La tanto sbandierata competenza, continuamente auspicata a gran voce dai media e dai “giornaloni”, per chi assume incarichi di grande responsabilità politica come quella di ministro, si dimostra purtroppo solo condizione necessaria, ma non sufficiente a garantire una buona politica. Ne è un esempio l’attuale ministro dell’Università e della Ricerca Gaetano Manfredi, ingegnere e dottore di ricerca in Ingegneria delle Strutture, professore ordinario di Tecnica delle Costruzioni dal 2000. È stato rettore dell’Università di Napoli “Federico II” dal 2014 al 2020 e prorettore vicario dello stesso ateneo dal 2010 al 2014. È stato presidente della Conferenza dei rettori delle Università Italiane (Crui) dal 2015 al 2020. È stato membro del Consiglio superiore del Lavori pubblici e della Commissione Grandi Rischi. Infine, autore o curatore di numerosi libri e di oltre 400 lavori scientifici. Peccato che a questo importante curriculum professionale non corrisponda un’adeguata azione politica a tutela dell’Università e della Ricerca e per la valorizzazione del Sistema ricerca del Paese, tanto più grave in una fase drammatica come quella imposta dalla pandemia da Covid-19. Una posizione condivisibile, assunta dal ministro Manfredi, è quella di una sostanziale difesa del diritto allo studio.

Va in questa direzione infatti uno degli interventi resi possibili dal decreto Rilancio che, come annunciato dal ministro, costituisce “Un intervento per il diritto allo studio che va in tre direzioni: riduzione delle tasse, aumento del fondo per le borse di studio, e un contributo agli studenti per contrastare il digital divide”. In particolare, si tratta di un investimento di 290 milioni di euro: No tax area fino a 20mila euro di reddito Isee; un fondo per le borse di studio; nuovi bonus per colmare il digital divide che ostacola lo svolgimento di esami e lezioni a distanza. E poi l’impegno per la ricerca: un investimento da 250 milioni per 4.000 posizioni di ricercatori e 550 milioni per un piano di ricerca nazionale. Purtroppo, a nostro avviso, non bastano le promesse di stabilizzare i precari, di aumentare le borse di Dottorato e le risorse destinate alla ricerca. Tutti interventi importanti e condivisibili, che rischiano però solo di aumentare il disagio degli addetti ai lavori imbrigliati da anni in una gestione burocratica del Sistema–ricerca che si evidenzia nel “dopo lockdown” anche nella scarsa agibilità degli spazi di lavoro come biblioteche e laboratori scientifici da parte dei ricercatori. Chiediamo pertanto, come Astri, che eventuali disposizioni limitative alla attività di Ricerca “operativa” in luoghi pubblici (università e laboratori di ricerca) avvenga in base ad elementi oggettivi, cioè scientifici e non burocratici (basati cioè unicamente sull’età anagrafica). Ovviamente il tutto in accordo con le linee guida epidemiologiche sulla suscettibilità alle malattie infettive ed all’aspettativa di vita dei singoli individui.

E, non meno importante, come sempre più denunciato con allarme in tutto il mondo (vedi contagiosità degli asintomatici e diffusione dell’aria negli ambienti chiusi), l’università contribuisca a fronteggiare la pandemia utilizzando il suo più grande valore: l’interdisciplinarità degli approcci, L’universitas appunto Studiorum. Non solo virologi ma anche ingegneri e tecnologi. La politica è una cosa troppo seria per pensare che basti essere competente in un settore per esercitare adeguatamente il ruolo di ministro della Repubblica. La politica non è solo gestione amministrativa-burocratica, per altro importante, ma è soprattutto capacità di interpretare le aspettative e le esigenze di chi opera in un determinato settore per favorire l’ottimizzazione del lavoro e delle risorse impiegate nel raggiungimento di alcuni obiettivi prestabiliti, e tutto ciò, anche nell’interesse della comunità civile. L’università e la ricerca italiana purtroppo sono ancora in “Lockdown” e non solo per la disattenzione riservatagli in emergenza Covid-19 ma per il silenzio assordante del ministro circa l’esigenza di riprogettare la governance del sistema dell’Università, della Ricerca e dell’Innovazione per consentire all’Italia di competere adeguatamente con i maggiori competitor europei ed internazionali.

Comunque ci piace pensare che questo “debole debutto” del nuovo ministro possa con il tempo essere contraddetto, tenuto conto anche della sua recente investitura avvenuta il 10 gennaio scorso, e che appena dieci giorni prima di diventare ministro – nelle vesti di presidente Crui – aveva criticato il governo per una legge di Bilancio “che ha dimenticato l’università, non prevedendo nessun investimento, nessun segnale di attenzione”. Ci rimane però il forte dubbio che ciò possa realizzarsi a causa di due motivi; il primo è rappresentato dal fatto che la sua nomina a ministro sia stata salutata con grande favore dai suoi colleghi universitari: quando la politica assegna l’incarico di ministro dell’Università e della Ricerca ad un ex presidente della Crui (e non è purtroppo la prima volta) significa che non se ne vuole occupare seriamente, demandando alla comunità l’autogestione, e, il secondo motivo, che lo stesso Manfredi, da sempre restio ad entrare in politica, ebbe ad affermare alcuni anni fa: “Per cambiare la nostra società ognuno si deve impegnare al massimo nel suo ruolo. La politica lasciamola fare ai politici”.

(*) Socio Astri, ex direttore dell’Ifsi-Inaf ed ex componente della Giunta esecutiva e del Consiglio direttivo Infn

Aggiornato il 20 luglio 2020 alle ore 16:12