Campa cavallo

L’enfasi della maggioranza, degli euro fanatici radical chic un tanto al chilo sul programma Recovery Fund, la dice lunga sullo scoramento che nutriamo per il futuro del Paese in mano alla sinistra comunista, cattocomunista e grillina. Qui non si tratta di antagonismo per gli eredi di Palmiro Togliatti, chierichetti di sinistra e per gli estimatori di Nicolás Maduro e della Cina, si tratta di onestà intellettuale e di capacità per progettare e programmare la risposta politica, sociale, economica alla crisi peggiore della storia. Pensare di aver risolto tutto, aver trovato la chiave magica, la lampada di Aladino, solo perché in Europa si è dato corso allo studio di un programma di finanziamento straordinario, è irresponsabile e disarmante insieme. Perché sia chiaro, la verità non è quella che in questi giorni ci hanno propinata con la solita ipocrisia i signori della maggioranza, la verità è che sul Recovery Fund è tutto da costruire, stabilire nei dettagli prima di ratificare ed iniziare ad erogare i finanziamenti. Se va liscio come l’olio parliamo di un anno altrimenti di più, ma non solo, perché i soldi verranno dati in rate pluriennali condizionate dalle approvazioni di proposte e soluzioni, il messaggio dei 209 miliardi sull’unghia per l’Italia che è passato è manipolato.

Come è stata manipolata l’informazione sulla generosità e l’unità europea, sulla risposta armoniosa e condivisa dell’Unione europea alla crisi economica che si è generata nel continente. Per farla breve, la realtà è ben diversa da ciò che è stato annunciato alla gente. Tanto è vero che dietro le quinte dei singoli Paesi c’è diffidenza sull’attuazione del programma e nessuno scommetterebbe ora su quel che potrà accadere allora. È stato approvato un percorso, un ammontare di massima, un tempo orientativo di bilancio e una linea di principio da seguire. Per carità, alla fine l’accordo c’è stato e la macchina europea si è messa in moto, un fatto importante e per certi versi rassicurante, ma da qui ad annunciare come è accaduto che i 209 miliardi siano praticamente già sul conto e basti staccare l’assegno per spenderli, ci corre un mare. Ci corre un mare di progetti da preparare secondo un percorso obbligato che dovrà essere stabilito nei dettagli e poi vagliato, un mare di precondizioni legate alle riforme che l’Europa pretende, un mare di garanzie che dovremo offrire e di adempimenti che dovremo fare. Chiaramente parliamo di noi, ma la sostanza riguarda tutti i Paesi membri che vorranno utilizzare il Recovery Fund. E già questo la dice lunga tra il dire e il fare. Ma se questo non bastasse c’è la spalmatura dei sussidi e dei prestiti per un arco pluriennale che va dai 4 ai 6 anni, tempi lontani. Ecco perché viene da sorridere a sentire le celebrazioni sulla Ue e sulla risposta alla crisi. Basterebbe fare il confronto con qualsiasi Stato sovrano vero, con qualsiasi banca centrale vera, per capire i limiti e gli sbagli imperdonabili che stanno alla base della moneta unica.

Del resto, in economia il fattore tempo è fondamentale per garantire l’interesse nazionale e visto che nella Ue di nazioni ce ne stanno tante e forse troppe, il risultato è quello che vediamo, un tira e molla costante, una lentezza permanente, un confronto estenuante. Inutile girarci intorno: aver pensato all’unicità della moneta prima della unicità dello Stato, della Costituzione, del diritto privato, si è confermato un errore tragico e devastante, di fronte al quale le chiacchiere stanno a zero. Tanto è vero che come uscirà l’Europa dalla crisi non è dato di sapere, mentre è dato certamente il fatto che più del passato gli Stati usciranno in ordine sparso, disuniti, diversamente rilanciati, ancora più separati tra forti e deboli e qualcuno magari definitivamente soccombente. E qui sta il grande problema dell’Italia, quello di sempre, della perenne tendenza a sprecare, a rimandare, a nascondere la polvere sotto il tappeto, a manipolare consapevolmente i bilanci con maquillage, a pensare all’interesse elettorale piuttosto che a quello nazionale.

È la ragione per cui di noi si fidano in pochi e tutto sommato giustamente. Ed è il motivo vero per cui sul Recovery Fund più delle cifre contano tempi e condizioni, regole e restrizioni, le garanzie reali che i soldi all’Italia non andranno bruciati. Per questo, scriviamo campa cavallo, perché puntare tutto sul Recovery Fund in divenire quando in sei mesi di crisi non siamo stati capaci di programmare niente, gestire i conti, rivedere la spesa, intervenire sugli sprechi a partire dal reddito, quota 100, Alitalia, ex Ilva e banche popolari, bruciando altri 80 miliardi fino a ridurci al verde, conferma che a pensare male ci si azzecca eccome. Con quali soldi saremo in grado di aspettare un anno, con quali risorse fronteggeremo il far west di settembre, con quali stanziamenti contrasteremo la marea di licenziamenti. Questo è quello che Conte dovrebbe dire anziché esultare perché i sondaggi lo premiano a conferma che gli italiani oltreché autolesionisti sono vittime della cultura assistenziale e dello Stato Babbo Natale. Delle due l’una o non riusciremo ad aspettare i tempi necessari e sarà l’inferno oppure gatta ci cova e con i comunisti c’è da aspettarsi di tutto: patrimoniale, esproprio, mani sui conti, ricchezza privata da depredare. Occhio al Recovery Fund, signori. Gente avvisata, mezza salvata.

Aggiornato il 24 luglio 2020 alle ore 11:43