
Al netto della prima scelta, che sarebbe stata quella del voto, il treno di Mario Draghi sta per partire. Nonostante le ridicole smorfie grilline e le sceneggiate della sinistra nei confronti Matteo Salvini e Forza Italia, partirà per direttissima. Del resto, in un Paese dove si lascia che scorra in silenzio uno scandalo, di una gravità inaudita, ovvero il “caso Luca Palamara” – che ha scoperchiato vizi, illeciti, fumus persecutionis, inciuci e veri tradimenti dei principi costituzionali sulla giustizia – pensare di votare sarebbe troppo. Non solo il “caso Palamara” ha tolto il coperchio al vaso di Pandora, ma ha lasciato che a fuggire fosse pure la speranza. Perché fino ad ora tutto è andato avanti come se niente fosse, mentre al contrario avrebbe dovuto almeno spingere a restituire al Paese, al centrodestra e più che mai a Silvio Berlusconi ciò che gli è stato illecitamente tolto. Insomma, contro il Cavaliere negli anni si è schierata non solo la sinistra politica, erede di quel “criminale” di Palmiro Togliatti – che ancora oggi usurpa l’aggettivo liberale, quando di liberale non possiede nemmeno l’ombra – ma anche l’arma giudiziaria usata ad hoc, alla faccia delle garanzie costituzionali. Roba che se poco-poco da un caso simile fosse uscito che la destra – con le istituzioni, magistrati di riferimento, scambi di favori, giudizi costruiti a tavolino, nomine della giustizia manipolate – avesse colpito la sinistra per anni, ci saremmo ritrovati per le strade la Gladio rossa, i carri armati con la stella rossa, i fucilieri con la bandiera rossa, le retate staliniane. Il “caso Palamara” è la testimonianza plastica di quanto questo Paese sia stato rovinato, affondato, depredato, dalla cultura di sinistra, dai cattocomunisti, dagli eredi di Togliatti, dalla fusione a freddo con la parte della Democrazia Cristiana più ipocrita politicamente. Insomma, da una conventicola di potere che si è presa tutto nei gangli vitali del Paese.
Per farla breve, passati Luigi Einaudi e il miracolo economico, comunisti, cattocomunisti, Democrazia Cristiana, hanno messo in piedi un apparato di potere assoluto spartito in due metà: Governo e Parlamento alla Dc che era maggioranza, giustizia alla sinistra “falce e martello”. Dopodiché, su questo inciucio che era stato già sperimentato bene nella Costituzione fra Giuseppe Dossetti e Togliatti, passato Einaudi, oltre al governo e alla giustizia, fra Dc e Pci si sono spartiti tutto: scuola, informazione, Enti di Stato, sindacato, aziende partecipate enti locali. Dei tre poteri fondamentali dello Stato di diritto, tra Dc e Pci esecutivo e giudiziario un pezzo per uno, mentre quello parlamentare è stato “concordato” dietro le quinte. Dulcis in fundo, sul quarto potere e cioè l’informazione in senso ampio – perché l’informazione assieme ai media è anche indirizzo, scuola di pensiero, indottrinamento, cultura di Stato e di gestione, suggestione e orientamento – i due colossi, Balena bianca e Bella ciao, hanno diviso con la formula dei terzi. Un terzo per uno non fa male a nessuno. Guardate, seppure in sintesi estrema, è così che si arriva al sistema “Palamara”, allo statalismo in tutto, all’assistenzialismo, al manuale di Massimiliano Cencelli, alla proliferazione degli Enti e della spesa inutile, allo sfascio dei conti. È così che si arriva a costruire un Paese da socialismo reale dove di liberale, plurale, alternativo, non c’è niente. Perché la cultura da soviet vince su quella della libertà e dello sviluppo. Ed è secondo questo schema che si arriva ai giorni nostri, che si passa dai Governi Berlusconi affossati surrettiziamente in ogni modo, per impedire la rivoluzione liberale, per impedire la liberazione dal cattocomunismo e l’inizio di una cultura del fare, del produrre reddito anziché consumarlo, dello sviluppo al posto dell’assistenza.
Parliamoci chiaro: per quello che è stato negato al centrodestra, al Cavaliere dovrebbe spettare la prossima presidenza della Repubblica honoris causa, anche se sappiamo che non sarà così. Perché al Colle, dopo Sergio Mattarella, ci sarà Mario Draghi e va bene uguale, poiché – comunque sia – sarà una garanzia. Draghi è una garanzia, perché nonostante il Partito Democratico cerchi di mettergli il bollino di esclusiva, nonostante gli spettacoli comici e ridicoli di Beppe Grillo, i penosi diktat della sinistra all’ex presidente della Banca centrale europea, Draghi tutto può essere tranne che favorevole al Leviatano, all’assistenza, alla spesa clientelare, alla politica illiberale di scambio elettorale, ai Dpcm giallorossi. E a tutto ciò che ha fatto il Governo uscente. Se è vero che Draghi sia allievo di Federico Caffè, Franco Modigliani, di una cultura keynesiana, è altrettanto vero che John Maynard Keynes a tutto pensasse fuorché alla politica cattocomunista e giallorossa. Insomma il deficit spending, la moneta, l’occupazione e il fisco – per Keynes – erano l’opposto di ciò che è stato fatto per decenni. E, più che mai, da i Governi di Conte. L’appropriazione di Keynes da parte cattocomunista è stata l’ennesima ipocrisia: quando mai Keynes avrebbe pensato all’assistenzialismo, al debito cattivo, alla spesa improduttiva. Figuriamoci, il suo moltiplicatore spiegava esattamente il contrario: il deficit spending di Keynes non era certo quota 100, reddito, bonus, assunzione di nullafacenti di Stato e così via. Così come per Keynes era chiaro che, accanto alla moneta, nella politica economica ci fosse il fisco. Dunque, quando non bastava l’una, doveva entrare in gioco l’altro. Ecco perché Draghi userà molto l’arma fiscale per stimolare, supportare e spingere lavoro, produzione e occupazione.
Draghi sa bene che il bazooka monetario dell’Unione europea, seppure enorme, ha dato quel poteva. E che oggi, oltre alla pioggia di denaro, serva altro per stimolare la crescita e la ripresa. Questo altro sarà il fisco sul lavoro, famiglie, imprese: ecco perché parla di scuola, sanità, cantieri, spesa produttiva e fisco per ripartire subito. Altro che reddito, spesa improduttiva, bonus, monopattini, banchi a rotelle e patrimoniali. Altro che 50 milioni di cartelle per soffocare gli italiani, Draghi sa bene che servirà un reset fiscale per ripartire sul pulito, serviranno investimenti produttivi e non assunzioni scalda poltrone. Sa bene che la ricchezza, per essere distribuita, va prodotta e per produrla bisogna stimolare, piuttosto che tartassare come vuole la sinistra ipocrita e incosciente, con i grillini a ruota. Ecco perché ci fidiamo di Draghi, perché c’è il manico e perché siamo certi che – dopo decenni di cattocomunismo economico, assistenziale e improduttivo, che ci ha ridotti allo sfascio del debito, dei conti, dello sviluppo e del futuro – con Super Mario l’orizzonte sarà molto molto meno scuro. Ci rimetterà in carreggiata e andremo a votare con lui presidente della Repubblica. A quel punto basterà ricordare la differenza fra liberali e ipocriti usurpatori di aggettivi. Evviva la democrazia, evviva l’Italia. Abbasso il fascismo e il comunismo.
Aggiornato il 10 febbraio 2021 alle ore 10:42