
Ogni referendum è pro o contro qualcosa o qualcuno. Il prossimo che si svolgerà il 20 e 21 settembre non fa eccezione. Gli italiani saranno chiamati a pronunciarsi sulla riduzione del numero dei parlamentari dagli attuali 630 a 400 alla Camera, mentre al Senato scenderebbero da 315 a 200, cui bisognerebbe comunque aggiungere i 5 senatori a vita. Le ragioni del Sì alla sforbiciata dei parlamentari insistono principalmente sul risparmio che il taglio comporterebbe: 100 milioni l’anno per il M5s, “solamente” 57 per l’osservatorio guidato da Carlo Cottarelli. Una cifra considerevole come valore assoluto, ma una goccia nel mare se rapportata al bilancio dello Stato. Il numero di caffè, anche in questo caso, è diventato il metro di misura. Il risparmio sarebbe l’equivalente di circa una tazzina all’anno per ogni italiano. È quindi vero che il taglio non risolverebbe i problemi del bilancio, purtuttavia sarebbe comunque un risparmio in un paese, quale è l’Italia, che ha un numero di parlamentari fra i più alti al mondo. E questo anche se sui social viene fatta circolare una tabella di confronto con altri stati assai poco veritiera che vorrebbe dimostrare una realtà diversa.
La classe politica ha messo insieme così tanti demeriti che è difficile trovare qualcuno disposto a difendere a spada tratta le ragioni del No. Chi si azzarda a farlo, anche con motivazioni degne di considerazione, rischia l’impopolarità. Oltre a Carlo Calenda, leader di Azione, che conduce la battaglia per il No con lucide argomentazioni e senza complessi, sono pochissimi i politici scesi in campo per la bocciatura del referendum. Nel mondo politico, anche in quella parte che si proclama a favore della riduzione, prevale in realtà sottotraccia un istinto di autoconservazione. A tanti parlamentari viene chiesto di segare il ramo su cui sono seduti e non c’è da stupirsi che vi sia tanta tiepidezza nei confronti del referendum, al di là delle posizioni ufficiali. Salve rare eccezioni, pochi accettano il rischio di apparire come difensori d’ufficio della casta, cioè di sé stessi.
Ma visto che, come si diceva all’inizio, ogni referendum è anche pro o contro qualcosa o qualcuno, occorre considerare che serpeggia nel paese un orientamento favorevole al No nella convinzione che una bocciatura potrebbe essere una spallata tale contro il governo Conte bis che non gli consentirebbe di sopravvivere. Poi, se a un esito contrario del referendum si aggiungesse anche la perdita di alcune regioni finora governate dalla sinistra, la maggioranza difficilmente potrebbe proseguire nel suo cammino. Ecco perché il referendum riguarda sì il taglio dei parlamentari, ma è anche carico di valenze politiche.
Aggiornato il 07 settembre 2020 alle ore 12:43