
Di quello che i leader dei partiti del nuovo Governo e dell’opposizione di Fratelli d’Italia pensano del discorso programmatico sulla fiducia del presidente del Consiglio, Mario Draghi credo che sappiate tutto, o quasi. Quello che si sa meno è cosa pensano gli italiani. Non ho il metro di un sondaggista, ma la sensibilità di chi ascolta e si interessa alle comunità.
La prima reazione sarà stata sicuramente la seguente: come siamo importanti noi cittadini per i potenti, i quali si sono tutti presentati davanti a Super Mario per il bene del Paese. Hanno giurato che hanno accettato di unirsi in nome del popolo. Nonostante tutti i loro distinguo, le avversità, le alterità, le “canagliate” che si sono fatti fino a ieri, le guerre e le trappole: Partito Democratico contro Italia Viva, i Cinque Stelle l’uno contro l’altro, la Lega e FdI contro tutti. Eppure, hanno detto di aver messo da parte l’ascia di guerra “per amor nostro”. Sarebbero diventati d’improvviso buoni e pii per lo sconfinato amore italiano verso una nazione distrutta, dilaniata, sfregiata, peggio del tempo delle calate dei barbari, al punto che il capo dello Stato ha chiamato l’ex presidente della Banca centrale europea a dargli una mano. E Mario Draghi, come avete visto, ha lasciato i suoi incarichi top tutti all’estero, badate, per aiutare il presidente Sergio Mattarella. E il Draghi ex direttore generale del ministero del Tesoro, divenuto un’eccellenza lontano da casa, è entrato nell’agone politico in punta di piedi, a tratti impacciato, sicuramente con la voce “incrinata” e la commozione a portata. Forse i parlamentari non hanno ben colto questa immagine, o non ci hanno dato peso, troppi impegnati a smentire commissariamenti, crisi della politica, torti, responsabilità, figuracce. Tutti costoro amano l’Italia e non pensano che al nostro bene. Un Paese culla di ogni bellezza ridotto a “discarica internazionale”, dove chiunque può venire a delinquere e depredare e al massimo bivaccare. Eppure, questa Italia “derubata e colpita al cuore”, come cantava Francesco De Gregori, sarebbe l’anelito univoco di questa classe dirigente. L’Italia dei sinistri, l’Italia dei grillini, l’Italia di Matteo Salvini e dei patrioti di Giorgia Meloni. Con Italia Viva di Matteo Renzi da parte a fare strategia. Agli altri ci tocca anche credergli.
Il discorso di Mario Draghi lo avrete ascoltato e capito. È stato chiaro. Si farà di tutto per superare la pandemia e pianificare i vaccini, ma quando sarà passata non ci illudiamo che tutto tornerà come prima. Il presidente lo ha detto in modo netto: molti non riapriranno, molti lavori non ci saranno più, molto sarà cambiato. Ci sono i 300 miliardi del Recovery Fund ma l’ex uomo di Bruxelles non ha promesso che saranno risolutivi. Si vedrà se questo debito sarà buono, se ci riusciremo, il passato non incoraggia. Matteo Renzi in una newsletter parla di passo in avanti, di un’Italia più forte sui tavoli internazionali, di un Governo che mette al centro “i nostri figli”, ma anche lui mette in guardia dagli sprechi e invita a partecipare alla scuola di formazione politica per la rivoluzione italiana. Silvio Berlusconi non sale sul predellino, ma lancia Forza Italia all’impegno coerente. Studiare, lasciare da parte le controversie e prepararsi. La cosa da fare, ha esortato Draghi, è riconvertirsi velocemente. In questo difficile passaggio, si è impegnato ad accompagnarci, indicando fin da ora soprattutto ai ragazzi delle superiori che serve il massimo della serietà e se necessario si va a scuola anche d’estate, perché il tempo è poco. La citazione degli istituti tecnici riformati chiarisce la necessità di competenze specifiche che serviranno non per domani, “per ieri”. Come avvertono i più saggi, le vere riforme che farà Mario Draghi non saranno molte come l’elenco enciclopedico, saranno due o tre, cioè i pilastri degli anni a venire: transizione verde e digitale in testa, dove occorre affrettarsi a salire con spirito apolitico, reciproco e unitario. Il tempo dei distinguo è logorato.
Tutto questo presenta vantaggi e speranze, ma anche un rischio. Avrete notato i toni del premier. Misurati, pacati, bassi, prudentissimi, benché egli sia “il migliore d’Europa”. Eppure “Draghi il migliore” è entrato nel catino del Senato e di Montecitorio come chi si aspetta un cecchino, come un catapultato in una guerriglia pericolosa, o come uno che deve domare i leoni. La sua portavoce, Paola Ansuini, con lui fin dai tempi di Bankitalia, ha spiegato che la comunicazione sarà centellinata, “si parlerà quando si ha qualcosa da dire”, ha dichiarato. Michele Serra su Repubblica ha scritto l’osanna, ma un lettore gli ha replicato “non canti vittoria, ci penseranno gli altri a straparlare”. La pandemia ha emancipato il Paese che, a parte una fetta, pensa a salvarsi anche da solo. E il rischio è tutto qui, ecco la strada stretta di Mario Draghi. Perché se parlare poco è un bene, non parlare è un pericolo. Il nostro Paese oscilla spaventosamente tra due estremi: l’eccesso mediatico e la sovraesposizione per una confusione magmatica da caos civile, come è stato fin qui, e una contrazione di notizie e di dibattito favorevoli a un dirigismo “autoritario” e “illiberale”. Lo stesso Draghi è indicato come “il salvatore” ma al contempo come l’uomo di “gruppi di pressione”.
“Tutti i posti sono occupati”: avete ascoltato l’incipit di Giorgia Meloni che ha citato Bertolt Brecht? Mi è parso di capire che anche dalla “parte del torto” sono già tutti schierati, questi partiti. E di fronte a questo plotone, Mario Draghi è solo un uomo e un uomo solo. Quello che dobbiamo fare noi è ragionare senza appartenenze che facciano velo alla realtà, scegliendo senza reticenze ideologiche o paraocchi, poiché avrete verificato che tanti a cambiare idee e promesse ci mettono un attimo. Insomma, spetta anche all’Italia amarsi e mettere in atto comportamenti più che virtuosi. Ho chiesto ad amici e persone un commento, indicando la commozione del premier che ha pronunciato le ultime parole con la voce strozzata, e uno mi ha risposto: “Lo credo bene, sa come siamo messi”. Allora, ce la dobbiamo a far rinascere un’Italia di vivi e vincitori.
Aggiornato il 19 febbraio 2021 alle ore 13:28