Unione europea e Stato di diritto II

Lo stesso giorno in cui in rete appariva il mio articolo sullo stesso tema e con uguale titolo, la Commissione europea pubblicava la Relazione sullo Stato di diritto 2020, che conferma da un lato e chiarisce dallaltro, alcune e opinioni (anche) da me evidenziate.

In primo luogo: tra i tanti caratteri dello Stato di diritto, che ricordavo nellarticolo precedente, la Commissione, per formulare i propri giudizi sulla “conformità” al Rechtsstaat dei 27 Stati dellUnione ne prende in esame quattro: il sistema giudiziario nazionale, il contrasto alla corruzione, il pluralismo e la libertà dei mezzi di comunicazione, ed altre questioni - di carattere istituzionale - di bilanciamento di poteri. Unattenzione a parte poi è dedicata alla pandemia e alle situazioni e normative emergenziali indotte (ad esempio i Dpcm del Governo italiano). La presidente Ursula von der Leyen ha detto che “lo Stato di diritto e i nostri valori condivisi sono alla base delle nostre società. Fanno parte della nostra identità comune di europei. Lo Stato di diritto difende i cittadini dalla legge del più forte. Pur avendo standard molto elevati in materia di Stato di diritto nellUe, abbiamo anche diversi problemi da affrontare” (sul che si può concordare).

La vicepresidente Věra Jourovà ha aggiunto: La nuova relazione esamina per la prima volta tutti gli Stati membri allo stesso modo per individuare le tendenze in materia di Stato di diritto e contribuire a prevenire linsorgere di gravi problemi”.  Il rapporto, dopo una premessa generale, si articola su 27 capitoli, relativi a ciascuno degli Stati membri. La valutazione si basa (anche) sulle decisioni delle Corti europee e sulle raccomandazioni del Consiglio dEuropa.

La prima conferma di quanto emergeva da precedenti documenti dellUnione è che i quattro pilastri di valutazione della Commissione sono pochi. Il concetto di “Stato di diritto” comprende altri pilastri, anche se, a leggere i documenti, in qualche misura la stessa relazione, in alcuni passi, deborda dal limite dei quattro esaminati. Come, tra i quattro considerati, ve ne sono un paio non proprio tipici del Rechtsstaat.

Così vi sono pilastri, in particolare quello sulla lotta alla corruzione che non costituiscono un fundamentum distinctionis” dello Stato di diritto, non solo perché non lo si trova negli scritti di quei pensatori che hanno formulato la/e concezione/i dello “Stato di diritto”, ma perché molti Stati, tranquillamente non riconducibili allo Stato di diritto, perseguono la corruzione, talvolta in misura più energica degli Stati di diritto. Lo Stato di diritto non trasforma i governanti in angeli, come quello non di diritto in demoni; tale giudizio lo si ricava – nella premessa – già dal Federalista.

Un capitolo della relazione è dedicato allItalia. Sul primo pilastro (cioè sul sistema giudiziario) la Commissione scrive: “È in vigore un solido quadro legislativo a salvaguardia dellindipendenza della magistratura, sia per i giudici che per i pubblici ministeri. Il potere giudiziario è pienamente separato dagli altri poteri costituzionali”. Tuttavia i cittadini non la pensano come la Commissione, ovvero il livello di indipendenza della magistratura percepito in Italia è basso. È considerato buono o molto buono soltanto dal 31 per cento dei cittadini e dal 36 per cento delle imprese, percentuali diminuite tra il 2019 e il 2020. Le ragioni principali per cui i cittadini e le imprese avvertono una mancanza di indipendenza sono le interferenze o le pressioni esercitate dal Governo, dai politici e dai rappresentanti di interessi economici o di altri interessi...”.

E perché c’è questo divario tra il lusinghiero giudizio della Commissione e quello – assai meno confortante – degli italiani? Qua la Commissione trascura laspetto principale: non è che i cittadini sono preoccupati solo delle “interferenze e pressioni” di Governo e prestiti, ma sono parimenti – e forse di più – preoccupati per i processi, per lo più risoltisi in bolle di sapone – contro leader e politici del centrodestra (e non solo), asseritamente dovuti alla contiguità di certi settori – maggioritari – della magistratura al centrosinistra. Oltretutto tali processi sono stati caratterizzati da una scarsa rilevanza pubblica delle questioni (come le notti di Arcore a casa di Silvio Berlusconi), fino al “sequestro di persona” a carico del ministro degli Interni consistito nel fermo in porto (per quattro giorni) di una nave di migranti. In tal caso, peraltro, pare che i sondaggi diano una significativa maggioranza di consensi popolari allazione del ministro imputato.

Inoltre, questa “percezione di bassa indipendenza” è stata rafforzata dallo scandalo delle intercettazioni sul cellulare di Luca Palamara, comprovanti sia la contiguità tra magistrati e politici del centrosinistra, sia la lottizzazione” degli incarichi dirigenziali in procure e tribunali.

Sul perché avviene ciò, malgrado le rilevanti garanzie dindipendenza della magistratura, tra le più tutelate della Ue, dipende anche dal fatto che, se il potere politico non ha il potere di perseguire i magistrati, ha tuttavia quello di premiarli. A parte gli incarichi amministrativi (numerosi) e in qualche caso, anche giudiziari, spesso magistrati in servizio sono presentati alle elezioni nazionali ed amministrative. Se non eletti (raro) o non rieletti (più facile) ritornano a fare i giudici.

Questa permeabilità tra poteri e carriere non pare conforme ai principi dello Stato di diritto. Montesquieu già sosteneva che la distinzione dei poteri esige dessere non solo oggettiva, ma anche soggettiva. E conseguentemente negava che le Repubbliche italiane, dove spesso i poteri erano distinti, ma erano composti e designati dallo stesso “corpo” di magistrati, la libertà fosse garantita; anzi lo era, a suo giudizio, meno che nelle monarchie assolute. Anche se lelettorato passivo è un diritto, per evitare ingressi ed uscite dai poteri a “porte girevoli”, occorrerebbe un regime dincompatibilità più restrittivo di quello vigente.

Ciò che è omesso, tuttavia, in tema di giustizia, è più interessante di quello che la Commissione prende in esame. Se ricorda, come problema, la lentezza della giustizia italiana, omette di ricordare che anche in forza di disposizioni emanate nellultimo trentennio, in Italia eseguire una sentenza contro la Pubblica amministrazione è sempre più difficile, al punto da richiedere spesso 4-5 anni; una durata superiore a quella – media - del processo di cognizione definito con la decisione giudiziaria da eseguire. Il tutto è stato oggetto dellattenzione ripetuta della Corte Edu (Corte europea dei diritti dell’uomo), con arresti non considerati dalla Commissione.

Non si valuta, poi, quel che risulta dalle stesse contestazioni fatte (qualche anno or sono) dalla Commissione Ue allItalia sulla  disciplina della legge sulla responsabilità dei magistrati (e di riflesso, dello Stato). Nella sentenza della Corte di Giustizia Ue del 24/11/2011 si accoglieva il ricorso della Commissione condannando lItalia per la relativa legislazione. Questo perché (citiamo da unaltra sentenza della Corte di giustizia) “Considerazioni (...) connesse alla necessità di garantire ai singoli una protezione giurisdizionale effettiva dei diritti che il diritto comunitario conferisce loro, ostano (...) a che la responsabilità dello Stato non possa sorgere per il solo motivo che una violazione del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado risulti dallinterpretazione delle norme di diritto effettuata da tale organo giurisdizionale”. Qui era valutata dal giudice europeo lidoneità della normativa nazionale a garantire i diritti fondamentali dei cittadini. Invece è evidente che tale preoccupazione nella relazione della Commissione passa in secondo piano rispetto alla tutela (peraltro neppure esaustiva) delle garanzie istituzionali del potere giudiziario (a quelli – strumentalmente – connessa).

Concludendo su tale pilastro: la valutazione è parziale e peraltro non tiene conto della giurisprudenza delle Corti europee (non la contraddice, ma la dimentica). Più in generale omette di considerare che, perché uno Stato (anche non di diritto), ma a maggior ragione se tale, esista e garantisca una protezione effettiva, è necessario che il diritto sia applicato efficacemente. Il che in Italia, relativamente allAmministrazione pubblica soprattutto, avviene spesso male e sempre in ritardo. Nel paragrafo dedicato nella relazione Ue allefficienza del sistema giuridico manca così lesame dei dati più sconfortanti.

La parte sulla lotta alla corruzione si apre con dati sulla percezione della stessa dai quali si evince che i cittadini italiani ritengono, con percentuali assai superiori alla media Ue, che la corruzione sia molto diffusa. Prosegue poi con lesame delle iniziative anti-corruzione, valutate positivamente. Il dato, comunque, andrebbe “associato” con quello dellefficienza della giustizia, che incide sullefficacia di queste misure.  Resta poi da capire quanto lattenzione dedicati alla “grande” corruzione (con relative autorità, procure, uffici di polizia specializzati) possa incidere sulla “corruzione quotidiana” delle licenze, concessioni, permessi, autorizzazioni: che poi è quella che probabilmente influenza di più la percezione che, della corruzione, hanno gli italiani. Per questo, sarebbe utile più che unautorità apposita, un miglioramento della tutela giudiziaria, in particolare amministrativa, laggravio delle pene (o listituzione) per comportamenti elusivi della Pubblica amministrazione; nonché una normativa generale dapplicazione dellart. 28 della Costituzione sulla responsabilità dei funzionari.

Resta comunque da capire come la lotta anti-corruzione sia un pilastro dello Stato di diritto (un proprium) e non pilastro di ogni Stato. Inoltre realisticamente occorre tener conto della considerazione di Max Weber relativa alla corruzione politica, che chi fa politica, vive in genere (anche) di politica.

Il pilastro del pluralismo dei media offre un quadro sostanzialmente positivo; a giudizio della Commissione; tuttavia “lindipendenza politica dei media italiani continua a destare preoccupazione, anche a causa delle “relazioni indirette” tra gli interessi degli editori e il Governo (nazionale e non locale). Sul che si può concordare.

Il quarto pilastro su cui si è appuntata lattenzione della Commissione sono le “questioni istituzionali relative al bilanciamento dei poteri”. Sostanzialmente la Commissione approva lordinamento italiano. Tuttavia registra le preoccupazioni di organizzazioni internazionali in relazione alla campagna denigratoria contro le Ong attive nel settore della migrazione e dellasilo. Anche in tal caso non è chiara la relazione tra denigrazione delle Ong e Stato di diritto.

In conclusione la concezione dello Stato di diritto della Commissione Ue è una delle tante letture che se ne possono avere. Quel che più colpisce nella relazione è lassenza dellesame dei caratteri non meno influenti di quelli valutati. Nellarticolo precedente ne avevo individuati sei, dei quali, al massimo tre rientrano – almeno parzialmente – nei quattro pilastri della Commissione. Ancor più, degli aspetti assai importanti, non sono per nulla presi in esame, malgrado riconducibili ai pilastri. Per lItalia, ad esempio, la posizione di parità processuale nei processi contro soggetti pubblici, e ancor più leguaglianza di trattamento nellesecuzione dei  provvedimenti giudiziari, così ridotta negli ultimi trentanni, è stata completamente obliterata.

Il tutto è contrario al principio di parità delle armi” più volte statuito dalla Corte Edu, perché non solo incide sullesecuzione delle decisioni (cioè sulleffettività e completezza della tutela giudiziaria), ma anche sulla parità processuale più spesso in fatto che in diritto.

Al contrario poi di quanto si possa leggere sui media (per lo più) si avverte comunque che, anche se omissiva, la relazione delinea come linsieme degli Stati dellUe sia sostanzialmente di diritto, pur con qualche menda. Anche gli Stati come lUngheria e la Polonia. Se infatti la Ue non ha impostato la relazione su punti qualificanti, anche più di quelli presi in esame, lo si deve probabilmente attribuire al fatto che violazioni gravi, ad esempio alla garanzia dei diritti fondamentali, al principio di legalità, al pluralismo non ve ne sono – o almeno ve ne sono di non gravi.

Il che se da una parte potrebbe essere rassicurante (al netto della necessaria diplomazia e delle emergenze della lotta politica) dallaltro, per le violazioni comunque in essere, difficilmente si troverà un difensore a Bruxelles.

Aggiornato il 07 ottobre 2020 alle ore 11:38