Il Conte in maschera: dolcetto o scherzetto?

L’arte dei bimbi. Soprattutto, di quelli capricciosi. Bulli per necessità, con un bisogno irrefrenabile di visibilità. Stiamo forse parlando dell’asilo Mariuccia? Qualcosa del genere. Mai come oggi, la politica italiana si presenta alla stregua di una struttura favolistica che rimanda alla composizione dei cerchi magici, in cui ciascuno di questi ultimi e cerca di ingrandirsi a spese del prossimo vicino. Quindi: cooperazione “zero”! Matteo Renzi contro tutti e, a rotazione, tutti contro Renzi. Ma anche, allo stesso tempo, contro il suo nemico dichiarato, il noto solipsista Giuseppe Conte, attuale presidente del Consiglio italiano. Il quale, mai come oggi, indossa perennemente la maschera che gli consente di velare l’espressione autentica della sua grande passione per la sopravvivenza a ogni costo. Del resto, avendo Conte una funzione costituzionale di primus inter pares (che nulla ha a che vedere con un premier all’inglese, che manda a casa a suo piacere i ministri recalcitranti e litigiosi) si trova nella condizione di gestire un Governo atipico che è la somma di un gattile e di un canile. Gente che abbaia o graffia, soprattutto a chi osa socchiudere la gabbia per mandarli ramengo. Poi, però, basta lasciare loro la ciotola vuota per qualche giorno e tutto si acquieta per debito di pancia. Qui, come dire, si tratta solo di stabilire quali siano gli ingredienti di una frittata che mette assieme l’incapacità progettuale e la politica un po’ stracciona delle mance a tutti i possibili clientes, per tenere buoni le migliaia di capibanda del gattile e del canile nazionali.

Due le formulette magiche sulle quali Conte danza sull’orlo del precipizio (che, purtroppo, è anche quello dell’Italia intera!): la cabina di regia per il Recovery fund e il (mancato) controllo della pandemia. Sul primo aspetto si può tranquillamente celebrare la crisi di Governo; sul secondo, invece, si cade tutti assieme, maggioranza e opposizione. Un Conte che gioca per se stesso è quanto di più deleterio potesse capitare in questa drammatica emergenza in cui, al contrario, servirebbe un leader determinato e con un forte consenso elettorale alle sue spalle, per verticalizzare tutte le decisioni corporate che non possono, cioè, essere frammentate in innumerevoli feudi locali e regionali! Tali decisioni, in particolare, riguardano i grandi progetti infrastrutturali con estensione interregionale, come trasporti, autostrade telematiche, reset della sanità territoriale e rilancio in grande stile della ricerca e dell’istruzione superiore, da realizzare, ad esempio, attraverso l’istituzione di Grandes Écoles e di centri nazionali di ricerca applicata nelle biotecnologie e nella genetica di base. A tal fine, i fondi europei del Next generation Eu andrebbero collegialmente utilizzati per la creazione di grandi consorzi europei di ricerca applicata, soprattutto nel campo del digitale avanzato e delle applicazioni di smart working in ambito pubblico e privato.

In questo sciagurato periodo di pandemia, è emersa, tra le tante cose negative, una verità scomodissima di fondo e che nessuno, a quanto pare, vuole sentirsi dire: l’attuale frittata ha un nome e cognome, ovvero, il Titolo V riformato della Costituzione che, con l’articolo 117, ha affidato allo Stato la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, salvo poi a finire nell’impasto demenziale di 21 sistemi regionali di gestione sanitaria, che amministrano la loro quota-parte del Fondo sanitario nazionale, erogato dallo Stato per garantire i Livelli essenziali di assistenza (Lea). Il che implica tutta una serie di servizi aggiuntivi e di scelte di fondo (come alcune Regioni hanno fatto, privilegiando l'assistenza ospedaliera pubblico-privata, a discapito della sanità territoriale diffusa), resi previo pagamento di un ticket sanitario. Ma, come si sa, chi gestisce la cassa incassa prebende per sé e per gli amici degli amici. Volutamente, dal 2001 non si è messo un freno drastico alla spesa allegra in materia di assistenza sanitaria (che vale quasi l’80 per cento della dotazione dei singoli bilanci regionali!), imponendo regole ferree sulla relativa gestione finanziaria, in modo da ridurre la forbice tra Regioni virtuose e quelle che dissipano risorse senza dare in cambio al cittadino servizi decenti e sufficienti, dando luogo al così detto fenomeno del turismo sanitario dal Sud verso il Nord Italia.

Se non si può scucire l’attuale vestito di Arlecchino, riducendo a poche unità i mille rivoli in cui si dissipa gran parte della spesa sanitaria decentrata, rimane pur sempre possibile la verticalizzazione delle scelte di riorganizzazione e di omogeneizzazione territoriale dei servizi e delle prestazioni sanitarie essenziali. Come farlo? Semplice: dettando da un lato gli standard di riferimento alla sanità decentrata (con il corredo di sanzioni e di avocazione della competenza a provvedere, con la nomina di commissari straordinari) e, dall’altro, investendo i fondi speciali del Mes per l’ampliamento delle facoltà di Medicina nelle città metropolitane, in modo da offrire ben più ampi spazi e laboratori alle specializzazioni, operando una severa selezione del personale medico con criteri omogenei e validi erga omnes a livello nazionale. Conte dura o non dura? E quale importanza ha la cosa, in fondo? È l’Italia a dover essere salvata, e non il presidente del Consiglio di turno!

Aggiornato il 23 dicembre 2020 alle ore 11:09