
Modena, liceo classico Ludovico Antonio Muratori, anno 1968, picco della contestazione. Assemblea, trecento studenti. Solo trenta (scarsi) evitano la consacrazione di Ho Chi Minh come eroe planetario e tre di loro sono ammessi a parlare. I rimanenti duecentosettanta sarebbero di più se alcuni non fossero a Parigi, dove la barricata è di griffe, e non rischia di essere contaminata dalle istituzioni modenesi ed emiliane, teoricamente in linea con gli studenti, ma sgradevolmente intrise di muffa istituzionale. La protesta nelle piccole città è un sogno universale in scatola, sotto vuoto spinto. Inneggiare alla libertà cinese e vietnamita sotto la Ghirlandina è come ululare alla luna. Comunque, all’assemblea, tutti ordinati ognuno con il suo compitino da svolgere. I toni sono accesi, anche se con un malcelato imbarazzo: il comune comunista non gradisce gli acuti della stessa sinistra, per paura di essere scavalcato da un rosso più intenso.
In cuor loro, gli studenti preferirebbero protestare in una città conservatrice, non avrebbero freni inibitori imposti psicologicamente da quelli stessi che li hanno allevati. Per lungo tempo il Pci modenese ha avuto una maggioranza assoluta così schiacciante da creare liste di finti indipendenti per dare meno nell’occhio e simulare un dialogo, “sempre auspicabile purché democratico e antifascista”. Ma la Modena sovietica è sempre stata ricca, molto ricca. E fra i ragazzi che credono nel comunismo ortodosso c’è un sotterraneo malumore verso quelli che qualcuno accusa di alloggiare in grandi alberghi di Parigi uscendo per manifestare e tornando per l’idromassaggio delle diciannove. Dopo i dotti interventi del Movimento studentesco prende la parola uno dei moderati, nemmeno fischiato, per simulazione di bon ton.
Parla di circolari ministeriali sulla scuola, convinto che esistano problemi da risolvere anche a meno di seimila chilometri dall’Emilia. La punizione per lui è silenzio incorniciato da facce schifate. Stessa sorte per il secondo, mentre il terzo si scava la fossa: alla lotta contro l’imperialismo preferisce temi pratici di infima caratura come l’aumento del gnocchino distribuito dai bidelli, da venticinque a trenta lire. A Modena “gnocchino” è una piccola focaccia tonda ed è retto dall’articolo “il” e non “lo”. È cibo povero e merenda istituzionale di molti studenti. L’aumento di cinque lire costituiva un piccolo disagio per i meno abbienti, ma parlarne trascurando i drammi dei cambogiani (con una pezza che nasconde troppi Pol Pot) oggi sarebbe cheap, allora fu liquidato come qualunquista e un po’ fascista. Cinquant’anni dopo il mondo ha mutato cento pelli, ma la storia non è cambiata: il politicamente corretto continua a ridenominare invece che risolvere e sotterra i problemi veri sotto montagne di nulla roboante. Capalbio si concentra all’ultima spiaggia e ignora chi è realmente all’ultima spiaggia. Quella minuscola.
Aggiornato il 20 luglio 2020 alle ore 14:35