Il nuovo “whatever it takes”

Siamo sinceri. Alle sinistre piace John Maynard Keynes per la stessa ragione per cui i suoi epigoni non piacciono ai liberali. E la ragione è assai semplice: la centralità dello Stato nell’economia che viene attribuita a Keynes e che, di conseguenza, è indigeribile per i sostenitori del libero mercato. In realtà, Keynes non sosteneva affatto l’idea che lo Stato si dovesse intromettere in ogni attività economica normale, riservando al medesimo il ruolo di regolatore di crisi particolarmente gravi, nelle quali le cadute degli investimenti privati, della domanda e dunque del prodotto interno, fossero tali da mettere in pericolo la basi stesse dell’economia e della società. Inoltre, Keynes era pienamente d’accordo con Friedrich von Hayek, campione del liberalismo economico, sul pericolo che l’intervento pubblico nell’economia avrebbe potuto rappresentare per un sistema liberal-democratico, raccomandando che gli uomini politici e i tecnici incaricati di attuare politiche economiche pubbliche fossero guidati, prudenzialmente, dalla stessa diffidenza di von Hayek. In definitiva, Keynes non era certo un socialista ma, semmai, un teorico dell’economia che cercava, in certo senso, di completare la teoria economica liberale classica colmandone le lacune riguardo alla condotta da tenere nei riguardi di crisi più o meno cicliche.

Al contrario, per la sinistra mondiale, la prospettiva economica aperta da Keynes è stata assunta come duplice segnale, l’uno contro il mercato e l’altro a favore dello Stato. Il risultato, specialmente nelle società nelle quali, come l’Italia, la cultura politica di fondo non è certo mai stata diffusamente liberale, è che l’unica politica economica ritenuta degna di essere perseguita è quella che dovrebbe vedere lo Stato come dispensatore di benessere e felicità, contro la bieca ingordigia di chi esercita la libera iniziativa economica. Così, nella situazione attuale, l’intervento dell’Europa – intesa come uno Stato – attraverso le varie politiche di quantitative easing e, presto, di Recovery, sono percepite come meravigliosa e gratuita ancora di salvezza. E come conferma dell’indole amorevole di ciò che è pubblico, rispetto alla crudeltà di ciò che è privato.

Sia chiaro: anche un liberale può concordare con le politiche espansive che si rendono necessarie in momenti di grave crisi, ma temo che per i più il riferimento alla gravità sia del tutto accessorio. E si pensi che l’intervento statale debba considerarsi come soluzione da preferirsi permanentemente. A nulla serve ricordare che i prestiti sono debito e che, se non vi fosse il mercato degli investitori finanziari internazionali, il Recovery fund non avrebbe un solo euro da distribuire. Così come non serve ricordare che gli interventi keynesiani, intesi come pura provvidenza statale, non possono essere invocati ogni qual volta un’azienda si trova sull’orlo del fallimento o che, se attuata con troppa disinvoltura, una politica monetaria accomodante finisce per andare fuori controllo e generare inflazione “non buona”.

Ciò che prevale è, purtroppo, la persuasione che le cosiddette “storture” del mercato possono essere risolte solo dalla saggezza dello Stato, indenne dai miserevoli egoismi dei privati e privo di storture. Dunque, ben venga il deficit spending, salvo poi piangere per le tasse eccessive, per le inefficienze e per gli scandali pubblici. E ben vengano i debiti che nessuno vede come suoi, proprio perché detenuti da un’entità astratta, lontana e generosa per definizione. Qualcuno ha detto che Mario Draghi, da keynesiano, si sia in qualche misura aperto all’economia classica, cosa che non stupirebbe dato che quest’ultima e la macroeconomia di Keynes condividono comunque, nelle intenzioni, l’obiettivo della salvaguardia del sistema liberal-democratico. Sta però, di fatto, che Draghi avrà un compito molto arduo nel convincere i partiti, e gli italiani, che il debito “buono” non è una specie di regalo, ma una costosa risorsa da impiegare con rigore e lungimiranza, wathever it takes.

Aggiornato il 09 febbraio 2021 alle ore 09:46