Il peso di Vittorio

Perché quando Vittorio ha ragione, ha ragione. E sulla magistratura italiana Vittorio Sgarbi ha ragione da sempre. Che poi si lasci afferrare e trascinare via dal proprio irruento démone dell’invettiva, spesso triviale e “ad personam”, è caratteristica sua, ma appunto essa è sempre indirizzata all’individuo che ha di fronte, e non alla categoria. Quindi, su cosa sia stato veramente urlato nella seduta del Parlamento italico, l’altro giorno, potremo dirlo soltanto ascoltando le registrazioni della stessa, e questo è un fatto che attiene all’identità individuale di Vittorio, ma quel che è certo – almeno per chi scrive – è che il tanto vituperato “attacco alla magistratura” (peraltro non nuovo in quanto già effettuato da altri prima di lui in passato e all’interno proprio delle istituzioni parlamentari) sia assolutamente sottoscrivibile da qualunque persona – anzi, meglio, da qualunque individuo – dotato del “ben dell’intelletto”. Capziose e faziose sono quindi le critiche che hanno voluto vedere nell’aggressività verbale dell’onorevole, l’ennesima manifestazione di “sessismo”, accusa che ormai è diventata quella più comune oggi e viene applicata ovunque in base alle nuove regole del politicamente corretto prono al volere del dio assoluto del “pensiero unico”. Gli vada altresì riconosciuto il coup de théâtre dell’essersi fatto portar fuori dall’aula, di peso, dai commessi, ad imitazione – volontaria o meno non potremo mai affermarlo con sicurezza – del Trasporto di Cristo morto di Raffaello o dell’analogo dipinto di Caravaggio.

Cos’è il genio? Si chiedeva il giornalista Necchi in Amici Miei atto II di Mario Monicelli, mentre egli stessi si rispondeva: “È fantasia, intuizione, colpo d'occhio e velocità d'esecuzione”. Tale definizione si attaglia perfettamente all’azione dell’amico Vittorio sugli scranni della Camera. In una sola parola, come Faust, anche lui ha saputo cogliere l’attimo fuggente, ha afferrato in pieno il kairos, l’occasione evanescente di poter creare con il suo gesto un evento che verrà senza dubbio ricordato, coadiuvato involontariamente dall’onorevole Mara Carfagna che è – di fatto – stata involontaria sua complice.

Sgarbi è stato “luciferino” dunque, perché ha avuto l’ardire di urlare il proprio dissenso in un consesso di persone consenzienti e prone al potere; ha gridato “non serviam” ed è per questo – come Roy Batty, il replicante ribelle di Blade Runner – stato scacciato dal “paradiso” della politica italiana. Ma rientrerà a breve, come al solito, da quella porta chiusa riuscirà a farsi riaprire un portone, magari scardinandolo e lasciando fuori gli stessi custodi del “bene pubblico” che tanto si preoccupano di continuare a farci indossare le mascherine e conseguire un “distanziamento sociale” anche quando non necessario.

Più che deposto quindi, Vittorio è stato asportato, come si farebbe con un elemento estraneo da un organo animale, e il paragone non è poi così lontano trattandosi del Parlamento italiano, perché l’estraneità di Sgarbi a questo tipo di politica bolsa, asservita e tristemente priva di brillamenti, è cosa nota sin da quando egli entrò in tale ambiente nell’ormai lontano 1992. Del resto se il Parlamento fosse ciò che realmente dovrebbe essere, sarebbe il luogo adatto appunto a “parlare” e quindi, visto che il diritto alla parola, e quindi in questo caso alla critica nei confronti di un superpotere onnipervasivo qual è oggi, spesso, troppo spesso, la magistratura, è stata negata a un parlamentare, non è restato altro che trasformare la comunicazione verbale in quella d’immagine – in un “non-verbale” – che si è dimostrata infinitamente più devastante per le istituzioni di qualsiasi altra forma di critica.

Non possiamo dire se questo fatto sia il suggello a  quanto il vecchio e caro zio Oscar (Wilde) sosteneva nel suo Il critico come artista, e se dunque l’immagine di Vittorio Sgarbi trascinato via – volentieri e divertito e irritato di certo, conoscendolo – dai commessi, sia un’”opera d’arte contemporanea” che riecheggia l’antico, ma quel che è certo è che da molte parti, molte voci, ignote o insigni come quelle degli amici Franco Cardini e Pietrangelo Buttafuoco tra i tanti, si sono unite alla sua, non tanto in difesa di un’intemperanza quando a protezione di una libertà di espressione nei confronti d’un potere che sempre più domina tutte le nostre vite e perciò, in questo caso come è successo altre volte, sto con Vittorio, nonostante al differente visione che caratterizzi il suo libro su Leonardo da Vinci uscito l’anno scorso per i tipi de La nave di Teseo e il mio, di prossima uscita per l’editore Iduna del gruppo Mimesis. Due Leonardo da Vinci molto diversi, lontanissimi, talvolta antitetici, ma in entrambi i casi, assolutamente unici e originali, così come unica e originale deve essere la parola e la critica verso chi vorrebbe schiacciarci sotto al tallone di una presunta tutela delle nostre libertà.

Aggiornato il 01 luglio 2020 alle ore 11:34