Un governicchio prima (e adesso)

Qualche cosa sugli Stati generali bisogna pur dire. Le cose, a volte, portano il nome di chi le fa (bella questa, ne farò una massima).

L’evento, tutto sommato, è una passerella, una vetrina fatta per celebrare i presunti successi del Governo e, prima ancora, di chi lo guida, comprensibilmente alla ricerca di proiezione futura di un ruolo politico da consolidare. Il nome è pretenzioso, inutile evocazione di una kermesse finita come sappiamo.

Questo, un poco, mi ha irritato. Possibile – mi sono chiesto – che non abbiano cercato un altro nome (che so... la Woodstock di Giupeppi & friends, l’altra Bilderberg...), qualche cosa che non suonasse come un triste presagio per il destino degli organizzatori? Dispongono dei migliori advertirser, di una grande azienda, del Partito Democratico… non potevano fare meglio?

No. Non potevano. E sapete perché? Perché il po(p)polo non avrebbe capito, non avrebbe apprezzato la storicità dell’evento, da tramandare ai posteri. Serviva un nome “importante”, che facesse pensare a decisioni epocali. Stati generali faceva al caso giusto.

Tutto qui.

Un governicchio era prima, un governicchio è adesso. Avete notato che c’è gente che chiama Sansone un bassotto? Ecco... Sansone... ma lui è bello.

Aggiornato il 16 giugno 2020 alle ore 12:24