
Durante il convegno dell’Ispi (Istituto per gli studi di Politica internazionale), intitolato “Il mondo al tempo del Covid: l’ora dell’Europa?” ha avuto luogo quello scontro in diretta tra il leader della Lega, Matteo Salvini e il neo-segretario del Partito Democratico, Enrico Letta. Si sapeva che i due, agli antipodi su una moltitudine di questioni, si sarebbero presto incontrati e avrebbero avuto occasione di disputare in maniera animata: peccato che le loro argomentazioni siano state infarcite di ideologia, precarie sotto tutti i punti di vista.
A dare fuoco alle polveri è stato il segretario del Partito Democratico, il quale si è detto contento del fatto che la Lega abbia deciso di comportarsi responsabilmente durante questa crisi appoggiando il governo Draghi, ma ha aggiunto – con un intento chiaramente provocatorio – di non voler entrare nel merito della “conversione europeista” del Carroccio, pur auspicando l’ingresso del movimento di Salvini nel Partito Popolare europeo, e ricordando come i governi ungherese e polacco, governati dagli amici del leader leghista, abbiano danneggiato l’Italia in varie occasioni. “Anch’io – ha detto Letta – sono un sovranista, ma un sovranista europeo, poiché stare insieme è l'unico modo per giocarsela alla pari con le superpotenze mondiali”.
La risposta piccata di Salvini non si è fatta certo attendere: il leader leghista ha espresso la necessità di mettere da parte termini come “europeista” e “sovranista”, per poi passare alla replica vera e propria. Secondo il segretario del Carroccio, chi dà patenti di democrazia non fa un buon servizio sottolineando, inoltre, come i governi di Ungheria e Polonia siano stati eletti dal popolo e come l’Europa si fondi sulla libertà, non sulle scelte etiche e morali.
Scontro tra titani? No, scontro privo di senso e di contenuti. Per quanto riguarda Letta: cosa vuol dire essere un sovranista europeo? Che le dinamiche di attaccamento patologico allo Stato nazionale di marca giacobino-napoleonica – per il cui superamento, in vista di una maggiore libertà e di una maggiore stabilità internazionale, l’Europa è nata – dovrebbero essere replicate a livello continentale? Nessuno si accorge che se questa Europa dimostra tutte le sue pecche e i suoi malfunzionamenti, lo si deve proprio perché ci si è discostati dallo spirito originario dei “padri fondatori” dell’Europa stessa, i quali la concepirono non come un Super-Stato accentratore e burocratizzato, ma come una federazione di Stati e come un’area di libero scambio a livello economico? Quale che sia il significato di “sovranismo europeo” (che un po’ rimanda all’eurocomunismo di Enrico Berlinguer), il segretario democratico potrebbe anche avere ragione nel dire che le sfide economiche e geo-politiche del nostro tempo richiedono cooperazione a livello europeo. E che spesso gli ungheresi e i polacchi concepiscono la difesa dei loro interessi nazionali come esternalità negativa sugli interessi altrui. Tuttavia, questa Europa dei burocrati e dei faccendieri, sempre divisa sulle questioni rilevanti (immigrazione, difesa, geopolitica e sicurezza, solo per menzionarne alcune) e sempre a rischio di ricadere nelle prassi keynesiane per non scontentare troppo gli Stati nazionali dissipatori e indebitati (Italia inclusa), non ha la forza di misurarsi alla pari coi “giganti” del mondo globalizzato. Quanto alle scelte di Ungheria e Polonia, sono i frutti maturi di quest’Europa “deviata”, che incapace di reagire e di misurarsi efficacemente con le sfide epocali del nostro tempo, finisce per rafforzare proprio quei nazionalismi che si volevano consegnare alla storia col progetto di unificazione europea. Anche chi scrive è un europeista, ma alla maniera di Luigi Einaudi e di Friedrich von Hayek, non certo alla maniera dei radical-chic che piacciono a Letta.
Che dire, poi, di Salvini? Davvero non si possono dare patenti di democrazia? Davvero non si possono giudicare pericolosi e autocratici leader come Viktor Orbán, che censurano i giornali critici con la loro linea politica, che riformano la Costituzione a loro immagine e somiglianza e che guardano con simpatia ai regimi russo e cinese, oppure che non si possano definire reazionari leader come Jaroslaw Kaczynski, che hanno fatto della Polonia un Paese immerso nell’oscurantismo e nella bigotteria? Non si tratta di dare patenti di democrazia, ma di constatazioni di fatto. Poco importa che tali governi siano stati eletti dal popolo: una democrazia che non protegge i diritti fondamentali e le libertà dei cittadini dai possibili abusi da parte del potere politico, che non pone limiti all'esercizio dell’autorità pubblica e che non prevede garanzie a tutela delle minoranze non è una democrazia, ma una dittatura della maggioranza, una tirannia popolare.
È il caso dell’Ungheria e della Polonia, dove vi sono capi-popolo che governano con la più ampia discrezionalità possibile, forti del consenso delle masse, evidentemente incapaci di capire come la chiusura al mondo esterno, alla diversità e al pluralismo, non sono garanzie di maggiore sicurezza e prosperità, ma di minore libertà e progresso. L’Europa si fonda sicuramente sulla libertà: ma la libertà non è quella del peggior nazionalismo e reazionarismo est-europeo. La libertà è anzitutto una scelta etica, che consiste nel seguire la propria coscienza e la propria volontà prima e indipendentemente da ogni condizionamento o circostanza esterna. Dovrebbe forse riflettere su questo il leader leghista.
Per il resto, si possono anche archiviare i termini “europeismo” e “sovranismo”, ma prima di archiviare una qualunque parola è necessario mettere da parte l’idea che essa significa e rappresenta. Dunque, la condizione per non parlare più di europeisti e di sovranisti è abbandonare tanto le insensate nostalgie per i vecchi Stati sovrani, quanto le pretese di dare vita ad un Super-Stato, per concentrarsi invece su come riformare l’Europa e dare al processo di integrazione quell’impronta federale e liberale di cui necessita.
Aggiornato il 31 marzo 2021 alle ore 10:36