L’osteria della repubblica: gli italiani ancora da fare

A che numero siamo? Prima, Seconda, Terza Repubblica? O già alla Quarta? Ricordate il motivo popolare dalle rime un po’ oscene di Osteria numero…”? Certo, lo scambio che il 21 settembre ha mandato il treno del bicameralismo perfetto a infrangersi sui respingenti del binario morto, con una sforbiciata mai vista al numero dei suoi parlamentari, ci induce alla domanda: “Ma Chi è l’Oste che si intesterà questa vittoria-disfatta?”. L’antinomia non illuda: la Storia è ricca di queste contraddizioni. Qualcuno ha già cominciato a ironizzare su Matteo Salvini chiamandolo “Capitan Disfatta”. Ma che dire di Luigi Di Maio, faro-guida di un Movimento in rotta che ha trionfato nel referendum? Come in tutte le storielle a trama scontata, c’è qualcuno che ghigna dietro il paravento, come il duo Giuseppe Conte-Nicola Zingaretti, di cui il primo è la Sfinge del secondo. Dicendogli: “Parla tu, perché, intanto, io scavo la fossa a quegli altri” (i Cinque stelle). Infatti, la domanda è: “Con il Sì plebiscitario del 21 settembre, il Populismo è stato sconfitto o no?”. No, perché il dato si presta a una doppia, se non tripla, lettura. Vediamole assieme. Da un lato, le forze sovran-populiste di Lega, FdI, M5s hanno fatto aperta campagna per il “Sì”. Mentre, come al solito, Pd e sinistra si sono pronunciati per il “Nì”, visti i distinguo in proposito di leader e leaderini con la canotta rosa. Per dire: a Roma il “No” ha stravinto nei Municipi radical-chic I e II (i famosi ridotti irriducibili piddini delle Ztl, le zone a traffico limitato), dato che i loro aficionados della sinistra Veltroniana del “ma anche...” non hanno perdonato a Zingaretti e Matteo Renzi i tre sonori “No” precedenti, con cui bocciarono a suo tempo il progetto di modifica costituzionale. Quel giudizio comprende in sé un niet implicito all’alleanza Pd- M5s.

Sempre a Roma, invece, il dato di cui sopra si ribalta esattamente nel caso dei quartieri più popolari (quelli, cioè, con la canotta bianca), dai redditi bassi e della sotto-occupazione di massa, in cui il sentimento anticasta e dell’antipolitica si manifesta in tutta la sua ampiezza. Insomma, a guardar bene, il voto referendario traccia ancora una volta sul territorio del Belpaese un netto discrimine tra gli Have e gli Have-not (relativo al sempre più conflittuale dualismo città-campagna; metropoli-periferia) che la pandemia ha magnificato come una gigantesca lente di ingrandimento. Chiediamoci, poi: ma c’è davvero stato un voto popolare referendario? Fate voi: il 47percento degli aventi diritto non ha votato. Tra questi, c’ero anch’io. Ma, purtroppo, mentre del 30 e 70 per cento rispettivamente si conosce la risposta netta data al quesito, di quelli come me si può solo dire, come fa Ken Loach, Sorry, we missed You. Cioè, nel mio caso, non mi è stato recapitato il pacco (alla napoletana!). Sì, perché ho deciso di non votare mai più una riforma più o meno confusa di modifica costituzionale, se non quando finalmente qualcuno convocherà una nuova Assemblea Costituente. Ma vi pare a voi che terminata nel 1992 la Terza Guerra Mondiale “a pezzetti” (copyright Papa Francesco) con il crollo dell’Urss, del comunismo e del Muro di Berlino, a nessuno sia venuto in mente che fosse ora di dare un bel restauro alla nostra Carta fondamentale di matrice catto-comunista, che sancì la pace politico-sociale qui in Italia, dopo la fine del Secondo conflitto mondiale?

Però, andiamo con ordine. A chi giova il risultato del 21 settembre? Qui le nubi e le nebbie abbondano e nessuno ci vede chiaro. Tuttavia, un paio di cosette si possono provare a dire. Primo: è giunto prematuramente a termine il disegno del leghismo d’assalto, divenuto nazionale, per la conquista del Centro-Sud d’Italia. La vittoria indiscussa dei fortini Pd di Toscana, Campania e Puglia è lì a dimostrarlo. Secondo: i pentastellati, d’altro canto, sono dal 2018 (anno delle elezioni europee) i donatori di sangue netti, prima per la Lega salviniana, e oggi per il Pd zingarettiano. Da Movimento di maggioranza relativa, sono scivolati a consensi a una sola cifra percentuale. Determinanti nella elezione (di secondo grado!) di Ursula Von der Leyen, hanno riportato in vita e al potere un Pd stramazzato al suolo, facendone il nuovo protagonista indiscusso della politica europea e nazionale. Per non suicidarsi, temo, saranno costretti a fare come lo scorpione, colpendo con il loro pungiglione velenoso la rana rosa che li traghetta sull’altra riva della legittimazione politica. Lo faranno, penso, indossando di nuovo la cammisella dell’anti-establishment, per combattere quindi anche contro se stessi che si sono fatti establishment con il Conte Uno e Due!

Già, Giuseppe Conte. Da Carneade manzoniano, a king-maker della politica italiana. Sopravvissuto al terribile choc pandemico del lockdown grazie all’helicopter-money che ha sparso a pioggia sulle mille e una categorie di questuanti e clientes centinaia di miliardi di euro fatti a debito. Ora, furbescamente, tenta di proseguire per la stessa strada utilizzando la manna del Recovery fund per ridurre le tasse e, speriamo, il costo del lavoro tenendo duro il più a lungo possibile sulla cassa integrazione per tutti coloro che, alla definitiva riapertura della attività aziendale, rischiano seriamente di perdere il loro posto di lavoro. Tuttavia, non aspira al bene dell’Italia chi spera che il Governo Conte combini un disastro con i suoi progetti vuoti, infarciti di parole al vento, senza cifre né calcolo dei tempi per la realizzazione di quelle riforme strutturali che ci chiede l’Europa. L’opposizione attuale, cioè (che, stando alle cifre, avrebbe l’assoluta maggioranza nel Paese) deve rimboccarsi seriamente le maniche, uscendo definitivamente da una campagna elettorale permanente, per giocare un ruolo determinante e all’inglese di Shadow-Cabinet, marcando stretto-stretto nel merito il Governo sui progetti da presentare all’Europa entro il prossimo anno. Ovvero: il centrodestra deve innanzitutto proporre la sua visione a medio-lungo termine su: rivoluzione tecnologica: riforma della Pubblica amministrazione. e del sistema giustizia, che intende realizzare all’interno di un grande progetto intergenerazionale di sistema-Paese. Tutto il resto, credetemi, è solo sabbia negli occhi. Si modifichino alla svelta regolamenti Camere e legge elettorale, magari introducendo tutti collegi uninominale all’inglese (tema prediletto di Marco Pannella) per riavvicinare i cittadini alla politica e agli eletti non più nominati!

Aggiornato il 22 settembre 2020 alle ore 11:53