
Discorso classico, elegante, a tratti poetico e risorgimentale. Detto fra noi, l’unico possibile da fare per uno come Mario Draghi, alla guida del Paese in un passaggio drammatico e delicato, sostenuto da una maggioranza degli opposti. Ecco perché speriamo bene, perché tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, perché dell’elenco fatto al Senato, in massimo due anni, si potrà fare forse la minima parte. Perché, quando si passerà dai titoli alle soluzioni, verranno fuori tutte le contraddizioni politiche di una maggioranza tra contrari. Del resto scusate, le riforme da noi non si sono realizzate nemmeno quando le maggioranze erano omologhe o quasi, figuriamoci in questo caso. Ecco perché Draghi, intelligentemente, si è limitato ai titoli di testa e alla elencazione dei capitoli, senza scendere nemmeno lontanamente nello specifico.
Parliamoci chiaro, il vero e unico traguardo del Governo Draghi è quello del Recovery, della vaccinazione, della rassicurazione dei mercati e della Ue, dell’utilizzo dei soldi in modo “buono”, per riportare l’Italia a galla, fuori dalla tempesta economico sociale e dal caos sanitario e da chiusura, nella quale i gialloverdi prima del Covid e peggio ancora i giallorossi dopo, complice il virus, l’hanno infilata. Mario Draghi prima di diventare il prossimo presidente della Repubblica, in uno o al massimo due anni, dovrà restituire al Paese la sicurezza dei conti, le condizioni per la crescita, la fiducia degli investitori. Un clima interno più sereno ed ottimista, per l’uscita definitiva dal Covid e dalla crisi economica.
Ecco perché tutto il resto è un bel proponimento che, nel migliore dei casi, potrà essere impostato, delineato, per essere consegnato poi come lavoro al prossimo Governo e alla prossima maggioranza, che nella futura legislatura si dovrà far carico di limarlo, perfezionarlo e poi ratificarlo. Parliamo delle grandi riforme, giustizia, fisco, lavoro e previdenza, burocrazia. In questo scorcio finale di legislatura, al massimo saranno presi provvedimenti tampone per accelerare l’uscita dalla crisi socio-economico-sanitaria, per ricominciare a crescere, per produrre fatturato e occupazione. Draghi al Senato, pur parlando della spesa buona, produttiva, nulla ha detto sulla sua revisione, che sarà indispensabile sia per recuperare risorse da impiegare meglio e sia per mettere fine alla stagione degli sprechi, del clientelismo, dei carrozzoni, dell’assistenzialismo elettorale, di uno Stato onnipresente improduttivo e invadente.
Così come Draghi ieri, tranne accenni sul modello danese progressivo, nulla ha detto sul tema fiscale rispetto ai 50 milioni di cartelle e alla riscossione. Perché se è vero che il pianeta-tasse vada riformato interamente per renderlo più equo, semplice e stimolante, è altrettanto vero che per farlo non si potrà prescindere da un reset totale del passato e da nuove – e meno aguzzine – forme di riscossione. Riformare il fisco in costanza di 50 milioni di cartelle che, unite alle pendenti, fanno una pazzia di contenzioso, sospeso, insoluto, è improponibile. Tanto più all’uscita da una crisi economica devastante per Covid, né è pensabile di risolvere un problema tanto grande con la spalmatura o il rateizzo. Pensate a 25 milioni di cartelle l’anno per due anni, o alle rottamazioni e rate del passato da sommare alle tasse correnti, follia.
Per avviare una seria stagione fiscale, un nuovo patto di fiducia tra Amministrazione e contribuenti, una fase più serena delle entrate e della riscossione, riconosciuta con favore da tutti i cittadini, un reset e una pace definitiva del passato è ineludibile, altrimenti le ruggini, la rabbia, le reazioni, il peso del pregresso, il contenzioso patito e patendo non cambieranno né il clima, né il rapporto fra Stato e contribuenti. Per non dire che la questione fiscale sarà la madre di tutte le soluzioni, perché siamo sicuri che a Draghi non potrà essere sfuggito che gli strumenti di politica monetaria per fronteggiare la crisi vanno esaurendo. Dunque, dovranno essere quelli fiscali a fare la vera differenza per la ripresa, lo stimolo, il supporto alla crescita della produzione, dei consumi, del lavoro e degli investimenti.
Per questo speriamo bene, perché per quanto sia suggestivo vedere un Governo di emergenza sostenuto da forze politicamente opposte, unite almeno sembra dal supremo amor di Patria, quando dalle parole si passerà ai fatti – inutile nascondersi – saranno guai. È la ragione per la quale Draghi, secondo noi, non avrebbe dovuto confermare alcun ministro del passato, indipendentemente dall’operato. Così come dovrebbe subito sostituire Domenico Arcuri che ha sbagliato tutto dall’inizio e sostituire molti esperti e tecnici, che continuano ad imperversare e spaventare spesso a vanvera sul Covid e sui vaccini. È la ragione, infine, per cui Draghi al Senato al di là dell’eleganza poetica e patriottica risorgimentale, avrebbe dovuto indicare 3 o 4 punti al massimo da realizzare nel più breve per rimettere in quota la baracca. Ed è la ragione per la quale un Governo Draghi potrà andare a dama solo limitandosi a prendere in mano l’economia e i suoi dintorni, evitando le sabbie mobili di una maggioranza che, sugli altri temi, si fa e si farà guerra per definizione. Ecco perché speriamo bene.
Aggiornato il 18 febbraio 2021 alle ore 09:49