
Europa Über alles? Sì, se l’ex governatore della Banca centrale europea (Bce), Mario Draghi, il protagonista del salvataggio dell’euro nel 2012, avesse i… pieni poteri (conseguenti a una maggioranza parlamentare “blindata”), in virtù dei quali implementare le note e mai realizzate riforme di sistema, che riguardano Pubblica amministrazione, fisco e giustizia civile, ritenute dalla Commissione dell’Unione europea pregiudiziali per la susseguente implementazione del piano nazionale di Recovery. Poiché la missione affidata a Mario Draghi dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella e, più in generale a questo punto, dalle istituzioni europee è proprio quella di redigere ex nuovo il Recovery plan italiano (la cui precedente versione del Governo Conte-bis aveva suscitato a Bruxelles vivissime preoccupazioni, di cui si è fatto portavoce il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni), è del tutto evidente che le prime mosse del futuro Governo riguarderanno sia le riforme, sia la riorganizzazione della sanità territoriale per il raggiungimento dell’obiettivo dell’immunità di gregge attraverso la vaccinazione tempestiva di almeno il 70 per cento della popolazione italiana. Infatti, poiché la salute dell’economia e quella personale dei cittadini vittime della pandemia sono strettamente correlate, un buon Governo ha il dovere di intervenire con tempestività e decisione su entrambi gli aspetti: contenere l’epidemia per consentire l’apertura e il rilancio delle attività produttive che sostengono l’occupazione. Laddove possibile, naturalmente.
È chiaro, infatti, che mentre la produzione manifatturiera nei settori diversi dal tessile e dall’alta moda (penalizzati dalle chiusure a ripetizione degli esercizi commerciali) ha trovato il modo di restare competitiva sui mercati interni e internazionali, viceversa quella dei servizi alla persona e del turismo, in particolare, indissolubilmente legate alla consistenza e alla costanza dei flussi delle presenze, sia italiane che soprattutto straniere, ha subito un crollo dei fatturati e dell’occupazione che richiederanno molto tempo e adeguati sussidi per essere riportati ai livelli pre-pandemici. Mario Draghi dovrà fare ricorso a tutta la sua autorità ed esperienza, per frenare le spinte elettorali dei partiti e del Parlamento, favorevoli a interventi a pioggia sul modello indistinto dell’helicopter-money, a beneficio delle categorie più disparate, che proprio per il loro carattere aspecifico, generalizzato e irresponsabile sono privi di efficacia per la generazione di nuovi posti di lavoro. E sarà proprio quest’ultimo punto, relativo alla modalità e ai tempi della rimozione del paracadute della cassa integrazione straordinaria, che ha finora impedito alle imprese di procedere ad alleggerimenti di organici nella ripresa delle loro attività, a costituire la pietra miliare del processo di rinascita nazionale di cui dovrà farsi carico la politica governativa di Mario Draghi. Spetterà a lui, cioè, qualificare nei fatti e nelle metodologie consolidate che cosa debba intendersi per… debito buono.
Gli occorrerà per questo, ottenere il massimo di concertazione e condivisione dalle parti sociali (imprese e categorie sindacali) affinché le risorse disponibili del Recovery vadano a rafforzare le aziende sane, in grado di stare e di competere sui mercati, e che oggi si trovano in temporanea difficoltà per mancanza di liquidità (ma non di ordini e di commesse!) e di investimenti adeguati per garantire la sicurezza sul lavoro del proprio personale. Ed è in questa ottica che potrebbe profilarsi lo scontro frontale con l’assistenzialismo non selettivo e a-meritocratico del M5S, pronto a morire sulle barricate per la difesa di un istituto fallimentare come l’attuale reddito di cittadinanza, per non parlare poi dei bonus di Matteo Renzi, per quanto riguarda gli 80 euro in busta paga o i generosi buoni-spesa agli insegnanti per l’acquisto di materiale informatico. Da questo punto di vista, si rivela della massima importanza vincere la sfida di assicurare un sostegno efficace per chi è alla ricerca di una occupazione o l’ha perduta, a causa degli effetti della pandemia sulle piccole-medie imprese costrette a chiudere le loro attività. Tutto ciò presuppone la più ampia disponibilità di quella fondamentale risorsa che si chiama Formazione, sia in campo universitario e della media superiore, sia per la riconversione formativa di chi ha perso il lavoro e va aiutato a trovarne uno nuovo nei settori in espansione.
Ed è a questo punto che si entra nel rovo di spine tanto temuto anche dai… draghi! Nessuno lo dice, ma il pensiero di chi conosce bene i veri ostacoli al processo di rinnovamento socio-economico nazionale punta direttamente alle mancate riforme costituzionali, che nulla hanno a che vedere con l’aspetto propagandistico della riduzione del numero dei parlamentari. Va, infatti, radicalmente riformulato l’impianto del famigerato Titolo V sulla ripartizione dei compiti e delle competenze Stato-Enti Locali, e Regioni in particolare. Venti sistemi sanitari regionali, tanto per fare un esempio, con migliaia di centri di acquisti collegati (fonte di immensi sprechi e corruzioni, come sappiamo dalla smisurata casistica giudiziaria in materia) non possono più avere giustificazione alcuna. Né, tantomeno, decine di uffici di collocamento regionalizzati, senza che a livello nazionale vi sia una banca-dati centralizzata che metta in corrispondenza biunivoca offerta e domanda di lavoro, garantendo un’assistenza economica adeguata a chi è alla ricerca di una occupazione. Né è minimamente concepibile – e ancora meno giustificabile – l’ulteriore ritardo sulla riforma del Consiglio superiore della magistratura (Csm) e della giustizia civile, con particolare riguardo a quella amministrativa. Da più parti si è evidenziato, in quest'ultimo caso, come si debba mettere tassativamente un freno ai ricorsi amministrativi avverso provvedimenti a scarsissimo impatto sociale, che potrebbero benissimo essere demandati a figure analoghe a quella del giudice di pace, modificando la Costituzione affinché si provveda con legge ordinaria a elencare ratione materiae i provvedimenti da sottoporre a giudizio di Tar/Consiglio di Stato.
Pertanto: qual è l’orizzonte temporale in cui si muoverà il Governo Draghi? Lo scioglimento anticipato a giugno del Parlamento, in modo che siano aggiornati e debitamente contati i nuovi pesi politici, con la conseguente elezione di Mario Draghi al Quirinale, per poter poi guidare da lì le politiche europee durante il periodo del suo settennato? O lo stesso Draghi capo del Governo italiano for ever, in modo da contrattare nel Consiglio europeo dei capi di Stato e di Governo la riforma dei Trattati per l’introduzione delle decisioni a maggioranza, nonché l’implementazione di un meccanismo di fiscalità comune per una Europa federale? Insomma: sarà un Draghi di tutela o di… lotta? This is the question.
Aggiornato il 11 febbraio 2021 alle ore 09:54