La Lega e il “bivio” europeo

Ci risiamo. Matteo Salvini cambia di nuovo idea sul posizionamento strategico della Lega in Europa. Eravamo partiti dal “patto di ferro” con le forze nazionaliste ed euroscettiche che vedevano in Marine Le Pen la loro leader naturale e che caldeggiavano lo “scioglimento concordato e pianificato dell’Eurozona”. In seguito, l’isolamento di cui il gruppo “Identità e democrazia” è stato fatto oggetto in Europa – in maniera niente affatto dissimile da quello che successe al Movimento Sociale in Italia durante la Prima Repubblica – e la conseguente irrilevanza in termini politici, ha spinto il leader leghista a rivedere in parte le sue posizioni: spinto dall’ala “moderata” del partito, desideroso di erodere il poco consenso rimasto a Forza Italia e intenzionato a offrire il suo supporto al nascente governo Draghi, Salvini ha iniziato a pensare di poter saltare sul carro dei popolari, in nome di una svolta europeista e fondamentalmente liberale.

In quei giorni non si contavano gli ammiccamenti rassicuranti a quelli che avrebbero dovuto essere i nuovi alleati: dalle dichiarazioni relative all’applicazione delle regole europee sull’immigrazione fino al voto a favore del Recovery Fund. Oggi siamo all’ennesimo cambio di idee: niente più ingresso nel Partito Popolare Europeo, ma creazione di un nuovo gruppo sovranista assieme al fuoriuscito “Fidesz” – il partito dell’attuale premier ungherese Viktor Orban – e ai conservatori polacchi di “Diritto e Giustizia”, attualmente alleati di Giorgia Meloni.

Probabilmente, Matteo Salvini ha capito che il pericolo (in termini elettorali) viene proprio dalla sua alleata in Italia: una svolta in senso “istituzionale” e l’avvicinamento ai popolari europei lo esporrebbe al rischio di perdere i consensi di quell’ala sovranista “dura e pura”. Consensi che finirebbero per convergere nel bacino di Fratelli d’Italia: lo dimostra il fatto che già alcuni esponenti leghisti, a Roma come a Bruxelles, abbiano deciso di abbandonare il Carroccio per aderire al partito della Meloni, in dissenso con la scelta della Lega di sostenere il governo Draghi. L’abbandono del Partito Popolare Europeo da parte dello stesso “Fidesz” potrebbe aver fatto il resto: Orban sembra essere un alleato appetibile per i sovranisti nostrani, per i quali il primo ministro magiaro è l’emblema della linea dura contro l’immigrazione e i vincoli europei.

In questa logica, stare con Orban sarebbe una sorta di marchio d’identificazione, una garanzia: significa essere autentici difensori degli interessi nazionali. Ma nella logica di un comune e avveduto osservatore della politica, stare con Orban vorrebbe dire perpetuare, sia pure sotto altra forma, l’isolamento e l’irrilevanza che hanno caratterizzato finora il gruppo nazionalista della Le Pen. Per qualche ragione, si pensa che si riuscirà a fare con Viktor Orban o con Jaroslaw Kaczynski quello che non si è riusciti a fare con la leader del vecchio Fronte Nazionale francese. Certo, i primi due hanno il vantaggio di governare i loro Paesi: ma se Orban ha potuto rifiutarsi di prendere parte al meccanismo europeo di redistribuzione dei migranti (a prescindere da cosa si pensi in proposito) è stato proprio in quanto membro del Partito Popolare Europeo e, dunque, in virtù delle sue relazioni con l’Europa che conta. Al contrario, ora è probabile che sull’Ungheria inizieranno a piovere sanzioni di ogni genere. Se – come sostiene Matteo Salvini – quello che si vuole è portare “più Italia in Europa”, vale a dire far sentire la propria voce e difendere i propri interessi in sede europea (per esempio stabilendo regole più stringenti per quanto riguarda l’immigrazione), bisogna sedersi ai tavoli dove si prendono le decisioni: che in Europa – per un movimento conservatore come la Lega – vuol dire far parte del Partito Popolare Europeo. Riflettendoci bene, passata l’onda sovranista e dimostrata empiricamente la fallacia del sovranismo stesso – o forse di quel sovranismo “ingenuo” che pensa sia realistico, in un mondo sempre più globalizzato e interconesso, dal punto di vista economico come da quello politico, ritornare agli Stati nazionali politicamente chiusi e auto-referenziali, oltre che economicamente protezionisti – sarebbe bene concentrarsi sull’ottenimento di risultati concreti e tangibili. Questo significa capire che il miglior modo per difendere i propri interessi non è solo stare in Europa, ma partecipare alle sue dinamiche da protagonisti, che a sua volta implica la vicinanza a quelle forze istituzionali che la guidano e continueranno a guidarla anche in futuro. L’auspicio è che Matteo Salvini comprenda questa semplice associazione di idee e che si decida a fare della Lega il vero partito leader del centrodestra italiano, il nuovo polo della libertà capace di rappresentare la “maggioranza silenziosa” degli italiani e di difenderne realisticamente e prudentemente gli interessi in Europa.

Aggiornato il 17 marzo 2021 alle ore 13:19