
Nel giorno dei Santi Pietro e Paolo il Papa ha ricordato che “lamentarsi” non è cristiano e prendersela coi potenti non serve a nulla, perché dobbiamo pregare per loro e fare silenzio. Detta così sembrerebbe che qualunque cosa facciano coloro che hanno potere e ci amministrano non dobbiamo criticarli, ma dobbiamo amarli sempre. Invece di un’omelia sembra una Captatio benevolentiae di fronte ai devastanti mali che risalgono dalla società. A forza di non dire, di fare silenzio e di non disturbare assistiamo a una classe dirigente che sta cambiando i valori fondativi per imporre una cultura del tutto estranea alle nostre radici. Non solo volano le statue insigni e sono messi all’indice capisaldi culturali, ma chiunque si frapponga a questo metodo è, al contrario, lecitamente criticato fino alla calunnia e all’estinzione. Il fatto che in poco tempo sia stata deturpata il monumento di Indro Montanelli e Vittorio Feltri si sia dimesso dall’Ordine dei giornalisti per polemica sulle continue censure sono eventi che investono tutto il giornalismo. E dovere del giornalismo non è l’atteggiamento cristiano di cui parla il papa, perché dovere del giornalismo è l’esatto contrario: la critica, l’inseguimento del potere, le denunce, lo scoperchiare i verminai, inseguire i corrotti e i corruttori.
Allora come si conciliano questi due volti cristiano-sociali? C’è del giusto in ciò che richiamava Papa Francesco nei giorni dei Santi padri della Chiesa romana e cioè la lotta contro il pessimismo, il disfattismo e la rivolta. Il popolo che nutre la rabbia ed esercita l’attività di propaganda tesa a provocare il collasso del proprio paese commette un errore enorme, perché alimenta il caos e favorisce azioni repressive oltre a inibire il potenziale umano e cioè l’esercizio delle virtù. Non è il modo di fare opposizione e di questo infatti si lamenta una parte della società pur insoddisfatta dall’attuale governo, ma nel muro contro muro delle critiche tout court accade solo che il governo vada avanti da solo e l’opposizione incassi azioni e delibere unilaterali con l’aggravante della squalifica degli avversari, la loro messa all’indice e lo svuotamento spesso aggressivo e violento. È quanto accade quotidianamente. Mentre l’opposizione non riconosce il governo in carica e chiede elezioni succede di tutto: parlamentari che rispolverano tracotanti privilegi come i vitalizi in piena crisi nera, manager di Stato che si assegnano stipendi fuori dai parametri come un insulto al popolo, la giustizia che crolla, l’amministrazione sociale pericolosa, un potere politico sempre più teso a proseguire a colpi di mano, lo svuotamento parlamentare e la disfatta dell’informazione. Lamentarsi così a che serve?
Dicono bene i testi sacri che “amare il proprio avversario” è un modo di non cedergli e il miglior modo di fare opposizione costruttiva. Quello che a parere di tanti è mancato al momento focale dell’epidemia, e manca ancora oggi, è in stato di straordinaria emergenza usare una necessaria collaborazione tra ruoli dello Stato. Perché maggioranza e opposizione non dovrebbero essere solo acerrimi nemici, ma anche realtà alternative. Infatti l’antico braccio di ferro sinistra-destra non produce nulla di buono e nuoce gravemente al paese. Troppo facile scaricare le responsabilità gli uni sugli altri mentre “i topi ballano”, cioè la società malavitosa si ricostruisce e si prepara a dare assalto a tutte le misure e agli interventi economici pensati per risollevare l’economia. I governi di unità nazionale in fase di gravi calamità e rischi sono una necessità per questo, perché se non si possono fare le elezioni si resiste dentro, si cambia da dentro e si rappresenta il proprio elettorato al tavolo delle trattative. Invece l’opposizione di Matteo Salvini e Giorgia Meloni ha inteso lasciare a briglia sciolte l’attuale maggioranza producendo quella continua e devastante lamentela, rabbia e impotenza di cui parlava il papa. Ci sono misure e decisioni che non possono attendere le elezioni, che poi non è scontato si vincano. Le battaglie sui valori e sui principi, che alcuni hanno smesso di considerare identitarie, non passano solo per le urne ma per il pensiero. E qui vengo all’informazione “sentinella del potere”.
È sfregiata la memoria di Indro Montanelli perché si cerca di annullare il ruolo del giornalista segugio del potere, che sta solo dalla parte del lettore, che non è contiguo a nessun potente, che informa ed esorta la classe dirigente, mai tacendo e mai omettendo e mai dissimulando o prestandosi a giochi di palazzo. E l’uscita di Vittorio Feltri, che ereditò Il Giornale quando Montanelli dovette andarsene perché la sua linea fu messa in difficoltà dal progressismo che avanzava e non solo da Silvio Berlusconi, che poi come aveva profetizzato Montanelli e come rivelano i retroscena sui magistrati alla Palamara è il primo che ne ha fatto le spese, è inquietante. Feltri fece un Giornale che fu così segugio dei potenti che la casta di Massimo D’Alema e compagni non ebbe tregua. Fu il momento della grande riscossa dei valori moderati e liberal contro l’indottrinamento delle sinistre. Grandi inchieste, grandi scandali, poi venne il tempo per così dire di “Buzzi & Carminati”, in cui cioè di fronte ai flussi giganteschi di denaro europeo destre e sinistre pensarono bene di “mangiare insieme”. Finiti gli ideali, sfinito Gianfranco Fini, giudiziariamente travolto Berlusconi, fu la volta di una spregiudicata classe dirigente che a parole fa quello che dice Bergoglio, e cioè esautora la società gettandola nel pessimismo, nella rabbia e sull’orlo della rivolta, ma nei fatti è corrotta e indecente allo stesso modo.
Non si può tacere di fronte alle insidie del male. Gesù stesso raccomandò “parlate fino a che potete”. Abbiamo due corde vocali e il giornalismo per sua vocazione ha quella di descrivere e scrivere coi toni che il Salvatore stesso usò al tempio quando rimproverò ai potenti di aver ridotto la casa del Signore in una spelonca di ladri. E chiunque faccia questo mestiere, facendo parte di questa redazione virtuale messianica, ha il dovere di denunciare sprechi e malaffare. Come è necessario in questo tempo di fronte a un popolo e a tanti giovani disorientati, di fronte a un flusso di denaro notevole e di fronte a una classe dirigente che ha perso se stessa e si difende con il mezzo economico assegnandosi privilegi dietro cui barricarsi, mentre la decomposizione avanza e non solo economica perché la rete di 30mila pedofili solo in un triangolino della Germania deve far pensare a quanto enorme sia la cancrena risalita dalle società fluide e sessuali degli ultimi anni.
I valori e le virtù. È questo il tempo di fare bene, di mettere in moto tutte le sane energie, perché come diceva Albert Einstein è nelle crisi che si può cambiare il mondo e applicare le migliori risorse, illuminando la vita e improntandola al talento di cui come italiani siamo ricchi e signori. In questo senso va letta l’esortazione del papa a non cedere al disfattismo e a non inciampare nel potere, ma ad immaginare un futuro radioso e prezioso. E per questa classe dirigente che altro si può fare se non che pregare per la salvezze delle loro anime?
Aggiornato il 01 luglio 2020 alle ore 12:22