Mancano pochi mesi mesi ma i giochi per il Campidoglio sembrano essere già a buon punto. Tre, al momento, i papabili contendenti: l’uscente sindaca pentastellata Virginia Raggi, la prima a lanciare il guanto di sfida (soprattutto all’interno dei grillini); l’outsider di lusso del centro (offerto alla sinistra) Carlo Calenda e Guido Bertolaso già “diamante operativo” con il Governo di Silvio Berlusconi. Nomi forti, indubbiamente! Ma tutti con dei punti deboli.
L’attuale reggente anche qualora dovesse superare il banco di prova del “patto Partito Democratico-Cinque Stelle” (invocato dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio proprio per blindare la riconferma della Raggi) e divenire, così la candidata dell’intera area governativa, dovrebbe affrontare un ostacolo ben più insidioso: quel “niet” al doppio mandato (Raggi, infatti, è esponente dei Cinque Stelle nell’assemblea capitolina da due legislature) confermato solennemente (per insistenza di quell’Alessandro Di Battista per niente indifferente al Campidoglio) dal recente congresso grillino. Un ostacolo ideologico che, come insegna l’etica populista, rischia di rappresentare per la sindaca un macigno sul cammino verso la nomination ed ancor più un imperdonabile vulnus in una eventuale campagna elettorale.
Guido Bertolaso, uscito indenne dalle sabbie mobili della giustizia, non è uomo politico. La sua indole tecnico-operativa (utilissima per una città da rimettere letteralmente in piedi) lo rende molto distante e diffidente dai mostrini di una politica che sembra contraccambiargli la freddezza, soprattutto a destra. Ciò detto il suo legame e la sua riconoscenza verso Silvio Berlusconi lo mantengono ancora in corsa, nonostante la netta contrarietà di Fratelli d’Italia (importante serbatoio di voti nella Capitale) e il gelo di una Lega che a Roma – sia detto con rispetto – ha delle difficoltà.
Quindi Carlo Calenda; l’outsider pariolino che, in altre epoche politiche avrebbe potuto rappresentare un ideale candidato del centrodestra con la sua eloquenza confindustriale, il carattere (comunque) anti-governativo e le conoscenze giuste presso i palazzi d’Oltretevere. Insomma, un’opportunità perduta per il centrodestra ma anche, e per contro, un incubo per i sodali al Governo. Infatti, una corsa in solitaria dell’ex ministro dello Sviluppo economico, seppur difficilmente vincente, potrebbe drenare voti preziosi al centrosinistra ed agevolare l'affermazione del centrodestra, mentre la presa in carico della sua candidatura da parte del Pd aprirebbe un contenzioso in maggioranza da destabilizzare la navigazione del Conte-bis.
Ma anche nel caso in cui la candidatura di Carlo Calenda uscisse vincente dall’accordo Pd-Cinque Stelle, una parte del Movimento (quella movimentista di Alessandro Di Battista assai potente a Roma) c’è da scommettere volterebbe le spalle a decisioni ritenute di palazzo contribuendo, in un sol colpo, ad una possibile sconfitta clamorosa del Pd ed al definitivo tramonto del patto di maggioranza Pd-M5S (da sempre inviso a Di Battista) con la conseguenza ineludibile dell’apertura di una crisi di Governo alle soglie del semestre bianco (ovvero senza possibilità di adire ad elezioni). Una “bomba” – quella della candidatura di Calenda – che oltre a riportare il centrodestra alla guida della Capitale, potrebbe riaprire i giochi per un Governo istituzionale e, quindi, per l’elezione del Capo dello Stato.
Aggiornato il 05 dicembre 2020 alle ore 10:42