
“Caro Renato, questa mattina, fra le tante domande e riflessioni che mi vengono in mente ogni giorno, fin da quando mi sveglio, e spesso anche nei sogni, mentre facevo colazione, col televisore acceso (su La 7) con sotto il titolo “Alla ricerca del Segretario perduto” (che mi ha fatto subito pensare a quello del famoso romanzo di Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto), con l’immagine del Segretario dimesso (non nel senso di “modesto” ma in quello di “congedato” dalla guida del suo partito), che aveva alle sue spalle un’intera parete tappezzata di simboli coi colori della bandiera italiana su cui spiccava Partito Democratico, mi è venuta spontanea una riflessione. Tu sai che io sono anche un linguista, e che nel 1994 ho fatto parte del “Comitato Ministeriale per la salvaguardia della Lingua Italiana”, insieme con Tullio De Mauro e Giovanni Nencioni, presidente dell’Accademia della Crusca (e fu io che proposi salvaguardia al posto originario di difesa che aveva fatto montare in bestia i due sunnominati personaggi)”.
“Scusa se t’interrompo. Tu sei stato il primo e forse l’unico a dare la parola alle parole, nei programmi radiofonici della Rai, personificandole e intervistandole sulle loro origini e sulla loro storia. Ma vieni al dunque”.
“Ebbene, vedendo tutti quei simboli del Pd con la bandiera tricolore, illuminato, anche lì, dalla celebre frase di Giosuè Carducci, La Patria innanzitutto, mi sono chiesto ma che cos’è un partito? E cosa ha a che vedere con la Patria, che tutti gl’Italiani chiamano il Paese? Dante definiva l’Italia il bel Paese là dove il sì suona, oggi è il Paese dove tutto stona. Il mescolare insieme il concetto di Patria, di Paese e di nazione è uno sradicamento dell’identità di un popolo. Il Paese lo gusti, nel guardarne, per l’appunto, il paesaggio, e sotto questo aspetto l’Italia è tanto bella che i turisti stranieri, da tutto il mondo, per secoli e secoli vi sono piombati e tuttora vi piombano a frotte, rischiando persino la vita. Sempre Carducci in una poesia, Il Parlamento, scriveva la primavera in fior mena tedeschi pur come d'uso. Fanno pasqua i lurchi nelle lor tane, e poi calano a valle”.
“Purtroppo, in una società in cui manca, o non si avverte e non s’infonde negli animi da parte di politici e d’intellettuali il senso di appartenenza, parlare di Patria è scomodo, perché la Patria implica delle responsabilità. I Romantici dicevano patria, perché coltivavano il sogno di unirsi e di abbracciarsi, in virtù di un principio universale di fratellanza. Il concetto di Patria, che i nostri politici dovrebbero inculcare nel popolo, unisce, mentre il concetto di paese lascia il tempo che trova. Francesco Crispi diceva la Monarchia ci unisce, la Repubblica ci divide”.
“Chi per la patria muor vissuto è assai, cantavano i fratelli Bandiera, la fronda dell’allor non langue mai. Piuttosto che languir per lunghi affanni, è meglio di morir sul fior degli anni. Chi muore e che non dà di gloria un segno alla futura età, di fama è indegno”.
“Parliamo dei partiti. Cosa vuol dire il titolo che hai dato questa volta alla rubrica?”.
“La parola partito ha diversi significati. Sul piano politico vuol dire diviso, dal verbo partire nella forma transitiva di dividere, per esempio in diverse fazioni. Come diceva Dante con quel significato a Ciacco nell’Inferno ma dimmi, se tu sai, a che verranno li cittadin de la città partita. Così si usa anche in espressioni come prendere partito, nel senso di decidersi, prendere una decisione. Ma partito è anche il participio passato di partire, nel senso di andar via, di allontanarsi, col treno o con la macchina, ma indica pure un partito politico che si allontana dai princìpi o dalle regole che aveva stabilito alle sue origini. Un partito trasformista, come ce ne sono stati tanti e ce ne sono ancora in Italia. Dal 1948 in 17 tornate elettorali si sono presentati alle elezioni 380 partiti diversi, con un totale di 558 simboli e una media di 32 partiti per ogni elezione. Oggi in Italia alle elezioni vota poco più del 50 per cento. Nel giugno del 2013 gl’Italiani che non hanno votato sono stati il 52 per cento e non si capisce perché la Sinistra abbia cantato vittoria e la Destra sia stata considerata sconfitta. La Sinistra avrà pure vinto ma se più della metà degli Italiani non sono andati a votare è evidente che anche lei ha perso molto consenso. Anzi, ne ha perso più della Destra, se è vero che gli elettori di Sinistra vanno sempre a votare tutti uniti e compatti, e dunque la stragrande maggioranza di coloro che non hanno votato sono più di destra che di sinistra. Che valore ha quindi un simile risultato? Può la Sinistra cantare vittoria solo perché, sulla carta, ha raccolto un consenso maggiore fra meno della metà degli Italiani? Il voto ha un valore relativo quando non votano tutti o almeno un numero ragguardevole di elettori. E quando votano la metà come orientarsi? Gli elettori che non hanno partecipato alle votazioni partecipano però della vita della nazione, dunque non possono essere ignorati, vanno comunque messi nel conto. E poi, che valore ha un voto dato senza convinzione? O fondato sull’umore, su un moto passionale passeggero, per protesta, per punire chi ci ha deluso, ma che comunque, nel fondo, resta sempre il nostro punto di riferimento? Come si vede, un discorso sul voto e sui risultati di una consultazione elettorale è piuttosto complesso e articolato, bisogna andarci cauti prima di cantare vittoria, tanto più quando si dice che quello che conta è il Paese reale”.
“Da tali risultati è assurdo trarre la conclusione che ha vinto la Sinistra o la Destra. Se si va a stanare gli astensionisti si vede bene qual è fra loro l’ideologia prevalente. Il fatto è che la Sinistra, nei momenti del bisogno, fa quadrato, la Destra no, la Sinistra prende sempre tutte le iniziative, si fa sentire, si fa vedere, mobilita la piazza, organizza convegni, ha uno spazio esorbitante in televisione. La Destra sta a guardare, perché non è un movimento di lotta. Però è maggioritaria”.
“Oggi l’isolamento di Giorgia Meloni è assurdo. La Sinistra gioca su questi atteggiamenti, e spinge il capo dello Stato (istigato da lei) a considerare i tre rami della Destra (che poi è un centrodestra, con i suoi moderati), delle coalizioni, come partiti singoli, a parte, per cui quando vincono nell’insieme dà l’incarico al partito che ha preso più voti, com’è accaduto nel 2018. La Destra, insomma, è tollerante, nessun suo esponente ha mai detto a quelli della Sinistra ma voi che cosa siete?, io con voi non ci parlo, voi siete impresentabili, siete rozzi, incivili, non avete niente di umano (vedi Romano Prodi, Rosy Bindi e Lucia Annunziata). Nel giugno del 2013 molti della Sinistra, visti i risultati delle elezioni, rialzarono la testa e come sempre in simili circostanze si diedero da fare per rovesciare il Governo, perché secondo loro i risultati derivanti da un astensionismo colossale avevano dimostrato che gli Italiani (ma quanti?) non volevano alcuna intesa fra la Destra e la Sinistra. E rilanciarono il solito ritornello ma quale pacificazione! (Nessuna pace tra l'eterna guerra / dell’agnello e del lupo e tra noi due / né giuramento né amistà nessuna, / finché l’uno di noi steso col sangue / l’invitto Marte non satolli)”.
“Siamo sempre alle solite. In Italia vincono i partiti, non gl’Italiani. La nostra è una politica fatta di trame, di vendette, di rivalse, oltre che d’insulti e di parole al vento. Siamo irrecuperabili. Una espressione geografica definì Klemens von Metternich l’Italia, una terra di morti la disse Alphonse de Lamartine. Per gl’Italiani ci vorrebbe un Napoleone, gridava Stendhal, ma dove lo si va a prendere?”.
“Ora, continuando al primo detto, che ci sta a fare il Partito Democratico in una democrazia? Sancita dalla Costituzione, che nell’articolo 1 dice “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. E perché sul lavoro? Perché così vollero i comunisti, tant’è che il lavoro è il fulcro intorno al quale ruota la Repubblica italiana, anche sotto il profilo lessicale, visto che nella Costituzione il “lavoro”, i “lavoratori” e le “lavoratrici”, sempre in compagnia dei loro sacrosanti diritti, compaiono una quindicina di volte. E ciò rafforza il detto che chi non lavora non mangia. Ma anche il filosofo, il quale non fa altro che pensare, agisce, opera, lavora. Come diceva Giovanni Gentile, il pensiero è un atto puro, un’attività perenne, la realtà vera: pure il filosofo pensa alla società, anzi, vi pensa assai più del politico, per il quale la realtà sono i fattacci suoi. Ben poco o nulla pensa ai fatti della comunità. E se fa qualche cosa di concreto, lo fa perché si sente obbligato, e per mantenere il posto che si è conquistato a parole. Un giornalista straniero parecchi anni fa scrisse i politici italiani parlano troppo, specialmente in pubblico e alla televisione. Lavorino in silenzio, abbiano almeno il senso della misura. Oltretutto, parlando sempre, spesso si contraddicono, e si compromettono pure. Oggi i partiti in Italia sono partiti anche e soprattutto nel senso che, chi più chi meno, hanno perso la testa, un altro significato di partito, e dunque in Italia i partiti sono partiti in tutti i sensi che ha quella parola”.
“Ora poi ci si è messo di mezzo anche il Coronavirus. Ma se nemmeno nei periodi di emergenza si mettono d’accordo su questioni fondamentali, che riguardano la vita stessa, compresa la loro, i partiti che ci stanno a fare? A giocare con le parole, invece di andare al sodo. Parole, parole, parole. Come cantava Mina insieme ad Alberto Lupo parole, parole, parole, parole parole, parole, parole, parole, parole, soltanto parole, parole tra noi”.
“Aristotele e Georg Wilhelm Friedrich Hegel, per citare due filosofi, dicevano che la vita dell’uomo è all’insegna della dialettica, il cui strumento è appunto la parola: tesi e antitesi (la quale è sempre una tesi, pur se contraria). Ma alla tesi e all’antitesi deve seguire la sintesi, e per realizzarla bisogna giungere ad un accordo, o ad un compromesso, sia pure mantenendo le proprie opinioni, se no che si discute a fare? Ora, è possibile che i nostri politici non riescano a capire una cosa così semplice che, se tu gliela spieghi bene, la capisce anche un bambino?”.
Fratelli d’Italia, l’Italia protesta,
si strappa la chioma, si batte la testa,
ma nelle elezioni, comunque se n’esca,
per mille ragioni più fede non ha.
Può vincere, infatti, qualsiasi partito,
ma dopo cominciano i soliti giochi:
si mettono insieme fra loro i più pochi,
che contano più di quello che ha vinto,
formando un Governo che nome non ha.
Si mettono insieme perché quel che conta,
che a loro più preme, non è la rimonta
del nostro paese, ma son le poltrone
che a fine del mese gli danno un guadagno
che uguale non ha.
Ma, fatto il Governo, comincian le liti,
in quanto i partiti han vesti diverse:
ci sono i contrari, ci sono i pentiti,
i voltagabbana, si cambiano i patti,
e i conti già fatti
non tornano più.
Così quel precario Governo è dimesso
e il popolo, fesso,
ritorna a votar.
Aggiornato il 11 marzo 2021 alle ore 11:35