
In un articolo del 20 aprile 2020 questo giornale aveva segnalato che, per fronteggiare al meglio la crisi sanitaria ed economica scatena dal Covid-19, l’Italia avrebbe dovuto seguire l’esempio di Israele, costituendo rapidamente un esecutivo di unità nazionale sostenuto da tutto il Parlamento. In un successivo articolo del 13 maggio 2020 si era anche indicato che il nome di Mario Draghi, in ragione della sua indiscussa esperienza e capacità tecnica riconosciuta a livello mondiale, potesse essere il migliore possibile per guidare un prestigioso Governo di larghe intese, concetto più volte ribadito anche in successivi articoli pubblicati sempre su questo giornale. In effetti, a fine marzo del 2020, una certa stampa, neanche troppo rumorosa, aveva iniziato a parlare dell’opportunità di ricorrere ai “servigi” dell’ex Governatore della Banca d’Italia come possibile primo ministro e la politica appariva – comprensibilmente – “agitata” dalla sua prestigiosa ombra, che rischiava di oscurare rapidamente il mediocre operato del Governo giallorosso.
Proprio per comprendere la “paura” che attanagliava, soprattutto, la maggioranza di governo, ma anche parte dell’opposizione, vale la pena di riportare integralmente – solo per un invito a riflettere su un quesito essenziale, cioè, se la politica faccia solo il proprio interesse ovvero ogni tanto anche quello dei cittadini – un approfondito e circostanziato articolo della prestigiosa agenzia di stampa Agi del 27 marzo 2020 incentrato sulla possibilità che Mario Draghi entrasse in scena e che, tal fine, aveva anche sondato il polso alle forze politiche, di maggioranza e di opposizione, al Governo Conte II: “L’ipotesi di un governo di unità nazionale per affrontare l’emergenza economica post Coronavirus, risolta quella sanitaria, agita il dibattito politico italiano. E se i retroscena di stampa sulla possibilità di un esecutivo guidato dall’ex governatore della Bce (Banca centrale europea) Mario Draghi, al posto di Giuseppe Conte, sono ignorati nei commenti di una parte della maggioranza, come il Partito Democratico e Italia Viva, sono invece accolti con formale smentita da un’altra parte delle forze di governo, il Movimento 5 Stelle. L’attuale governo ha la piena fiducia del M5S e così anche il presidente Conte, il quale sta gestendo con capacità e determinazione una situazione senza precedenti, si legge in una nota diffusa dal M5S. Il presidente del Consiglio è per noi una figura di garanzia, alla guida di un esecutivo che sta lavorando compatto ed in sintonia con un unico obiettivo: aiutare il nostro Paese a uscire dalla crisi per consentirci di rialzarci e tornare a correre. Altri nomi fatti circolare per la guida di Palazzo Chigi, come quello del governatore Mario Draghi, per noi non sono neppure ipotizzabili. L’Italia sta affrontando una prova durissima. Dovremmo esser tutti concentrati sul fare, sul come renderci utili. Invece, sulla stampa continuano a comparire retroscena e ricostruzioni che non corrispondono alla realtà e ai tempi che stiamo vivendo”.
Quindi, questa la posizione ufficiale del M5S e, dello stesso tenore, era stata anche una dichiarazione dell’epoca del viceministro M5S alle Infrastrutture, Giancarlo Cancelleri: “Il presidente Conte ha tutta la nostra fiducia. Mario Draghi a Palazzo Chigi? No grazie, il Governo deve andare avanti pensando solo a fare, a lavorare. Non è tempo di fantapolitica o chiacchiere”. Quindi, secondo il M5S, Mario Draghi a Palazzo Chigi era solo “fantapolitica o chiacchiere”, ma non è affatto fantapolitica prevedere che, se Mario Draghi fosse arrivato a Palazzo, il primo a mollare il potere sarebbe stato proprio il Movimento 5 Stelle, poiché in quel momento “controllava” direttamente il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte e fondamentali ministeri quali gli Esteri, la Giustizia e lo Sviluppo economico, rispettivamente retti da Luigi Di Maio, Alfonso Bonafede e Stefano Patuanelli.
L’interessante articolo dell’Agi del 27 marzo 2020 aveva poi sondato anche l’umore in casa del Partito Democratico: “Il tema di un eventuale Governo di unità nazionale non è nemmeno considerato. Goffredo Bettini lo ha respinto con forza. L’esponente dem romano, tra i dirigenti più ascoltati da Nicola Zingaretti, ha aperto ad una cabina di regia che comprenda anche le opposizioni, ma ha espresso contrarietà a soluzioni politicamente pasticciate e strumentali, ad esempio, un Governo di tutti per andare avanti in questa legislatura. Una considerazione del tutto personale, non la linea del partito. Il pensiero dei parlamentari democratici delle varie aree, tuttavia, non si discosta molto dalle parole di Bettini. Un messaggio in questo senso è arrivato anche dal segretario Nicola Zingaretti, che oggi ha riunito la segreteria e ha affrontato il tema della liquidità per le imprese e le famiglie da accordare in tempi certi, necessità indicata anche dall’ex numero uno di Eurotower, Mario Draghi. Ma Zingaretti ha anche aggiunto: “Ha ragione il ministro Roberto Gualtieri, il governo vada avanti con determinazione su politiche espansive e di investimento per immettere liquidità nel mercato. Come ha detto Mario Draghi, bisogna agire subito senza preoccuparsi del debito pubblico per proteggere cittadini ed economia. Questa è la priorità assoluta. Insomma, la ricetta di Mario Draghi, sembra dire Zingaretti, è la stessa del ministro dell'Economia. Dunque, inutile e dannoso porsi il problema in questo momento””.
Quindi, secondo il Pd, la ricetta di Mario Draghi è la stessa del ministro dell’Economia, Gualtieri, per cui sarebbe stato in quel momento, “inutile e dannoso porsi il problema”. Dannoso, però, soprattutto per loro, visto che, in quel momento, erano al governo e nelle loro mani c’era proprio il delicato e prestigioso ministero dell’Economia retto proprio da Roberto Gualtieri, un ex Partito Comunista italiano, laureato in Filosofia, quindi non un tecnico, con il rischio che le deleghe venissero revocate, considerata la profonda conoscenza tecnica delle materie economiche da parte di Draghi. Netta bocciatura ad un esecutivo a guida Mario Draghi proveniva anche dalla “terza gamba” giallorossa e, cioè, Liberi e Uguali (Leu), un partito-polvere nato nel 2017 da un’operazione di palazzo, tutta interna al Pd, messa in atto da alcuni parlamentari della sinistra anti-renziana, fortemente a rischio di non venire ricandidati in Parlamento alle politiche del 2018 per le loro posizioni troppo oltranziste. Ma, poiché Leu è parte del governo Conte II con l’importante e strategico ministero della Salute, retto da Roberto Speranza, non avrebbe di sicuro fatto salti di gioia in caso di un nuovo esecutivo, in quanto Speranza rischiava di non essere confermato. Infatti, l’articolo dell’Agi del 27 marzo 2020 segnala: “Pollice verso anche da Leu per un esecutivo a guida di Draghi. Per quanto ci riguarda, il governo che c'è sta lavorando bene, ha sottolineato la senatrice di Leu e presidente del gruppo Misto, Loredana De Petris. In un momento come questo, l’esecutivo deve esser tenuto fermo. Abbiamo un governo che è pienamente operativo, che ha preso provvedimenti immediati, ha scandito Pietro Grasso, altro esponente di Leu, a Rai Radio ospite di “Un giorno da Pecora”. Siamo nella legittimità, in piena operatività e attualmente non vedo la necessità di cercare qualcosa di diverso”.
Ma l’articolo dell’Agi del 27 marzo 2020 entra anche in casa di “Italia Viva” dove “Matteo Renzi aveva già avanzato l’idea di un governo di unità nazionale, un governo istituzionale sulla scorta del tentativo fallito – molti anni fa – da Antonio Maccanico. Certo, l’emergenza coronavirus era ancora di là da venire, ma questo, unito alla vera e propria ammirazione di Renzi per Draghi – è il ragionamento di fonti parlamentari di Iv – lascia pensare che difficilmente l'ex premier si opporrebbe ad una soluzione del genere, nel caso questa si presentasse concretamente”. Come sappiamo, coerentemente con la posizione espressa a fine marzo del 2020, Matteo Renzi è stato il principale artefice della manovra politica che ha spalancato a Draghi le porte di Palazzo Chigi togliendo la fiducia al governo Conte II. Tuttavia, “Italia Viva” era la “quarta gamba” di un’alleanza di governo a cui erano stati assegnati solo due ministeri non di “prima fascia”, per cui è legittimo chiedersi cosa avrebbe fatto Renzi se, anziché controllare le Politiche per la famiglia, attraverso Elena Bonetti, e le Politiche agricole attraverso Teresa Bellanova, avesse gestito caselle fondamentali dell’esecutivo come gli Affari esteri o gli Affari interni. Da qui l’errore di Conte nel sottovalutare Renzi “ab initio”, quando si sganciò dal Pd fondando “Italia Viva” senza riconoscergli la giusta importanza “strategica”. Così come è stato un errore – raccontato da Renzi in Senato durante il dibattito sulla fiducia – aver proposto a Renzi un prestigioso incarico internazionale un po’ troppo a ridosso della crisi di Governo, per apparire come una disinteressata manifestazione di stima.
Ma l’articolo dell’Agi di fine marzo 2020, è interessante perché sonda anche la posizione delle forze di centodestra su di un eventuale esecutivo di unità nazionale a guida Mario Draghi. Infatti, l’articolo precisa che sull’ipotesi esecutivo Draghi l’opposizione non è compatta. Una parte della Lega, guidata dal vicesegretario Giancarlo Giorgetti è apertamente a favore. Il segretario leghista Matteo Salvini, in un’intervista rilasciata ieri l’altro, ha per la prima volta aperto all’ipotesi di un “gabinetto di guerra” che raccolga il meglio del Paese. Al quotidiano “La Stampa” che gli chiede una posizione sull’ipotesi di un governo Draghi, oggi (fine marzo 2020) risponde: “Ogni volta che parlo di governo qualcuno mi attacca. Non faccio nomi. Ma ho molte idee da mettere a disposizione. Anche di quelli che ci danno degli sciacalli. A me importa solo una cosa: avere la coscienza pulita con mio figlio””. Questa è la posizione di Matteo Salvini che risale a fine marzo del 2020 ed è sostanzialmente coerente con l’apertura ad un governo di larghe intese palesata nelle consultazioni ufficiali del 6 febbraio 2021. Interessante rilevare anche che, sempre dall’articolo Agi del 27 marzo 2020, risultava già contraria la presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni: “Per collaborare sull’emergenza Coronavirus, ribadisce, in un’intervista al Corriere della Sera, non abbiamo bisogno di poltrone. E forse ora non c’è neanche il tempo né la possibilità di metterci a fare una lista di ministri, di gabinetti, di deleghe e via discorrendo. Insomma, non c’è bisogno di un governo di unità nazionale”. Coerente fino in fondo la Giorgia nazionale, visto che ha già nuovamente recapitato un secco no ad un possibile governo Draghi anche nelle consultazioni ufficiali dello scorso 5 febbraio 2021, non chiudendo, del tutto, la porta rispetto a singoli provvedimenti di salvezza nazionale coerenti con la posizione del suo partito.
Infine, l’articolo dell’Agi del 27 marzo 2020 esamina anche la posizione di Forza Italia: “Silvio Berlusconi non manca di elogiare Draghi e ricordare, nelle sue interviste, di quando riuscì a convincere Angela Merkel, che voleva un tedesco, a metterlo a capo della Bce. In Forza Italia, però, al momento nessuno si sbilancia e regna scetticismo sull’ipotesi di un governo Draghi, anche sulla possibilità che l’ex governatore possa accettare”. Invece, l’apertura c’è stata perché, nelle ultime settimane, Forza Italia ha annunciato, ben prima che iniziassero le consultazioni, che sosterrà convintamente l’esecutivo di unità nazionale.
Anche se col senno del poi è facile parlare, andrebbero comunque fatti i complimenti ai nostri politici, davvero lungimiranti e tempestivi, soprattutto, quelli di maggioranza giallorossa. Hanno sostanzialmente perso un anno di tempo perché, nonostante l’indubbia buona volontà dimostrata e l’eccezionalità della pandemia, erano bastate poche settimane dall’inizio dell’emergenza sanitaria per capire che il Governo Conte era in difficoltà a gestire, soprattutto, la grave crisi economica che si profilava all’orizzonte. Infatti, superata la fase di emergenza sanitaria mediante il ricorso ad uno “state a casa” – che non richiede particolari competenze tecniche – la ripresa economica richiedeva l’intervento di un Governo tecnico di alto profilo. Ma c’è voluto quasi un anno perché le forze politiche di maggioranza, ovviamente, contro la loro volontà, permettessero la discesa in campo di un economista che il mondo ci invidia, semplicemente perché è il migliore e consentirà all’Italia importanti passi in avanti nella gestione dei conti pubblici e nel consolidamento delle relazioni internazionali, sia con l’Europa che con il resto del mondo. Come si è visto, la contrarietà ad un esecutivo guidato da Draghi proveniva, soprattutto, dal Pd, dal M5S e da LeU. Cioè, le forze al potere che non volevano schiodare. Coerentemente a tutto questo, la crisi di Governo è stata aperta proprio da Italia Viva, cioè, l’alleato di minor peso istituzionale in seno alla compagine di governo giallorosso che aveva poco da perdere.
Fortunatamente, la “Resistenza” al governo di unità nazionale è durata meno delle quattro giornate di Napoli del settembre del 1943, dal momento che il Pd, in 48 ore, è passato dal un improbabile “o Conte o morte” ad un più realistico “o Draghi o morte”. Stesso discorso per il M5S che, dal “non voteremo mai Draghi” proclamato dal reggente Vito Crimi, è passato, in 72 ore, al “siamo a disposizione di Mario Draghi” al termine dalle consultazioni del 6 febbraio 2021. La decisione del M5S si risolve in una sostanziale presa d’atto che sarebbe da folli per l’Italia non sfruttare questa occasione per le importanti riforme di cui il Paese ha bisogno, più facilmente realizzabili da un Governo guidato da una personalità stimata a livello internazionale. Ma anche Giuseppe Conte e Luigi Di Maio potrebbero entrare nel nuovo Governo, in quanto, avendo occupato le prestigiose poltrone di presidente del consiglio e ministro degli Esteri, potrebbero mantenere una poltrona, magari meno importante. Infatti, è ragionevole che nel nuovo governo entrino almeno i vertici dei partiti favorevoli alle larghe intese ed i più papabili sono i ministri uscenti proprio per l’esperienza maturata nell’esecutivo, anche per assicurare un po’ di continuità. Non si spiega diversamente l’inusuale “benvenuto nella famiglia del M5S a Giuseppe Conte” profferito da Luigi Di Maio subito dopo la memorabile conferenza stampa di Giuseppe Conte per strada, in piazza Colonna davanti a Palazzo Chigi. Infatti, alcuni media hanno ipotizzato che i partiti favorevoli saranno rappresentati con almeno due posti nel nuovo esecutivo, ma, al momento, si tratta solo di illazioni, anche perché sarebbe davvero sorprendente che un governo di alto profilo annoveri tra le proprie fila Luigi Di Maio.
In ogni caso, il conferimento dell’incarico a Mario Draghi da parte del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, coincide con il sostanziale fallimento della politica dell’improvvisazione a cui gli italiani, giustamente delusi dal comportamento dei partiti tradizionali dell’ultimo ventennio, si erano rivolti negli ultimi anni. E c’è da sperare che tutti imparino la lezione, tanto gli eletti quanto gli elettori, cioè, noi: il popolo. In proposito, il grande filosofo illuminista francese Voltaire non aveva alcuna fiducia nel popolo. Infatti, riteneva che il popolo francese non fosse ancora maturo per diventare una democrazia e la sua morte, avvenuta a Parigi 10 anni prima dello scoppio della Rivoluzione francese, gli impedì di vivere direttamente i momenti rivoluzionari più tragici, culminati con l’instaurazione del regime del terrore in Francia, che confermò la fondatezza dei suoi timori. Dotato di una grandissima ironia, chissà quante risate si starà facendo, da lassù, al pensiero che un padre nobile della Rivoluzione francese, come Voltaire è stato etichettato, non avesse in realtà mai creduto fino in fondo nella maturità del suo popolo.
Aggiornato il 10 febbraio 2021 alle ore 11:08