Dibba, l’illuso

L’Italia ha avuto grandi statisti, leader preparati e rispettabili di maggioranza ed opposizione, ma anche personaggi della politica mediocri, fra i quali non sono mancati farabutti e mentitori seriali. Tuttavia non è mai successa al nostro Paese una cosa stramba come il Movimento 5 stelle e i suoi esponenti. Ha avuto senz’altro una logica la vittoria pentastellata alle elezioni politiche del 2018, difficilmente ripetibile ai giorni nostri, perché il malcontento generale, giustificato e comprensibile, necessitava di un qualcosa di inedito a cui aggrapparsi, ma il M5s non può essere paragonato, per esempio, alle novità, discontinue rispetto alla politica tradizionale, rappresentate a loro tempo sia da Forza Italia che dalla Lega Nord di Umberto Bossi. La prima nacque alla svelta dall’intuito e forse anche dalla temerarietà di un imprenditore come Silvio Berlusconi, ma, oltre ad insediarsi in un campo politico ben preciso a differenza della trasversalità grillina, ben presto prese a bordo elementi dotati di una certa preparazione e con qualche esperienza alle spalle; talvolta persino esagerando con taluni professionisti a scapito, purtroppo, dei liberali e dei riformatori presenti sin dalla nascita del movimento azzurro.

La Lega bossiana, sorta certamente grazie alla frustrazione popolare post-Tangentopoli e alle inquietudini del nord, seppe anch’essa arricchirsi di competenze a livello nazionale e di bravi amministratori del territorio. Non regge neppure il confronto con l’antico Fronte dell’Uomo Qualunque perché la creatura politica del commediografo Guglielmo Giannini, pur in maniera irriverente ed imprevedibile, si trovava inserita nel mondo liberale e libertario. Il M5s, in particolare quello delle origini, di Beppe Grillo, di Gianroberto Casaleggio e delle piazze del Vaffa, si è posto invece come l’antipolitica per eccellenza, l’anti-tutto che prende voti tanto a destra quanto a sinistra, senza riuscire mai tuttavia ad indicare agli italiani un percorso alternativo ai misfatti della cosiddetta politica tradizionale. Identità ed idee sono sempre state più leggere di una piuma nella casa pentastellata, e se proprio si vuole attribuire al M5s una specie di caratterizzazione ideologica, non si può che fare riferimento ad una forma di peronismo che in quanto tale, seppur sbilanciato più verso sinistra, (i vari no alle grandi opere, allo sviluppo economico e al garantismo giudiziario, ricordano le vecchie posizioni di Rifondazione Comunista e simili), può piacere anzitutto a chi è rimasto orfano della cosiddetta sinistra radicale, ma senza risultare sgradito a qualche illiberale di destra. Se vogliamo essere cattivi, possiamo parlare anche di fascio-comunismo.

Il Movimento fondato dal comico genovese è comunque passato dai Vaffa alla stanza dei bottoni, dalla piazza al governo della nazione, però, a differenza di altri soggetti come Forza Italia e Lega Nord, nati anch’essi dopo una crisi di sistema, tuttora non si è dato una classe dirigente, non diciamo di possibili e futuri Winston Churchill o Luigi Einaudi, ma almeno di persone che non appaiano ogni giorno come pedine di un gioco più grande di loro. Evitiamo gli sfottò, che pure circolano, a cominciare dai social, ai danni di Giggino Di Maio, della ministra Lucia Azzolina, di Danilo Toninelli e di tanti altri, ma non possiamo non notare livelli allarmanti di improvvisazione ed impreparazione, dalla sindaca di Roma Virginia Raggi, capace di far sloggiare Casapound e per tutto il resto non è noia, come cantava Franco Califano, bensì è zero, ai ministri del governo giallorosso.

A quanto si vede non stanno imparando nulla, non studiano e deludono le aspettative di Dario Franceschini, però in compenso hanno appreso almeno una cosa della politica tradizionale, ovvero l’aspetto deteriore dell’attaccamento alla poltrona e alle relative prebende. Pur di evitare il voto anticipato sono corsi fra le braccia di chi insultavano solo qualche ora prima e sono pronti ad ingoiare più di un rospo, forse anche il contestatissimo Mes, al fine di allungare il più possibile la vita a questo governo. La radice rimane peronista o se si preferisce, rimanendo sempre in America Latina, non molto lontana da quel socialismo bolivariano di Hugo Chavez e Nicolás Maduro che ha distrutto il Venezuela, ma la sopravvivenza impone di unire il peronismo al poltronismo, anche perché così ha deciso da tempo Beppe Grillo insieme alla Casaleggio Associati, guidata ora dal figlio di Gianroberto, Davide Casaleggio.

Già solo questo la dice lunga sia sul tasso di democrazia interna del M5s che appunto, sulla stranezza di un soggetto politico eterodiretto da un’azienda privata; altro che Berlusconi e il partito azienda! Fra le tante bizzarrie di questo movimento vi è anche, per così dire, la singolare intermittenza di alcuni esponenti ad iniziare dallo stesso Grillo, che prima dice di aver creato questa realtà per lasciarla poi nelle mani dei suoi “ragazzi meravigliosi”, e di auspicare il ritorno al suo mestiere di sempre, ovvero gli spettacoli comici teatrali, ma in realtà c’è ancora, c’è sempre stato e comanda a bacchetta il Movimento. Fra gli “intermittenti” grillini non si può non notare Alessandro Di Battista, Dibba per gli amici, il quale, fra la voglia di fare solo il papà e qualche vacanza qua e là per il mondo, si occupa a fasi alterne del partito di cui fa parte, salvo poi eclissarsi nuovamente.

Per esempio, adesso è tornato e vuole dare una scossa ad un Movimento 5 stelle addormentatosi fra le braccia del Pd. Vuole senz’altro il ritorno ad una forza di protesta e di piazza, e propone un’Assemblea costituente dove tutte le anime grilline possano confrontarsi e pesare la loro consistenza. Il ragazzo si illude se ritiene possibile anzitutto una grande discussione democratica all’interno di un partito ormai più militarizzato di una caserma, e prosegue con i propri sogni se confida in un’inversione di rotta rispetto alla collaborazione con il Partito democratico, che rappresenta il volere inappellabile dei capi. Infatti la replica di Grillo, attraverso un tweet fra il velenoso e la presa in giro, non si è fatta attendere. Quando un partito diventa, diciamo così, di palazzo e di sistema, è difficile che torni alla protesta originaria. Su questo il fuoriuscito Gianluigi Paragone non ha torto, e consigliamo al “rivoluzionario” Dibba un nuovo tour in America centrale.

Aggiornato il 15 giugno 2020 alle ore 12:42