
Ma l’Italia è davvero un Paese riformabile? Tutti danno per scontato che lo sia. E se invece ormai non fosse più riformabile? È un’ipotesi da non scartare a priori. Esistono esempi storici di stati divenuti irriformabili. Per esempio l’Urss della metà degli anni Ottanta quando era divenuto un regime bloccato da alcuni circoli viziosi insuperabili senza una rottura istituzionale (che poi ci fu nel 1991 con l’estinzione dell’Urss e lo scioglimento del Partito-Stato Pcus). Su ogni Paese e in ogni tempo pesa il famoso “paradosso del riformismo”: esso mobilita i soggetti e i gruppi che dalle riforme sono colpiti, ma non mobilita abbastanza quelli che ne sarebbero avvantaggiati. L’Italia è un Paese bloccato e paralizzato dalla mancanza di un potere esecutivo forte e dall’esistenza di un potente blocco di potere antiriformista. Questo blocco di potere ha al suo centro in apparenza il Pd e la sinistra politica, ma in realtà ormai il suo nucleo forte dominante è il cosiddetto “Partito dei giudici” che in realtà è un Partito dei pubblici ministeri politicizzati (che d’ora in avanti abbrevieremo in Ppmp). Quel blocco di potere, di cui sono parte integrante anche i grandi media nazionali, è già riuscito a far fallire due tentativi di riforma costituzionale, in occasione dei referendum costituzionali del 2006 (riforma di Silvio Berlusconi) e del 2016 (riforma di Matteo Renzi). È interessante notare che entrambe quelle riforme non prevedevano immediatamente la riforma della Giustizia e dell’ordinamento giudiziario, ma i loro promotori, sia Silvio Berlusconi, sia Matteo Renzi, erano entrambi osteggiati dal blocco di potere antiriformista e dal suo vero nucleo dirigente, il Ppmp, come due leader che avevano manifestato l’intenzione di attuare un’ampia riforma della Giustizia e per questo andavano fermati. E furono fermati. Il fatto che Renzi fosse anche il leader del Pd e che la sua riforma costituzionale sia stata avversata da buona parte della magistratura organizzata (non solo da Magistratura democratica) non fa che dimostrare la sostanziale dominanza del Ppmp nel blocco di potere antiriformista. Ciò dimostra che una riforma della Giustizia e dell’ordinamento giudiziario in Italia non solo è necessaria e urgente per restaurare lo stato di diritto e fermare la correntocrazia antimeritocratica nel Consiglio superiore della magistratura, come hanno dimostrato le intercettazioni intorno al caso Palamara, ma anche per sbloccare la democrazia italiana paralizzata dal potere di interdizione acquisito nel tempo dal Partito dei Pm politicizzati, divenuto l’avanguardia dominante (e resa fortissima dai poteri di polizia giudiziaria attribuiti dalla legge ai Pm) del blocco di potere antiriformista.
Questo blocco di potere è basato su un patto tacito tra due minoranze organizzate: il Partito dei Pm politicizzati, che, pur essendo minoritari nell’insieme della magistratura, egemonizzano l’Anm ed il Csm ed i partiti della sinistra, strutturalmente minoritari nell’elettorato. Ad essi si è aggiunto però di recente il Movimento dei 5 stelle e insieme costituiscono una maggioranza sia pure fittizia. Ormai, grazie alle intercettazioni intorno al caso di Luca Palamara, è chiaro ed evidente che il Partito dei Pm garantisce alla sinistra una lotta giudiziaria permanente contro i suoi avversari di turno di destra, impallinandoli con inchieste giudiziarie sia quando i “reprobi di destra” sono al governo, sia quando sono all’opposizione, mentre la sinistra garantisce al Partito dei Pm una feroce opposizione ad ogni riforma dell’ordinamento giudiziario. Per la sinistra nel suo complesso l’alleanza con il Ppmp è strategica perché essendo strutturalmente minoritaria nel Paese, non avrebbe, senza il surrettizio aiuto di quello, alcuna possibilità d accedere al governo dell’Italia. In quel blocco di potere giocano un ruolo importante, pur se subalterno, i grandi media (grandi giornali e radio-televisioni nazionali) che contribuiscono alacremente e volenterosamente a quel circo politico-mediatico-giudiziario che è sempre latente ed endemico, ma si attiva specialmente in occasione delle grandi cacce “antifasciste” al “cinghialone” o al “caimano”, o all’uomo solo al comando o allo “xenofobo razzista” di turno: prima Bettino Craxi, poi Silvio Berlusconi, poi Matteo Renzi, oggi Matteo Salvini (Giorgia Meloni è avvisata). Nel mirino del circo mediatico giudiziario finiscono anche persone in qualche modo legate ai primi come comprimari o comunque sospetti di essere avversi al blocco di potere politico-mediatico-giudiziario dominante. Talvolta nel mirino possono capitare anche persone lontane dalla politica, ma in qualche modo eccellenti al punto da fare notizia, magari solo per soddisfare il protagonismo e le ambizioni politiche di un Pm, e per far vendere più copie ad un giornale. Esemplare è il caso della virologa Ilaria Capua che nel 2014 fu accusata di epidemia dolosa a fini di arricchimento in un’inchiesta giudiziaria e mediatica (ad opera del settimanale L’Espresso) risultata dopo anni del tutto infondata, come era evidente sin dall’inizio per l’assoluta mancanza di prove.
Dell’esistenza del Partito dei Pm politicizzati e di quella del circo politico-mediatico-giudiziario le intercettazioni intorno al caso di Luca Palamara hanno fornito tante evidenze empiriche ormai arci-note, che non è necessario richiamarle qui. Una riforma della Giustizia complessiva sarebbe necessaria ed urgente dunque per varie ragioni:
1) per restaurare lo stato di diritto e mettere al riparo i cittadini, politici e no, dagli abusi ed arbitri di un potere giudiziario e mediatico rivelatisi irresponsabili, impunibili e fuori controllo;
2) per restaurare la separazione dei poteri inficiata dall’esondazione della magistratura politicizzata nel territorio del potere parlamentare, esecutivo ed amministrativo;
3) per sbloccare il sistema politico democratico italiano attualmente bloccato dall’esistenza di un blocco di potere politico-giudiziario-mediatico, che ha al suo centro un Partito dei Pm politicizzati ed un circo mediatico giudiziario che insieme possono incidere surrettiziamente sul sistema democratico, concretizzando un potere di veto contro una o più parti e leader politici;
4) perché la riforma della Giustizia e dell’ordinamento giudiziario sarebbe la riforma-madre dalla quale potrebbero scaturire tutte le altre riforme: da quella del sistema politico, oggi bloccato dal potere di veto del blocco antiriformista, a quella della II parte della Costituzione nelle norme che impediscono e rallentano il processo decisionale politico, a quella burocratica, fino alle riforme economica e fiscale.
Persino queste ultime infatti sono subordinate alla “guerra civile” in teoria “antifascista” e “progressista”, ma in realtà antiriformista e quindi non possono che produrre sussidi e bonus miranti ad acquisire un consenso immediato in vista della prossima “battaglia” di quella guerra civile, e cioè, in sostanza, delle prossime elezioni. Una riforma vera della Giustizia insomma sbloccherebbe l’Italia in quanto sistema politico ed economico illiberale e bloccato, oltre che in quanto stato di diritto minacciato da una minoranza di magistrati sottratti ad ogni controllo democratico e persino disciplinare (dato che è sufficiente ad un magistrato avere dalla propria parte la maggioranza del Csm per essere al riparo da ogni sanzione anche nei casi di errore inescusabile, colpa grave e dolo). Ma sfortunatamente quella riforma, pur essendo la più necessaria ed urgente è anche la meno probabile e di fatto praticamente impossibile perché quel blocco di potere è oggi interamente e pienamente al governo dell’Italia e conserva intatto tutto il suo potere di interdizione rivelatosi insuperabile negli ultimi 30 anni. Una vera riforma della Giustizia è dunque addirittura impensabile con l’attuale governo costituito da due forze che a quel Partito dei Pm sono legate a filo doppio e anzi in concorrenza tra loro per accaparrarsene i favori. Una vera ed efficace riforma della magistratura e dell’ordinamento giudiziario richiederebbe inoltre non solo modifiche legislative, ma anche costituzionali perché richiederebbe una riforma non solo del sistema elettorale del Csm, (capace con il sorteggio dei candidati tra i magistrati di Cassazione di abolire le correnti), ma anche la composizione stessa del Csm (in maniera da equilibrare il numero dei non togati a quello dei togati e da dividere lo stesso Csm in due parti, una per la magistratura requirente ed una per i giudici in senso proprio). Una riforma costituzionale richiederebbe anche l’abrogazione dell’obbligatorietà dell’azione penale divenuta ormai uno sberleffo alla ragione dato che ad un Pm basta aprire un fascicolo e riporlo negli scaffali per esercitare in effetti un potere autocratico ed insindacabile di scegliere quale reato perseguire e quale rinviare sine die. La separazione delle carriere tra magistratura requirente e giudicante è ottenibile, invece, con legge ordinaria, ma ad essa come, anche più che alle altre riforme, il Partito dei Pm politicizzati è ferocemente avverso perché farebbe cadere la sua dominanza sul resto della magistratura organizzata e no, a dispetto della sua minoritarietà, in specie nell’Anm e nel Csm. Ad una vera riforma della magistratura si oppone ovviamente il Pd e l’intero schieramento di sinistra perché essa farebbe crollare il blocco politico-giudiziario e mediatico su cui è basata gran parte delle sue possibilità di governare abbattendo grazie ad inchieste giudiziarie i suoi avversari di turno. Ci sarà sempre un Pm disposto a dire, come ha fatto Luca Palamara: “sì ha ragione, non dovrebbe essere indagato e rinviato a giudizio, ma ora va attaccato”. Il Pd e la sinistra ringraziano e ringrazieranno sempre anche perché, grazie all’alleanza con i Pm politicizzati, coprono il loro vuoto politico, la loro debolezza e inconsistenza strategica.
Infine specchio della impossibilità di una vera riforma della giustizia è il diffuso miraggio della “auto-riforma” della magistratura. Persino i magistrati più riformisti insistono sul feticcio dell’autoriforma perché altrimenti sarebbero isolati dal Partito dei Pm politicizzati con gravi ripercussioni sulla propria carriera. E forse rischierebbero l’isolamento e l’ostracismo della stragrande maggioranza della corporazione come è avvenuto a quei magistrati che si erano incautamente detti favorevoli alla separazione delle carriere tra Pm e giudici, come hanno testimoniato vari magistrati non politicizzati, tra cui di recente in tivù Alfonso Sabella. La gran parte dei magistrati sarebbe favorevole ad una vera riforma della magistratura, ma è senza voce e senza potere nell’Anm e nel Csm. La conseguenza è che ogni presunta “auto-riforma” della magistratura sarebbe attualmente una non-riforma perché sarebbe attuata una sostanza secondo i desideri del Ppmp. Una variante dell’autoriforma è quella che l’attuale ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede ha in animo di fare – come egli stesso ha dichiarato – con il consenso dell’Anm che consulta regolarmente: la sua timida idea del doppio turno e dei collegi regionali (conditi melliflua con una “quota rosa”) per l’elezione dei membri togati del Csm non eliminerà di certo le correnti e, quindi non inficerà l’esistenza e il potere del Partito dei Pm politicizzati. Il Movimento 5 stelle è del resto in competizione con il Pd per sostituirlo nell’alleanza organica con il Partito dei Pm e per accaparrarsene i favori. Tutto ciò rende una riforma vera ed efficace della Giustizia praticamente impossibile e rende quindi l’Italia, sic stantibus rebus, irriformabile.
Aggiornato il 05 giugno 2020 alle ore 16:49