
È insopportabile che un partito di incapaci, destinato – meno male – alla decimazione, possa per giorni tenere in scacco la formazione di un Governo, in attesa di un clic a un quesito che, solo a leggerlo, viene da ridere. Come siamo scesi in basso. Eppure, sia la pazienza che lo schema a sinistra imposto dal Partito Democratico stanno obbligando Mario Draghi ad aspettare e concedere a Beppe Grillo il contentino di un super ministero, piuttosto vago, che almeno in parte esiste già seppure sotto forma di dipartimento. Insomma, Draghi potrebbe fare a meno dei grillini perché col sostegno di Lega, Forza Italia e gruppi vari la maggioranza ci sarebbe uguale. Ma siccome il Pd ha bisogno come il pane di mantenere l’alleanza coi grillini, perché altrimenti alle elezioni non avrebbe nemmeno una possibilità su un milione di giocarsela, il premier incaricato deve fare buon viso a cattivo gioco. Va da sé, infatti, che una rottura dei grillini con il Governo Draghi porterebbe a una frattura insanabile col Pd per il futuro. E lo schema di alleanza fra gli eredi di quel “criminale” di Palmiro Togliatti e i figliocci del comico salterebbe definitivamente. Ecco perché i Cinque Stelle devono stare nell’esecutivo di Draghi.
Sia chiaro, per come conosciamo Super Mario l’uscita di Grillo “è uno di noi” è solo la conferma di come Beppe consideri il suo popolo: lo ritiene così “cretino” da poterlo indirizzare con una frase politicamente demenziale. Ai Cinque Stelle Draghi concederà lo stretto necessario. Del resto, basterebbe pensare a quello che hanno combinato nel Conte 1 e 2, o a come abbiano ridotto Roma. Draghi è romano ed eviterà di continuare a dare spago, ancora di più nella certezza che al prossimo turno elettorale diventeranno una frazione decimale dell’attuale. Verrebbe da dire contenti e canzonati, se non fosse che lo spettacolo al quale i pentastellati ci costringono sarebbe da punizione peggiore. Sia come sia, il loro appoggio alla fine ci sarà anche perché è l’unico modo per mantenere qualche poltrona, seppur contando poco. Draghi il suo programma lo ha tutto in testa e di certo non si farà condizionare da Luigi Di Maio o Vito Crimi. Figuriamoci un uomo che non si è fatto condizionare da Angela Merkel o Jens Weidmann, come potrebbe essere influenzato da politici ignoranti che hanno distrutto il Paese insieme agli eredi di quel “criminale” di Togliatti sodale di Stalin, di Tito e dei suoi titini a proposito del crimine orrendo e immondo delle foibe, al cui ricordo ci inginocchiamo in preghiera. Ecco perché, nella Carta, dovrebbe inserirsi anche l’anti-comunismo.
Draghi è Draghi, non sarà condizionato se non dalle necessità del Paese che sono estreme. Il suo programma è bello e delineato su sanità, scuola, fisco, investimenti produttivi. L’esatto contrario di quello giallorosso, che sulla scuola ha fatto il caos e sul Covid pure, bruciando in assistenza 160 miliardi e sul fisco ha creato 50 milioni di cartelle. Roba da matti. Del resto, ci vuole l’ipocrisia giallorossa per dire che la soluzione delle 50 milioni di cartelle sia la gradualità anziché la pace fiscale. I comunisti sono ossessionati dal concetto fiscale di esproprio, assetati di danaro da sottrarre ai consumi e agli investimenti, per pagare gli stipendi dei nullafacenti che gli danno il voto. La sinistra usa il fisco per depredare e impoverire, esattamente il contrario di ciò che servirebbe. Per ripartire sul pulito e fare crescita, per stimolare l’intrapresa e la ripresa degli investimenti e dei consumi, in un clima di fiducia nel futuro, le 50 milioni di cartelle vanno pacificate e risolte. Perché pensare di esasperare la gente ulteriormente, con pagamenti che sarebbero difficili se non impossibili, è pura follia. Per non dire del groviglio da manicomio che ci sarebbe fra scadenze, rottamazioni, rateizzazioni, vecchie e nuove. Insomma, roba da rivolta e pazzia contabile.
Ecco perché siamo sicuri che Draghi proporrà una soluzione di chiusura del passato, per guardare avanti. Sulla progressività fiscale poi è tutto da vedere, dal momento che anche qui l’ignoranza dei comunisti e dei grillini è uscita fuori. Chi l’ha detto che la Flat tax non sia progressiva? Bugia, perché col sistema delle detrazioni, delle no tax area, delle deduzioni, la progressività c’è pure con la flat tax e vedremo le proposte del premier incaricato.
Dulcis in fundo, il Governo Draghi avrà il traguardo temporale del 2022, per affrontare la crisi e risolverla col Recovery, stimolo fiscale e revisione della spesa a parità di bilancio, per riportarci in linea di galleggiamento, pronti per crescere a dovere. Questo sarà il compito: siamo certi che Mario Draghi lo porterà a termine prima di salire al Quirinale, per diventare capo di Stato. Ecco perché si voterà nel 2022 e la grande novità non sarà quella delle sinistre coi grillini, quella degli eredi di quel “criminale” di Togliatti con gli amici di Nicolás Maduro, della Cina e dei vari cespugli comunisti. La grande novità sarà nel centrodestra, perché l’area centrista della destra liberale sarà allargata dalla presenza di Matteo Renzi assieme agli altri gruppi moderati di centrodestra e di Forza Italia. Parliamoci chiaro, il futuro di Renzi a sinistra oramai è finito. Il Pd lo considera un traditore e Renzi non sopporta più il partito di cui pure è stato segretario. Dunque per Italia Viva non c’è altro che cogliere l’occasione di fare esperienza in comune con la Lega e Forza Italia, proprio con l’esecutivo di Draghi. Una anticipazione di schema per il futuro, per fare entrare nell’immaginario elettorale l’idea di Renzi vicino a Silvio Berlusconi, che da grande leader è tornato al centro dei giochi – assieme a Giovanni Toti e Gianfranco Rotondi – nel centrodestra che governerà nella prossima legislatura, con Draghi presidente della Repubblica. Intelligenti pauca: evviva l’Italia libera e democratica, evviva il pensiero liberale. Abbasso il fascismo e il comunismo.
Aggiornato il 11 febbraio 2021 alle ore 10:13