
Chi è causa del suo mal…chi sta attentando ai sacri valori delle democrazie liberali? Risposta: le loro stesse leadership globalizzate. Il tarlo, insomma, rode dall’interno la quercia del multilateralismo, globalismo, multiculturalismo e relativismo culturale che affonda le sue radici nella neo ideologia dominante del politically correct, del diritto alla migrazione indiscriminata e, quindi, alla cancellazione delle identità nazionali e dei loro valori portanti linguistici e religiosi, grazie alla famigerata sostituzione etnica di interi comparti sociali della popolazione autoctona, soggetta ad auto-estinzione per la sua scelta suicida di decrescita demografica progressiva. A dare un serio colpo alla credibilità della democrazia rappresentativa ha ultimamente contribuito anche Donald Trump, con la sua denuncia della (ri)elezione rubata a causa degli (indimostrati) brogli che hanno portato alla vittoria di Joe Biden. Narrazione che, tra l’altro, trova il sostegno incondizionato di ben quattro su cinque elettori repubblicani. Sicché, paradossalmente, lo scrutinio dei voti validi non è più uno strumento terzo ma…partigiano!
Se la caduta dell’Impero sovietico nel 1991 aveva portato alla tumultuosa fioritura dei sistemi liberaldemocratici all’interno degli ex Paesi della Cortina di Ferro, come in altre nazioni del Sud America, dell’Asia e dell’Africa, questa tendenza è andata rallentando e regredendo, a seguito della marginalizzazione e della progressiva perdita di rilevanza in Occidente di centinaia di milioni di colletti blu (operai metalmeccanici delle industrie ad alta densità di manodopera), che hanno perduto status e lavoro a causa delle delocalizzazioni in Asia delle relative produzioni e della rapida finanziarizzazione dell’economia, che ha smesso di prendersi cura della persona e delle sue necessità, scegliendo il profitto fine a se stesso. Da qui l’allargamento mostruoso della forbice che separa le grandi ricchezze dal totale del reddito della popolazione mondiale. La responsabilità di questo disagio epocale è stata giustamente attribuita alle élite, che hanno governato i fenomeni successivi alla definitiva vittoria del capitalismo sull’utopia egalitaria del comunismo marxista-leninista (la famosa e famigerata Fine della Storia di Francis Fukuyama). Ma, l’eccesso di soggettività e di individualità non ha fatto altro che scatenare i bassi istinti dell’homo homini lupus, per cui le stesse formazioni della sinistra europea e americana hanno perduto strada facendo Il Soggetto del loro stare ideologicamente assieme e nel mondo, avendo scelto l'orgia globalista, buonista e pro-immigrazionista del mainstream. Così facendo, quelle stesse élite illuminate hanno completamente perduto di vista i bisogni profondi delle loro comunità popolari di riferimento: persone che vivono nelle periferie degradate delle megalopoli; lavoratori non garantiti che vedono sempre più diminuire i loro già bassi redditi da impieghi precari e temporanei, a causa della concorrenza dei nuovi arrivati, molto spesso immigrati irregolari. Il mondo occidentale diviene sempre più una polveriera, pronto a esplodere nelle sue insanabili contraddizioni e a dare voce e spazio ai Torquemada populisti di ogni genere e risma, infarciti di ignoranza e di becera aggressività che, richiamandosi alla pancia del Paese, sono in grado di coagulare un'immensa solidarietà di massa, fondata sul rifiuto dell'assimilazione neocapitalistica e sulla riscoperta delle radici identitarie profonde.
La disgrazia è che tutto ciò non costituisce un’autentica alternativa politica, fondata su progetti generazionali, sulla responsabilità del fare e delle scelte di fondo da proporre che sanno di ricette amare per poter uscire dall'impasse delle nuove povertà di massa. Mettere ossessivamente l’accento sulle questioni di identità presenta il grande svantaggio di perdere di vista il punto di mediazione per risolvere i conflitti sociali emergenti. “Nella discussione su chi ha diritto a che cosa” (The Economist) “si possono contemperare le diverse esigenze e trovare soluzioni soddisfacenti. Ma se l’argomento riguarda la questione identitaria del “Chi siamo Noi” dal punto di vista di razza, religione e anti-elitarismo, qualsiasi compromesso avrà il senso del tradimento. Quando in gioco è lo stile di vita, le altre questioni diventano irrilevanti, se non pericolose. Ed è così che le elezioni che una volta venivano snobbate, oggi vedano un’affluenza eccezionale degli aventi diritto al voto”. Cosicché, in alcuni Paesi i leader che hanno ottenuto una maggioranza di governo approfittano di questa lealtà tribale, per alterare a loro favore la balance of power, governando come se il potere democratico fosse assoluto (vedi Recep Tayyip Erdoğan) e condannando alla stregua di nemici del popolo tutti coloro vi si oppongono. Così la politica democratica nata per risolvere conflitti in realtà oggi li crea, visto che le grandi tribù (repubblicana e democratica in America) sono schierate all'interno di due opposti universi informativi!
Un chiaro indice dell’illiberalismo montante è dato dalla posizione assunta qui in Europa da Ungheria e Polonia sul tema del veto al bilancio europeo, a seguito del rifiuto di adeguarsi alle rule of law europea, pur di conservare le loro radici e tradizioni identitarie che, tuttavia, favoriscono all’atto pratico leggi liberticide con la sottomissione al potere esecutivo della magistratura e la limitazione della libertà di stampa. Lo stesso accade in India, la democrazia più grande del mondo, in cui il premier Narendra Modi ha fatto adottare dal Parlamento norme illiberali con cui si limitano i poteri autonomi di magistratura, forze polizia e commissione elettorale (per l’esclusione dei candidati), assoggettandoli all’autorità dell’Esecutivo. Per non parlare del Venezuela, che solo venti anni fa sceglieva di uscire dalla dittatura con elezioni libere e a suffragio universale, mentre oggi ha eliminato qualsiasi opposizione interna dal suo panorama politico, dominato dalla dittatura del partito unico di Hugo Chavez- Nicolás Maduro. Ancora peggio sta andando nei Paesi in via di sviluppo, divorati dalla corruzione delle loro classi dirigenti, interessate esclusivamente al proprio arricchimento e non al benessere dei loro popoli. Poi ci chiediamo perché il populismo avanza impetuoso. Un capitolo assolutamente a parte merita la Cina, con il suo nazionalcapitalismo comunista. Se ne riparlerà in (molte) altre occasioni.
Aggiornato il 10 dicembre 2020 alle ore 09:58