
Cosa possono attendersi gli italiani dagli “Stati generali”, convocati dal Governo Conte con grande rullo di tamburi? Non è difficile immaginare l’ennesimo flop: grandi proclami e zero risultati. Le ragioni ci sembrano evidenti.
La prima. Un governo serio non ha bisogno di passerelle. Il governo, per sua stessa natura, ha il compito di fare, dopo aver pensato in silenzio. Invece il governo italiano, non si sa bene perché, vuole mostrare al mondo quanto è bravo a riflettere, meditare, dibattere, parlare, proclamare, annunciare. Quanto al fare non c’è problema; si attenderanno i “decreti attuativi”.
In quest’Italia impazzita, dove nessuno vuole stare al proprio posto – il magistrato vuole fare il politico, mentre il politico cerca il successo per via giudiziaria, il “virologo”, divenuto tale in quanto laureato in veterinaria, prende le decisioni politiche, mentre il politico si fa schermo del “virologo” – un dibattito pubblico, in un convegno di studi e riflessioni, non viene organizzato da un partito politico, da un think tank, da una fondazione, bensì dall’Istituzione che ha il compito di governare, cioè di fare. Vi pare normale?
Nel resto del mondo, le componenti culturali e le scuole di pensiero della società civile fanno il loro mestiere di pensare, mentre il governo fa, dopo aver pensato nelle sedi opportune, dove ha modo di consultare i vari esperti; in Italia godiamo dell’immenso privilegio di avere un governo che vuole pensare o piuttosto discettare in pubblico.
La seconda. Dietro l’insegna degli “Stati generali” si nasconde l’ennesima frode delle etichette, l’ennesimo gioco delle tre carte. Un convegno è un convegno. Chiamarlo con un altro nome non gli fa cambiare natura. Ma poiché chiamarlo “convegno” avrebbe reso palese l’inettitudine di una compagine governativa, parolaia e inconcludente, si fa ricorso a un nome altisonante che evoca l’atto fondativo della Repubblica francese del 1789. Da questo punto di vista, bisogna dare atto che la fantasia dei parolai al governo è di altissimo livello. Possono gioire coloro che coniarono lo slogan sessantottino della “fantasia al potere”. Ma noi, che crediamo ancora nella virtù della serietà, non gioiamo affatto.
In quest’ennesima burla ai danni del popolo “bue”, ravvisiamo un messaggio politico molto pericoloso, intriso di autoritarismo, per ciò stesso che distorce il corretto rapporto fiduciario tra governanti e governati, basato sulla comunicazione veridica. Lo paragonerei al messaggio subliminale della lunga fila dei camion militari che trasportavano le bare dei morti di coronavirus. Quelle bare potevano essere trasportate da un solo camion; quella messinscena era destinata a impressionare gli italiani e incutere loro la paura necessaria per renderli docili e mansueti agli arresti domiciliari. Oggi la nuova “ammuina” degli Stati generali, non diversamente da quella di Franceschiello, non serve a fare qualcosa, bensì a dare l’impressione che il governo faccia qualcosa. Nell’“ora più buia” la retorica del governo raggiunge il suo culmine: si suggerisce agli italiani l’idea di una svolta epocale, all’insegna dell’“andrà tutto bene”.
La terza e la più importante. L’Italia ha davvero bisogno di una svolta epocale, ma in direzione del tutto opposta a quella suggerita ed evocata dagli Stati generali del Governo Conte. Gli italiani devono essere liberati dal fardello della burocrazia, gravoso prima, insopportabile oggi in piena recessione. Nessuna ripresa potrà vedere la luce, se gli italiani non saranno liberi di fare attività economica, senza dover passare attraverso le “forche caudine” dei mille adempimenti, ovviamente non gratuiti, e delle mille autorizzazioni amministrative. Questa “liberazione” è oggi tanto importante da poterla paragonare a quella dall’invasore straniero degli anni che furono. Ebbene, in questa direzione gli “Stati generali” non promettono nulla di buono. Coloro che intendono indirizzare i consumi degli italiani, secondo il loro apriori ideologico, dispensando bonus arbitrari – fondamentale quello del monopattino – fanno prevalere lo Stato sul mercato, il dirigismo sulla libertà. Peccato che le economie pianificate sono inevitabilmente destinate all’insuccesso e l’unica strada per il rinascimento italiano passa necessariamente per l’arretramento dello Stato e degli apparati burocratici.
E mentre i supponenti dirigisti-statalisti, dispensatori di bonus, assumono la superiorità assiologica del pubblico sul privato, l’osservazione dei fatti ci fa vedere un’altra verità: che l’etica del mercato è superiore a quella dell’amministrazione pubblica. Nei rapporti di mercato, la paritaria condizione dei contraenti assicura l’equilibrata compensazione degli interessi, giacché ogni operatore è controllore e controllato al contempo. Al contrario, nella dinamica pubblica, i rapporti di controllo sono a senso unico: il soggetto privato, in qualità di sospettato, è gravato dai mille controlli del funzionario pubblico, il quale tuttavia non deve dar conto del suo operato. Questa sperequazione nei rapporti controllore-controllato, in Italia, è portata alle estreme conseguenze e ciò spiega a sufficienza lo scarso dinamismo dell’economia prima del coronavirus e le attuali difficoltà di ripartenza. Nei Paesi occidentali, le amministrazioni pubbliche hanno l’obbligo di accountability, il cui adempimento dà modo al controllato di essere parziale controllore; in Italia non hanno alcun dovere di spiegare l’impiego delle risorse pubbliche, né termini da rispettare, né responsabilità economica per atti illegittimi. Dov’è l’etica?
Si deve cominciare da qui per ripartire. Ebbene, nessuna traccia di tale consapevolezza è dato ravvisare nell’ammuina degli Stati generali proclamata da un governicchio che affida la rinascita d’Italia al bonus del monopattino.
Aggiornato il 10 giugno 2020 alle ore 13:57