’eccessiva pressione psicologica sulle persone, costrette da un anno al confinamento domiciliare). Potranno, infatti, riaprire bar e ristoranti (anche la sera, ma sarà ammesso solo il servizio all’aperto), piscine, palestre e strutture sportive (a partire, rispettivamente, dalla metà di maggio e dal primo giugno), così come teatri, cinema e musei (tenendo conto della capienza).

Resteranno invariati le regole sul coprifuoco, fissato alle ventidue – probabilmente, allo scopo di evitare assembramenti da “movida” – e il limite del cinquanta percento per la capienza dei trasporti pubblici. Torneranno in classe anche gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado, nonostante la contrarietà dei dirigenti scolastici. Il tutto – logicamente – nel rispetto del distanziamento sociale e delle consuete misure di sicurezza. Per quanto riguarda la circolazione tra i territori, saranno consentiti gli spostamenti tra regioni gialle e si introduce la novità del pass per spostarsi tra Regioni di diverso colore: un certificato che dovrebbe attestare l'avvenuta vaccinazione, il tampone negativo eseguito in un lasso temporale da stabilire oppure l’avvenuta guarigione dal Covid e che, sotto certi aspetti, sembrerebbe quasi prefigurare il passaporto vaccinale che l’Unione europea avrebbe in animo di istituire.

Il premier Mario Draghi, durante la conferenza in cui ha annunciato la prossima entrata in vigore delle summenzionate misure, ha parlato di “rischio ragionato”. Vale la pena soffermarsi su questo concetto, che può aiutarci ad avere una visione d’insieme della situazione e a sposare una posizione equilibrata, che senza escludere la necessaria prudenza non si basi unicamente sulla paura per eventi solo potenziali e niente affatto certi. Infatti, non sono mancate le critiche, sia da parte dei “rigoristi” – i quali temono che un simile rilassamento nei divieti e nelle regole finirà per generare una nuova ondata e per determinare la necessità di un nuovo lockdown già tra il mese di maggio e quello di giugno, tra questi il virologo Andrea Crisanti e l’infettivologo Massimo Galli – che da parte dei tifosi del “liberi tutti” tra cui, per esempio, Giorgia Meloni, la quale ha criticato le misure definendole ancora peggiori di quelle adottate in precedenza e per nulla significative dal punto di vista del ripristino delle libertà dei cittadini e degli operatori economici.

Ebbene, tali prese di posizioni da “o tutto o niente” non portano da nessuna parte: serve agire con pragmatismo e concretezza. Correre un “rischio ragionato” vuol dire, infatti, tentare di percorrere una strada che si presume essere, dati alla mano, la meno insidiosa e la più conveniente sia per cercare di evitare una nuova impennata di contagi che il definitivo collasso della nostra economia, già duramente provata. Nessuno, per quanto esperto, può pronosticare con assoluta certezza cosa succederà da qui a un mese, in seguito all’allentamento delle misure anti-contagio e alle progressive riaperture. Ma se le previsioni sono impossibili, allora non resta che agire confidando nel combinato disposto tra due fattori fondamentali: la responsabilità individuale dei cittadini e la capacità della politica.

Come dimostra l’esperienza della Sardegna – passata, nel giro di pochi giorni, dall’essere l’unica “zona bianca” d’Italia ad un nuovo lockdown – molto dipende dal senso di responsabilità e dalla correttezza dimostrata dalla cittadinanza, che per prima deve avere l’accortezza di evitare di correre dei rischi, di mettere in pericolo se stessa con modi di agire sconsiderati. Se ci sarà un generalizzato rispetto delle regole utili al fine di prevenire il contagio, ben presto ritroveremo quella libertà alla quale per troppo tempo abbiamo dovuto rinunciare. Tornare alla normalità è anzitutto una nostra scelta ed è un evento il cui verificarsi dipende, in gran parte, dalla nostra condotta.

Tuttavia, come dimostra invece l’esperienza di quelle realtà che sembrano essersi lasciati alle spalle l’incubo pandemia, o che da questo punto di vista sembrano essere a buon punto – per esempio Israele o la Gran Bretagna – un ruolo centrale lo giocano l’abilità e l’efficienza degli Stati nell’organizzazione della campagna vaccinale. Prima si immunizza la popolazione e prima le cose torneranno alla normalità. Come la cittadinanza, anche lo Stato italiano deve dimostrare senso di responsabilità: se per noi si tratta continuare a comportarci in maniera prudente e assennata, per lo Stato si tratta di fare qualunque cosa si renda necessaria per portare a termine quanto prima la vaccinazione di massa, mettendo in campo ogni strumento utile per conseguire tale scopo quanto prima.

In questo senso, è bene ribadirlo, un buon passo in avanti potrebbe essere la liberalizzazione del vaccino, lasciando ai cittadini la possibilità di scegliere tra l’acquisto e la somministrazione da parte del servizio sanitario. Bisogna evitare il pessimismo e il disfattismo dei tifosi del regime sanitario e nutrire più fiducia nella capacità delle persone di adeguare i loro comportamenti alle circostanze. Al contempo, però, non bisogna pensare che il “liberi tutti”, per quanto desiderato e auspicato da tutti noi, sia un’opzione realistica allo stato attuale delle cose. Ciascuno deve semplicemente fare la sua parte, i cittadini e ancor più lo Stato: la vera ricetta per il ritorno alla normalità.

Aggiornato il 20 aprile 2021 alle ore 13:29