
Naturalmente tutti speriamo che il Governo di Mario Draghi faccia bene, perché ogni successo del nuovo esecutivo andrà a beneficio dell’intero Paese, e non solo del destino politico di questo o quel partito dell’attuale e vasta maggioranza. Oppure, del futuro personale, magari quirinalizio, del presidente del Consiglio. Ma se leggiamo in libertà, quindi senza posizionamenti pro o contro da dover difendere, il discorso programmatico del premier, non possiamo non notare alcune ombre, accompagnate senz’altro da diverse ed indiscutibili luci.
Partiamo da queste ultime per poi giungere alle note dolenti e deludenti. Il richiamo all’europeismo non può essere oggetto di forti critiche, nemmeno da parte di chi, peraltro con molte ragioni, nutre più di un dubbio nei confronti di questa Unione europea. Se non è e non può essere condiviso da tutti, l’europeismo di Mario Draghi appare perlomeno scontato, perché chi ha guidato la Banca centrale europea è destinato a richiamarsi all’Europa. Del resto, si tratta di un Governo emergenziale, sorretto da una maggioranza composita che va dalla Lega a Liberi e Uguali. Quindi, colui il quale si trova a dover gestire una simile realtà deve, o quantomeno dovrebbe, evitare il più possibile ogni tipo di partigianeria, sia in un senso che nell’altro. È comunque incoraggiante e positivo che il premier abbia messo l’atlantismo sul medesimo piano del riferimento ai valori europei, senza quasi nominare, per esempio, la Cina, evitando perciò quelle brutte equidistanze care a Giuseppe Conte. Sebbene la riconferma di Roberto Speranza alla Salute non prometta bene sul fronte della pandemia, Draghi ha in qualche modo strigliato sia chi ha l’abitudine di annunciare le varie restrizioni anti-Covid all’ultimo momento, che i responsabili della campagna vaccinale, come il commissario Domenico Arcuri, finora dimostratisi piuttosto scadenti. C’è infine l’impegno per una giustizia giusta e per una velocità dei processi almeno coerente con gli standard europei, da accogliere senza alcun dubbio.
Venendo ora agli aspetti più discutibili del discorso programmatico di Mario Draghi, ci si augura che il tanto ribadito ambientalismo del nuovo Governo intenda rappresentare un intelligente equilibrio fra il bisogno di produrre dell’economia, l’inevitabile mobilità di persone e merci, e la tutela dell’ambiente. E non sia invece una adesione cieca all’ideologia “green”, fonte soltanto di vessazioni illiberali, dogmi più che opinabili e caccia alle streghe. L’ambiente sta a cuore a tutti, ma ciò che incarna la giovane svedese Greta Thunberg non è universalmente condiviso. Come abbiamo già detto, il premier di un Governo così eterogeneo come l’attuale non può abbracciare temi divisivi. Pertanto, se non gli è consentito – per dire – di accontentare troppo Matteo Salvini, non gli è neppure permesso di strizzare l’occhio oltremisura a quelle questioni care alle sinistre, come appunto un certo ambientalismo ideologico che, di fatto, piace solo a grillini e piddini.
Ma un passaggio del discorso di Draghi al Senato, più che deludere, si è rivelato quasi inquietante ed infatti non è sfuggito ai più. Mario Draghi dice che il suo Governo tutelerà tutti i lavoratori colpiti dalla crisi economica dovuta al Covid, ma afferma che non tutte le aziende potranno essere aiutate. Alcune di esse dovranno cambiare radicalmente e la politica economica del Governo provvederà a porle dinanzi al probabile e seguente bivio: o si cambia, oppure bisogna rassegnarsi al fallimento. Dal punto di vista liberale, gli aiuti pubblici all’impresa privata non sono mai una gran cosa, poiché è preferibile che lo Stato aiuti la crescita del privato attraverso una tassazione equa e la liberazione da lacci e lacciuoli burocratici. Tuttavia, in un’Italia che viene da un anno drammatico di pandemia, chiusure dissennate e follia economica del precedente Governo, il messaggio di Draghi assume contorni devastanti. Purtroppo, tante attività economiche chiuderanno comunque, con o senza gli aiuti pubblici, perché in molti non riusciranno a rialzarsi dopo diverse aperture ed altrettante chiusure. La condanna a morte è già scritta per una parte di piccole e medie imprese italiane, ma da una figura come Mario Draghi, messa lì apposta, così si dice, per ridare una speranza a questo Paese, ci si aspetterebbe qualcosa di meglio rispetto alla conferma dell’ineluttabilità del patibolo.
È inoltre fastidioso che il premier non sia sceso troppo nei dettagli, perciò non sarebbe male conoscere il tipo di cambiamento al quale le imprese devono andare incontro, se non vogliono soccombere. O si accetta l’ambientalismo “gretino”, o si muore? Infine, non dovrebbe essere il Governo, con la propria politica economica, magari una pianificazione di sovietica memoria, a decretare quale impresa sia competitiva e meriti di sopravvivere, e quale, sia invece destinata a portare i propri libri in Tribunale. Tutto ciò sarebbe di competenza del mercato. Abbiamo bisogno di molte cose, fuorché del dirigismo.
Aggiornato il 19 febbraio 2021 alle ore 10:51