
Il Santo Padre ha soggiornato in Iraq per quattro giorni e oggi farà ritorno. Si tratta della prima volta che un Pontefice si reca in quella terra, notoriamente martoriata da guerre, povertà e conflitti religiosi. Pare che Bergoglio abbia desiderato moltissimo questo viaggio, nonostante i molti problemi legati all’emergenza sanitaria e ai grandi rischi relativi alla presenza del capo della Chiesa Cattolica in una realtà – come quella irachena – in cui l’appartenenza alla fede cristiana pone dinanzi a molti pericoli per la propria incolumità, data la forte presenza di gruppi e milizie islamiste dedite alla violenza contro le minoranze religiose.
Per queste ragioni, durante il suo viaggio il Papa è stato scortato – addetti alla sicurezza del ministero dell’Interno e della Difesa hanno presidiato ogni luogo in cui il Pontefice si è recato – e si è spostato solo a bordo di un’auto blindata. Nel lasciare l’Italia, Sua Santità, come da consuetudine, ha inviato un messaggio al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in cui ha parlato dell’intento del suo viaggio apostolico: quello di essere pellegrino di pace e di fraternità o, come detto dal Pontefice in altre occasioni, quella di viaggiare in Iraq “nel segno di Abramo” (il padre delle tre grandi religioni monoteiste). Il presidente Mattarella, dal canto suo, ha risposto al Papa sostenendo che la sua storica presenza in Iraq rappresenta motivo di speranza per le comunità cristiane perseguitate, che essa costituisce testimonianza concreta della paterna vicinanza alla sofferenza di quelle persone e un ulteriore passo verso la pace e la fratellanza tra i popoli e le fedi religiose.
Tra gli incontri più importanti previsti dall’agenda del Papa – accompagnato dal nunzio apostolico in Iraq – quello con il premier iracheno, Mustafa Abdel Latif Mshatat e col presidente della Repubblica, Barham Ahmed Salih Qassim. Successivamente, Francesco ha tenuto un discorso rivolto alle autorità, alla società civile e al corpo diplomatico, un sostanziale appello al dialogo e alla cessazione delle violenze e delle ostilità. Era previsto anche l’incontro coi vescovi, i sacerdoti, i religiosi, i seminaristi e i catechisti nella Cattedrale di Nostra Signora della Salvezza a Baghdad.
Ma l’evento più significativo è stato sicuramente l’incontro con l’ayatollah Ali al-Sistani, nella città di Najaf – che dovrebbe porre le basi per una futura pacifica convivenza tra le due fedi – e la visita a Mosul, per anni roccaforte dello Stato Islamico, poi riconquistata dalle forze di liberazione, da dove il Papa ha pregato per le vittime della guerra e delle persecuzioni.
Molto si è detto sull’attuale pontificato: come in molte altre occasioni vi saranno coloro che giudicheranno la scelta del Papa imprudente, oppure troppo “di sinistra”, data la volontà – manifestata anche in altre circostanze – di privilegiare la via del dialogo col mondo islamico, invece che quella dello scontro (nemmeno se i suoi predecessori fossero stati dei crociati, al netto delle interpretazioni fantasiose degli ultra-cattolici). Comunque la si veda, si tratta di un passo estremamente importante: la presenza del Santo Padre in una realtà dove essere cristiani significa rischiare seriamente la propria vita; l’appello alla pace, alla tolleranza e alla fine della violenza; l’auspicio di un futuro caratterizzato dal dialogo e dalla libertà, per ciascuno, di professare la propria fede senza dover temere per la propria incolumità è un passo significativo verso una umanità e un mondo pacificato proprio nel segno della libertà.
Alcuni parleranno anche dell’ennesima “resa del mondo cristiano” dinanzi all’Islam: se arrendersi all’Islam vuol dire visitare un terra infestata dai fondamentalisti; incoraggiare i cristiani perseguitati a non perdere la loro fede e a non aver paura dei loro persecutori; appellarsi alle autorità civili e religiose del posto perché cessino le violenze e visitare – in maniera peraltro altamente simbolica – l’ex roccaforte dell’Isis e da lì levare la propria preghiera al cielo per le vittime del fanatismo criminale di quegli esaltati, allora ci sarebbe da chiedersi cosa significhi il contrario.
Non arrendersi all’islamizzazione e al fondamentalismo vuol dire anzitutto tenere il punto sui nostri valori fondamentali, su quello che ci caratterizza e ci rende quello che siamo. Vuol dire non mostrare paura dinanzi a chi ci vorrebbe spaventati e sottomessi: il che implica il non lasciare che la violenza possa cancellare o inibire la libertà di pensare, di parlare, di credere e di agire secondo i dettami della propria coscienza. Esattamente ciò che ha testimoniato la scelta di Francesco di visitare l’Iraq.
Aggiornato il 08 marzo 2021 alle ore 12:44