
Commento alla Nota quirinalizia del 28 maggio 2020
Lasciando da parte ogni polemica, balza anche agli occhi del più disincantato osservatore, che ci sia materia di competenza del capo dello Stato; inoltre nel comunicato, gli estensori incorrono in errore laddove presuppongono un fallace automatismo logico, ancorando il denegato potere di scioglimento, sia a carenza di apprezzamento discrezionale, che all’assenza di specifica disposizione normativa in Costituzione e nella legge istituiva Csm 24 marzo 1958 n. 95, in relazione a specifica ipotesi, diversa da quella tipizzata (mancanza numero minimo membri, ora ridotto a 24 dagli inziali 33, dalla legge n. 44 del 2003, di cui la componente elettiva per due terzi togata). Lapidariamente l’inquilino del Quirinale circoscrive con la detta accentuata operazione di selfrestraint, l’ambito dei suoi poteri sul Csm, asserendo che l’oggettiva impossibilità di funzionamento dell’organo è unica condizione legittimante il suo scioglimento, e si realizza esclusivamente al venir meno del numero dei suoi componenti”.
L’assunto nei termini in cui è formulato non appare condivisibile, sotto plurimi convergenti profili, a prescindere dalla considerazione pur espressa da onorevole Michele Vietti, ex presidente Csm che la locuzione di impossibilità di funzionamento, non può limitarsi all’oggettività materiale (carenza membri), ma ben potrebbe ricomprendere l’ipotesi di una disfunzionalità reiterata e sistematica, tale da comprometter il compito che l’organo di autogoverno deve costituzionalmente ed istituzionalmente assolvere, a tutela primaria dei cittadini. Chi ha dimestichezza con la composizione degli organi collegiali, è perfettamente a conoscenza che l’oggettiva impossibilità di funzionamento non è circoscrivibile alla mera carenza numerica dei componenti (ad esempio, il numero prescritto di giudici popolari in corte d’assise), bensì quando una parte rilevante di tali membri, vertano in situazioni personali che lascino significativamente presagire, in base ad obiettivi, precisi e concordanti indizi, di non poter svolgere serenamente la funzione (ad, esempio, conflitto di interessi, incompatibilità, condizionabilità dal contesto relazioni e altro).
Anche in questi casi è compromesso il funzionamento essenziale dell’organo collegiale, e se non è sufficiente la rinnovazione parziale (4 su 16 dei membri togati sostituiti; cambiato pure uno dei 3 membri di diritto), allora l’ipotesi dello scioglimento anticipato è tutt’altro che peregrina e sopra le righe. Ciò vale per il Csm a fortiori, organo – secondo la dottrina prevalente – a rilevo costituzionale, mentre per taluni – se si eccettua la funzione disciplinare, che è rimasta una forma desueta di autodichia ovvero di giustizia domestica – sarebbe mero organo di Alta Amministrazione. L’esame sistematico di funzioni e poteri del capo dello Stato, ad onta del rilevo che mancherebbe la disposizione di diritto positivo, conforta il nostro assunto critico rispetto all’opzione della nota quirinalizia. Infatti secondo icastica definizione di uno fra i più autorevoli padri costituenti, a capo della sottocommissione dei 75, onorevole Meuccio Ruini il capo dello Stato , rappresentante dell’unità nazionale è il “capo spirituale, più ancora che temporale, della Repubblica”; per ciò gli è attribuita la funzione politica di reggitore dello Stato in periodo di crisi del sistema, potendo assumere direttamente le decisioni per la conservazione dell’unita nazionale e la credibilità delle istituzioni costituzionali, anche in temporanea sostituzione degli altri organi dello stato (teoria dei cosiddetti poteri residui). Se tale è lo scenario ordinamentale dal punto di vista sistemico, senza ricorrer a suggestioni o a forzature, i seguenti dati sono indubbi nell’organizzazione costituzionale:
- Il capo dello Stato, al pari della Corte costituzionale, è organo di garanzia Costituzionale, a presidio del rispetto e dell’esatta osservanza dei valori e delle formule organizzatorie previsti nella Costituzione;
- Il capo dello Stato è il presidente del Csm, sul cui operato è abilitato a svolgere un’opera di controllo e supervisione diretta, senza filtri o altre autorità frapposte;
- Alla funzione del Csm, organo di autogoverno a presidio dell’autonomia ed indipendenza dei giudici, intesi in senso lato, corrisponde il dovere degli stessi di essere ed apparire imparziali, non solo quando esercitano funzioni giurisdizionali o inquirenti ma in ogni comportamento a rilevanza pubblica suscettibile di apprezzamento
In forza di siffatti indubitabili dati normativi, non può ragionevolmente confutarsi che il capo dello Stato difetti del potere diretto o indiretto – pure tramite atti di moral suasion, volti ad additare al Csm l’impellente necessità di palingenesi – di scioglimento dell’organo, per assicurarne un rigenerante rinnovamento, non limitato a regole per il futuro, ma che investa l’attuale composizione dell’organo. Se sono stati usati termini quale cloaca e verminaio, di fronte al “coacervo di manovre nascoste, di tentativi di discredito di altri magistrati, di millantata influenza, di pretesa di orientare inchieste e condizionare gli eventi, di convinzione di poter manovrare al Csm, di indebita partecipazione di esponenti di un diverso potere dello stato si manifesta una totale contrapposizione con i doveri basilari dell’ordine giudiziario e con quel che i cittadini si attendono dalla magistratura” (parole primo comunicato), non resta al Capo dello Stato che prenderne atto e agire di conseguenza quale presidente del Csm. All’implacabile veemenza verbale, infatti non è seguito alcun conato di riforma, per cui il presidente della Repubblica deve prender atto che, persino in materia disciplinare, ad eccetto dell’unico caso istruito e deciso riguardante Luca Palamara, questo Csm non ha dato seguito al pressante invito di rientrare nei ranghi istituzionali e “fare pulizia”.
Ora il caso di Giovanni Legnini si pone, simmetricamente, sullo stesso livello di gravità della stigmatizzata invasione di campo da parte dei parlamentari Luca Lotti e Cosimo Ferri (entrambi del Pd, lo stesso partito che ha partorito le nomine di Legnini prima e David Ermini poi, in stretta linea di continuità egemonica sull’organo di autogoverno) nel campo del Csm; anzi con gravità maggiore in quanto il vicepresidente strumentalizzava il suo ruolo istituzionale, nella piena consapevolezza di doversi presto cimentare di nuovo nell’agone politico! Il giudice, ogni giudice dal più remoto Giudice di pace del più piccolo paese al presidente della Corte costituzionale, come ci ha insegnato dapprima la Corte Costituzionale (sentenza n. 100/1981) e poi ci ha dovuto rammentare la Cedu nel 1994 in pieno periodo dei processi di Tangentopoli, non ha solo il dover ma anche l’obbligo di apparire del tutto imparziale ed indipendente da qualsiasi parte. D’altronde è stato chiarito da decenni che “per quanto riguarda i magistrati, il fondamento del potere disciplinare non può ricercarsi, come per gli impiegati pubblici, nel rapporto di supremazia speciale della pubblica amministrazione verso i propri dipendenti, dovendo escludersi un rapporto del genere nei riguardi dei magistrati stessi, sottoposti soltanto alla legge ex articoli 101 costituzionale, deve anche riconoscersi che il potere disciplinare nei loro confronti è volto a garantire – ed è rimedio insostituibile – il rispetto dell’esigenza di assicurare il regolare svolgimento della funzione giudiziaria, che è uno degli aspetti fondamentali della vita dello Stato di diritto. Onde ben può configurarsi, su tale base, indipendentemente dal detto rapporto di supremazia, un potere disciplinare fondato direttamente sulla legge e tendente alla tutela dei valori dell’ordinamento dello Stato eventualmente lesi dal comportamento del magistrato” (sentenza del 7 maggio 1981).
Ora è lecito presumere che incauti esperti giuridici, dopo aver così strenuamente sostenuto che il presidente della Repubblica non disponga di nessun poter di coazione giuridica per riportare il Csm nel suo alveo istituzionale – dal quale ha vistosamente debordato, con una sbandata che al pari della pandemia, costituisce un unicum nell’intera storia repubblicana, capace di far ancora espander la carica virale in modo da propagare l’infezione ad altre istituzioni già contaminate – si avventurino in singolare ragionamento da leguleio azzeccagarbugli, di manzoniana memoria, quando asseriscono che “ un eventuale scioglimento del Csm comporterebbe un rallentamento (sic!) dai tempi imprevedibili (sic!), dei procedimenti disciplinari in corso nei confronti dei magistrati dai comportamenti resi noti, cosicché si metterebbe concretamente a rischio la conclusione nei termini di legge”. Le premesse sono errate in quanto non si può rallentare ciò che non è ancora iniziato presso la sezione disciplinare, perché i tempi di rinnovamento elettorale dell’intero Csm sono del tutto compatibili con la fisiologica durata della fase contenziosa di un procedimento disciplinare e, last but not least, specularmente a quanto accade in similari casi di eventi eccezionali, ben potrebbe contemplarsi la sospensione del decorso della prescrizione della potestà punitiva in concomitanza con lo scioglimento anticipato extra ordinem dell’organo collegiale, così ovviando il paventato rischio. Il tutto non senza rimarcare che nel bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti, la vanificazione dell’azione disciplinare per non rispetto delle scansioni procedurali davvero appare come il profilo più recessivo. La credibilità del Csm in tutte le sue componenti, senza cui enfatica risulta la proposizione che l’organo di autogoverno funziona a tutela dell’indipendenza e dell’autonomia dell’attività magistratuale e dei soggetti che la esplicano concretamente secondo legge, costituisce il valore costituzionalmente preminente, nell’interesse non dei singoli giudici, ma dell’intera collettività dei cittadini; valore preminente che quale stella polare deve orientare la rotta dell’intervento del presidente, nell’effettivo rispetto del suo ruolo e compiti, siccome desumibile dalla costituzione materiale della Repubblica.
Intendendo con tale locuzione (Costantino Mortati), non la sterile contrapposizione alla costituzione formale della lettera – additata quale “Costituzione di Carta”, in celeberrimo pamphlet 1977 di Mario D’Antonio – ma la costituzione come viene interpretata dagli attori primari (tra cui Massimo Severo Giannini annoverava, al rango di pieni pubblici poteri, i partiti politici e sindacati. Ed oggi forse includerebbe le correnti Csm) ai fini della determinazione dell’indirizzo politico nazionale; nell’ambito di tale costituzione materiale, concretamente vivente, non può dubitarsi che il presidente della Repubblica possa attingere a congrui poteri di indirizzo e di intervento, affinché il Csm non venga meno, come nell’ultimo lustro e non solo, alla sua funzione istituzionale, finendo con l’arrogarsi competenze che non gli spettano.
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Dopo il marasma affiorato, lo tsunami che ha travolto l’intera magistratura associata, la condotta se non eversiva certo da conflitto di attribuzioni del vicepresidente Legnini (il predecessore del presidente Sergio Mattarella opinatamente sollevò conflitto di attribuzioni con la Procura di Palermo, a proposito delle intercettazioni nel processo su cosiddetta trattativa Stato-mafia), la pretesa di selfrestraint delle sue attribuzioni in merito a controllo e scioglimento Csm appare incongrua e infingarda. Ricapitolando le considerazioni critiche sul contenuto dell’ultima nota quirinalizia, circa il presidente e i poteri sul Csm “disfunzionale”, quindi in stato non di ordinaria fisiologia, bensì di straordinaria patologia, possiamo evidenziare che:
Le fonti del diritto costituzionale sono assai più articolate del mero testo scritto, in quanto composte da convenzioni, consuetudini, prassi e persino precedenti costituzionali (vedasi confronto Cossiga-Galloni del 1985);
- Il diritto costituzionale (Derecho politico, mi ricordava Leopoldo Elia rifacendosi a ragione della denominazione accademica della disciplina in spagna, all’esordio del mio cultorato universitario), è strumento giuridico raffinato e duttile, che deve far fronte anche a situazioni inedite (crisi endemica del Csm), non direttamente previste dalla lettera del testo scritto, sempre muovendosi nel rispetto del complessivo ordito ordinamentale e della legge costituzionale (se qualcuno nutrisse ancora perplessità a riguardo basta vedere l’indiscriminato uso dello strumento del Decreto del presidente del Consiglio dei ministri);
- Il capo dello Stato è, positivamente e sistematicamente, Organo primario di garanzia e figura sovrana, posto al vertice dell’organizzazione costituzionale; organo tutore quindi anche dell’ordinato svolgimento dei rapporti tra organi costituzionali (governo e magistratura nel caso): pertanto, Egli deve esser in grado di intervenire prima e più in profondità, per decidere su situazioni eccezionali da Superiorem non recognoscens (sovrano è solo chi decide sullo stato d’eccezione, per Carl Schmitt);
- Un efficace intervento sul Csm, dopo il disvelamento della “cloaca degli intrallazzi e del verminano del mercimonio”, si atteggia non solo a costituzionalmente legittimo ma costituzionalmente doveroso, ad onta delle addotte insipide giustificazioni – presumo dei giuristi quirinalizi di estrazione magistratuale – di possibile ricaduta negativa sui procedimenti disciplinari in atto (ma quali, se oltre a quello concluso di Palamara e di Emiliano, su altra vicenda di incompatibilità dimenticata dalla stampa, seppur con sanzione passata in giudicato, non ce ne sono altri pendenti per le intercettazioni disposte dalla procura perugina, dopo oltre un anno dalla prima trasmissione riservata!).
- Basti citare il celeberrimo discorso agli studenti di Piero Calamandrei, per rammentare che la costituzione è non costruzione statica, ma entità dinamica, che deve alimentarsi quotidianamente dell’impegno a realizzare lo “spirito della costituzione”, che di certo non può appiattirsi nel desolante disfunzionamento del Csm e nella perversione delle guarentigie costituzionalizzate della magistratura, in occasione di scambio favori, carrierismo sfrenato, straripamento dei propri compiti per condizionare illecitamente l’operato di altri organi costituzionali (vicenda Legnini-Matteo Salvini emblematica, ed ancor più grave se come richiesto dal vicepresidente “contestualizzata”, come tappa curriculare).
In definitiva per assicurare il fine cui è precipuamente preordinato il Csm – tutela ubiquitaria dell’autonomia e indipendenza della magistratura a presidio dell’imparzialità e credibilità dello svolgimento delle loro funzioni (inquirenti, giurisdizionali, amministrative e disciplinari) – il presidente della Repubblica è dotato dei poteri necessari a salvaguardarne la fisionomia costituzionale, a prevenirne e impedirne le degenerazioni correntizie, e last but not least a vigilare affinchè il suo operato non debordi in straripamento di potere, ledendo la sfera di competenza spettante agli altri organi dello stato.
Qui, non vengono in ballo questioni di “lana caprina” o come l’autorevole direttore ha scritto oggi, oggetto da “seminari di studi giuridici”, qui è in ballo la tenuta dell’ordito fondamentale dei rapporti tra organi costituzionali, per cui non si profila una questione di competenza, ma di Supercompetenza presidenziale. Anche i rapporti del Csm con il governo e singoli ministri devono essere improntati ai principi dell’autonomia e dell’indipendenza non limitati ai profili collegati all’organizzazione e al buon funzionamento dei servizi relativi alla giustizia assegnati alla responsabilità del Guardasigilli (ex articoli 97 e 110 della Costituzione). In particolare se il Csm è legittimato a esprimere pareri sui disegni di legge governativi interessanti l’ordinamento giudiziario e più in generale l’organizzazione dell’amministrazione delle giustizia, egli non può minimamente interferire in altri ambiti (politica di regolazione dei fenomeni migratori) con le opzioni eminentemente politiche. Pure i rapporti con il Parlamento seguono detta impronta contrassegnata dai principi dell’autonomia e dell’indipendenza, tanto che l’unica forma di interlocuzione è rappresentata dall’invio, tramite il ministro, della Relazione annuale sullo stato della giustizia al fine di segnalare i problemi e avanzare delle proposte.
Ci auguriamo che il presidente Mattarella non resti disincantato spettatore o peggio annoiato telespettatore della “soap opera” del Csm, giacché altrimenti Lui che ha opinatamente tanto a cuore la reputazione internazionale del Paese, specie in ambito Unione europea e Consiglio d’Europa (ove opera la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo), non potrà stupirsi quando nell’aula parlamentare, sotto la presidenza di David Sassoli, un giovane deputato sovranista francese, eletto con la delegazione Fn di Marine Le Pen, richiami l’attenzione di tanti distratti colleghi latini, alla crisi endemica e strutturale della giustizia, che con particolare virulenza sembra allignare non solo le democrazie “new entry” di Polonia e Ungheria, bensì stati di più consolidata tradizione giuridica, come la V Repubblica francese o la III (forse anno zero) Repubblica Italiana, dagli esecutivi con indefiniti cangianti colore dell’arcobaleno. Il Csm va prima sciolto e poi riformato, altrimenti si reitera il cul de sac tra recente riforma costituzionale ancora da sottoporre a referendum approvativo ex articolo 138 della Costituzione, ed impossibilita prolungata e procurata di scioglimento camere, tra patto trasversale della cadrega (M5s, Iv, Fi e altri) E debutto del semestre bianco.
Aggiornato il 04 giugno 2020 alle ore 16:49